Il 16 maggio arriverà nelle sale italiane Abigail, dove troveremo lui, Giancarlo Esposito, interprete unico ed imprescindibile per chi cerca personaggi in grado di esercitare un fascino gelido, unire charme e pericolosità, eleganza e un’intelligenza affilata come una lama di rasoio. Caratterista tra i più iconici del nostro tempo, Giancarlo Esposito si è fissato nell’immaginario grazie a ruoli tanto mitologici, quanto innovativi e capaci di rivoluzionare il concetto di villain, di farne l’erede di un lungo elenco di grande attori capaci di dare un nuovo significato al concetto di tenebra.
Giancarlo Esposito, figlio di un macchinista teatrale napoletano e di una cantante afroamericana, si può dire che sia letteralmente cresciuto respirando cinema, debuttando già da bambino a Broadway, per poi continuare per tutti gli anni ‘80 ad apparire in tanti film di rilievo: King of New York di Abel Ferrara a Una poltrona per due di John Landis fino a Maximum Overdrive di Stephen King e Cotton Club di Coppola. Lo vedi, lo riconosci, ma ancora non ti ricordi come si chiama. Come molti attori della sua generazione il piccolo schermo è dove varia più genere, tra Miami Vice, con piccole apparizioni, come tanti divi del domani di quegli anni. Ma è il 1988 l’anno della sua svolta. Spike Lee, già lanciatissimo, diventa con Aule Turbolente il primo afroamericano a dirigere un musical. Al fianco di Laurence Fishburne, Esposito con Julian “Grande Fratello Almighty” Eaves, il leader dei Gamma Phi Gamma, ci regala un personaggio capace di parlare di un segmento arrivista e disimpegnato della comunità afro. Sarebbe stato solo l’inizio di una collaborazione che avrebbe visto Esposito tornare con Lee in Do the Right Thing, Mo’ Better Blues e naturalmente Malcolm X. Da quel momento Esposito viene ricercato da ogni regista che voglia un attore in grado di dare a personaggi secondari ma fondamentali un’impronta caratteristica, non facilmente dimenticabile ed iconica. Lui, a dispetto della bassa statura, armato di due occhi da gatto, un’espressività di altissimo profilo e un bagaglio semplicemente sconfinato, ha anche una faccia da cinema come se ne sono viste poche. Giancarlo Esposito diventa una presenza sempre più frequente in alcune delle più importanti produzioni tra piccolo e grande schermo degli anni 2000. Utilizzato sempre di più in generi crime, thriller e polizieschi, mette a segno collaborazioni con Michael Mann, Jim Jarmusch, Bryan Singer, ma anche con il meglio dell’autorialità indipendente del vecchio continente. Comincia soprattutto a legarsi ad un tipo particolare di personaggio: il boss del crimine. In lui, come diranno in molti, vi è un qualcosa del Michael Corleone di prima maniera, quello che lanciò Al Pacino, ma anche dei vari gangster, boss, nati nella Hollywood che celebrava il gangsterismo, così come nell’Europa del dopoguerra.
Per il grande pubblico ad ogni modo Giancarlo Esposito fa rima con Gustavo Fring, uno dei personaggi più iconici di quel capolavoro chiamato Breaking Bad, la dimostrazione di quanto la scrittura, agganciata al giusto interprete, possa diventare mitologia moderna. Gus è il prototipo di villain che non si può non adorare. Cileno, tra i maggiori narcotrafficanti di metanfetamine al confine col Messico, è un personaggio chiave della serie perché è connesso alla figura del criminale che, in qualche modo, si vede o cerca di farsi vedere come una persona rispettabile. “Los Pollos Hermanos” che usa come copertura, è diventato quasi un modo di dire negli Stati Uniti, ma ciò che ci regala Giancarlo Esposito con questo ruolo, è anche la capacità di farci comprendere che persino il più duro e spietato dei boss, ha un’emotività, è smosso da un qualcosa di profondo e personale che va oltre il guadagno. Forse il più shakespeariano tra i vari oscuri uomini di questo gioiello. Valanga di premi e candidature, tanto da farlo ritornare a spron battuto anche in Better Call Saul, con il suo stile gelidamente elegante. In Giancarlo Esposito si muove un qualcosa di un Peter Cushing, di un Alec Guinness, forse anche per questo finisce in The Mandalorian, ci regala con Moff Gideon una variazione del concetto di Lato Oscuro nell’universo di George Lucas. Per diversi momenti riesce quasi a mettere in disparte il protagonista, come ogni villain che si rispetti. Bene o male Giancarlo Esposito è sempre stato simbolo di doppiezza con i suoi personaggi, di quel tipo di tenebra che non si nutre di muscoli o violenza, ma di intelligenza, penetrazione psicologica, pianificazione, quasi un Moriarty moderno, ma anche di classe ed eleganza. Lo si è visto in The Gentleman, nel suo Johnston. Revolution, The Godfather of Harlem, The Boys, sono altri capitoli del viaggio di un attore che, per quanto forse al momento forzatamente imbrigliato in un certo tipo di personaggi, sa come renderli ognuno diverso dagli altri. Il suo è un lavorare fatto di sfumature e presenza, di sottrazione pronta ad esplodere. In Giancarlo Esposito abbiamo trovato la conferma che senza un cattivo, una storia non vale veramente la pena di essere raccontata.
Abigail è diretto da Tyler Gillett e Matt Bettinelli-Olpin (il duo noto come Radio Silence). Il copione è opera di Guy Busick (Finché morte non ci separi, Scream) e Stephen Shields (The Hole in the Ground, Zombie Bashers).
Nel cast figurano Alisha Weir, Melissa Barrera, Dan Stevens, Kathryn Newton, William Catlett, Kevin Durand, Angus Cloud e Giancarlo Esposito.
Quando un gruppo di aspiranti criminali rapisce una ballerina dodicenne, figlia di una potente figura della malavita, tutto ciò che devono fare per ottenere il riscatto di 50 milioni di dollari è sorvegliare la ragazzina durante la notte. In una magione isolata, i rapitori cominciano a sparire uno a uno, e scoprono con crescente orrore di essere intrappolati nella casa con una bimba per niente normale.
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