Nell’attesa che Cowboys & Aliens, la pellicola western/sci-fi diretta da Jon Favreau e ispirata all’omonima serie di fumetti creata da Scott Mitchell Rosenberg, faccia il suo ingresso nelle sale italiane, la redazione di ScreenWEEK.it ha deciso di condurvi lungo un viaggio alla scoperta delle due dimensioni che conpongono questo titolo, che sono appunto quella fantascientifica e quella western. Ogni settimana parleremo di un lungometraggio fondamentale che compone il vastissimo panorama di quella cinematografia cosiddetta di genere. La giusta occasione per ricordare alcune pellicole che troppo spesso finiscono dimenticate e, perchè no, arrivare adeguatamente preparati al 14 ottobre 2011, giorno in cui Cowboys & Aliens arriverà nelle nostre sale. Dopo avervi presentato La Guerra dei Mondi, Il Mucchio Selvaggio, Ultimatum alla Terra, I magnifici sette, La Cosa, Un dollaro d’onore, Il mondo dei Robot, Il cavaliere pallido, Ritorno al Futuro – Parte III, La Guerra dei Mondi di Steven Spielberg, Ancora vivo, Mars Attacks!, Il buono, il brutto, il cattivo, Tepepa, Invaders, Fantasmi da Marte, Cowboy Bebop – Il film e Aliens, tocca oggi a Signs di M. Night Shyamalan.
Era il 2002 quando M. Night Shyamalan presentò al mondo Signs, la sua personale visione della fantascienza. Prima di addentrarci ulteriormente nella recensione, è obbligatoria un po’ di contestualizzazione: all’epoca, Shyamalan era reduce dai suoi due migliori lavori registici in assoluto, Il sesto senso e, soprattutto, Unbreakable. Tutti, e dico proprio tutti, lo stavano aspettando al varco, sicuri che il buon Manoj stavolta avrebbe fallito. Se i critici e i fan di allora avessero potuto vedere nel futuro, e osservare film come L’ultimo dominatore dell’aria ed E venne il giorno, forse non sarebbero stati così aspri nei confronti di Signs. Un film che, per carità, non è all’altezza dei due precedenti, ma di sicuro nemmeno era caduto in basso tanto quanto i successivi.
Prima di tutto, Signs ci ha regalato l’ultimo grande ruolo di Mel Gibson, e di questo dobbiamo essere grati a Shyamalan. Certo, il suo reverendo che ha perso la fede dopo che la moglie gli è morta in un incidente è piuttosto stereotipato, ma quello che molti avevano faticato a capire all’epoca è che il regista stava tentando meno di analizzare i caratteri dei suoi personaggi, come aveva fatto in precedenza, e intendeva concentrarsi di più sul meccanismo della tensione. E non si può dire che non ci sia riuscito: proprio nella tensione crescente sta la forza del film. Dalle prime scene in cui Gibson e Joaquin Phoenix perlustrano i campi di frumento, al terribile assedio in cui gli alieni, mai mostrati, tentano di penetrare nella fattoria dei protagonisti, un filo di inquietudine e suspence magistrale percorre tutto il film. Insomma, Shyamalan voleva prima di tutto divertirsi, con questo film.
E, indovinate un po’? Quel bistrattato finale in cui – SPOILER – ci viene mostrato l’alieno, anche se spezza effettivamente la tensione, nasce forse dall’esigenza di giocare tutte le possibili carte del divertimento. Evidentemente, Shyamalan voleva regalare al pubblico un’esperienza pienamente soddisfacente. Della serie, “Gli spettatori vogliono vederli, ‘sti alieni, e allora diamoglieli!”.
Siccome questa rubrica si chiama Tra Alieni e Cowboy, è necessario fare un’ultima postilla: chi meglio di una star bigotta e alcolizzata poteva interpretare questo film? Scherzi a parte, Gibson incarna i valori più tradizionali dell’America, anche se in versione leggermente distorta, e vederlo sbattere il muso contro l’Ignoto e combatterlo con la disperazione di un padre che tenta di proteggere la sua prole, è una delle cose più belle del film. E come sempre: Cowboys 1, Alieni 0.