Il successo di Terminator, uscito esattamente 40 anni fa in sala, il 26 ottobre 1984, ha fatto sì che nessuno concepisse più un futuro senza tenere presente ciò che James Cameron aveva offerto al mondo in quel cult assoluto, che arrivò completamente a sorpresa. Non più un alieno, non più qualche superpotenza nemica, ma l’intelligenza artificiale, creata dall’uomo, diventava qualcosa da temere, da distruggere, da cancellare.
Il futuro di Terminator siamo tutti d’accordo che sia poco invidiabile. Skynet, creata per guidare la superpotenza militare americana facendo a meno del contributo umano (e che, non li vuoi tagliare quei due dollari?), ha cominciato a sterminare gli umani, portando l’Olocausto Nucleare in mezzo a noi. John Connor, il leader della Resistenza, è il motivo per cui l’umanità però non molla, tra macerie terrificanti che James Cameron rende un prolungamento dell’incubo immaginato in film come L’Ultima Spiaggia o Il Giorno Dopo. Fateci caso, solo l’anno prima di Terminator, esce Wargames di John Badham, altro film in cui l’intelligenza artificiale si rivelava un problema bello grosso, come pure in Blade Runner. Ma Cameron decide che no, non basta, e ci parla di un cataclisma paragonabile all’Ordigno di Fine di Mondo che Stanley Kubrick aveva creato in Il Dottor Stranamore. Pure lì l’umanità delega la responsabilità di distruggersi a qualcun altro, a un meccanismo, una macchina o affini. Ma Terminator ci dice qualcosa di più: non è un guasto, non è un errore di una tecnologia che non comprendiamo e basta. Skynet ci guarda, ci giudica, decide che siamo una minaccia e tanti saluti. Dentro c’è la condanna biblica contro l’umanità peccatrice e senza speranza; di fatto i vari Terminator, di variabile grandezza e fattezze, sono una deformazione proprio dell’umanità e delle sue invenzioni. Avanzano come creature infernali, prive di emozioni, di anima, di reazioni; sono scheletri indistruttibili che materializzano le armate delle tenebre di mille racconti e miti, ma sono anche la visione meccanica dell’uomo stesso verso la vita, il pianeta e i suoi simili. Siamo nel pieno della Guerra Fredda, Reagan parla di Asse del Male, chi teorizza scontri nucleari e massacri fa i conti col pallottoliere, mette un tanto al chilo la vittoria sulle anime dei cittadini, calcola percentuali ed eventuali risposte. La realtà è che Terminator ci terrorizza perché è credibile: siamo solo noi così fessi da creare qualcosa di così terribile senza accorgercene e che rappresenta la nostra malata concezione del mondo.
Arnold Schwarzenegger, ancora quasi sconosciuto all’epoca, non viene scelto per caso da James Cameron (che pure voleva farlo fuori) per interpretare quel killer cibernetico potenziato che resiste a qualsiasi cosa nel XX secolo Kyle Reese gli scaglia addosso. Il Terminator funziona perché ci imita, e non c’è nulla di più terrificante: con i suoi passi metallici e occhi rossi, smuove l’essenza di un angelo e di un demone, è l’umano che trascende e si collega a un antico testamento che noi abbiamo scritto. Geoffrey Hinton, Premio Nobel per la Fisica quest’anno, è stato categorico sull’IA: è un pericolo reale. I robot devono avere compiti limitati, non possono sostituirci in questioni fondamentali. Uno ripensa a 40 anni fa, a Terminator, e si rende conto che la narrazione della realtà è influenzata dalla fantasia, perché l’IA è usata da programmi per calcolare attacchi e risposte in campo militare, e si parla già di affidare a programmi autonomi la guida di droni da guerra. Terminator, quarant’anni fa, ci portò di fronte a un futuro plausibile, ed ecco il problema. Perché in fondo, a pensare ad alieni, ultracorpi, maledizioni Maya, squali incazzati o presenze oscure, si fa presto a chiudere gli occhi la notte e sapere che non succederà. Ma non è lo stesso quando pensiamo ai cingoli su montagne di teschi, all’umanità che vive nei cunicoli, all’uomo che perde il controllo di strumenti che penetrano oltre la cortina di ciò che egli può prevedere. Dove pensate che siano nate le idee per Matrix? Un morto è una tragedia, milioni una statistica: la tecnologia ci permette di azzerare l’empatia, di uccidere senza sensi di colpa. Terminator, 40 anni fa, ci mise di fronte alla realtà di un futuro in cui la tecnologia si staccava dal nostro controllo, ci soppiantava, quasi a replicare l’evoluzione che ci ha permesso di primeggiare sul Pianeta, usando le nostre stesse armi. E nel silenzio di un mondo così, nessuno può sentirti urlare. Le macchine, loro non urlano, calcolano.
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