C’erano molti dubbi su ciò che Predator: Killers of Killers avrebbe potuto essere, vista la sua natura di film d’animazione, per una saga da sempre classicamente cinematografica, e poi il fatto di uscire su Disney+ (pur con il marchio degli Hulu e Fox). Invece il risultato offertoci da Dan Trachtenberg è un film ontologico godibilissimo, spettacolare e assolutamente fedele all’anima della saga.
Predator: Killer of Killers è diviso in tre parti, segue tre guerrieri, in tre ere completamente diverse, ma tutti accomunati da un solo, decisivo fattore: si sono trovati di fronte un terribile Yautja. Quale sia stato il loro destino e l’esito del duello, ci viene rivelato in successione, partendo da una spedizione di di guerra norrena, guidata da una temibile Skjaldmær, decisa a vendicare assieme al figlio, la morte del padre per mano di un clan rivale. Poi eccoci nel Giappone dell’epoca Edo, con due fratelli, divisi dalle decisioni di un padre crudele verso due diversi sentieri: uno costretto a darsi alla macchia e diventare un ninja, l’altro invece erede del Feudo. Ma è arrivata tra i due la resa dei conti. Poi eccoci invece nei cieli del Mediterraneo, nel 1941, di fronte all’Africa dove il secondo conflitto mondiale è ad una svolta. Lì abbiamo un giovane meccanico che sogna di finire dentro l’abitacolo di un caccia da combattimento, di sfrecciare nei cieli per l’America.
Avrà la sua occasione, anzi l’avranno tutti, ma non solamente contro il nemico che immaginano. Predator: Killer of Killers è sceneggiato da Micho Robert Rutare, ed è diretto da Dan Trachtenberg, lo stesso a cui dobbiamo 10 Cloverfield Lane ma soprattutto Prey di tre anni fa. A breve arriverà in sala anche il suo Predator: Badlands di cui questo film animato ontologico a tinte forti, è sostanzialmente il fratello gemello, essendo stato creato in contemporanea. Curiosa l’animazione scelta, che porta la firma dei 20th Century Animation, della Davis Entertainment e della The Third Floor, Inc. Espressività molto variegata grazie ad un gioco di luci ed ombre, ad un cromatismo molto forti, anche se forse qualcosa di più in termini di cura dei dettagli si poteva fare. Ottima però la fluidità delle scene d’azione, il world building, che magari non ci dice molto altro sul mondo dei Predator, però abbastanza per suscitare il nostro interesse. Questo non è un film che miri a rivoluzionare il franchise, semplicemente a donarci tre storie, tre protagonisti, intenti a raccogliere l’eredità del fu Dutch, nel capolavoro del 1987.
Predator: Killer of Killers ci parla di morte, intesa come una visione, una paura, ma anche una ricompensa, dipende dalla visione, dell’epoca, dal punto di vista. Non si perde tempo in chiacchere, anche a costo di apparire magari un po’ semplicistico nell’iter diegetico. Ma in fondo, Predator non ha mai fatto altro che tratteggiare un habitat e poi ficcarci dentro gli Yautja, sempre protesi a cercare la preda perfetta, adattandosi al mondo in cui si trovano. I tre che abbiamo qui sono tra i più belli, fichi, letali e interessanti mai visti, ognuno con un arsenale, uno stile e anche un modus operandi diverso, ma tutti e tre accumunati dall’essere letali e spietati. Contro avranno un gruppo di guerrieri accumunati dall’incertezza, dalla ricerca di un senso della propria esistenza, spesso emarginati o comunque non riconosciuti dai propri pari, inseguiti da un passato doloroso. Affascinante è il concept non solo delle diverse epoche, ma soprattutto dei Predator, molto diversi anche come personalità, oltre che come arsenale.
Non vogliamo spoilerarvi nulla, ma il terzo episodio in particolare è uno di quelli che possono riscrivere l’identità della razza aliena più tosta di sempre, anche in prospettiva futura. Non manca anche un certo dark humor, nel secondo soprattutto, così come nel finale che sicuramente vi appassionerà, emerge l’eredità dei primi due film del franchise, che hanno riscritto il concetto di scifi action. Predator: Killer of Killers però ha trovate incredibili, scene di combattimento che sono il giusto mix di verosimiglianza e fantasia, con diversi omaggi al franchise stesso ma anche ad altri generi, dallo storico al peplum, da Kurosawa a war movie classico. Insomma, un prodotto di quelli che tutti speriamo siano anche un punto di riferimento per ciò che avremo sul grande e piccolo schermo in futuro, che dà ai fan e al pubblico esattamente ciò che hanno sempre voluto: sangue, guerrieri e quei fetentoni di Yautja sempre sul piede di guerra, costi quel che costi.
Il legacy sequel di Jonathan Entwistle tralascia il conflitto sociale, e non riesce a mettere sostanza in uno schema già rodato.
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