Prosegue la nostra recensione a catena di The Mandalorian, la serie targata Disney+ ambientata nella Galassia lontana lontana, che ci accompagnerà per tutta la stagione e vedrà la partecipazione di autori come Roberto Recchioni, DocManhattan e Nanni Cobretti. Dopo i primi due episodi, recensiti da Roberto Recchioni, il terzo recensito da DocManhattan, il quarto da Nanni Cobretti, il quinto recensito sempre da DocManhattan, il sesto recensito ancora una volta da Nanni Cobretti, la palla passa ora a Fabio Guaglione per l’episodio 7…
di Fabio Guaglione
Colpo di scena: io non amo Star Wars.
Non nel senso che non mi piaccia, tutt’altro. Ne ho sempre subìto il fascino e riconosciuto i meriti. Ma non è mai stato un amore viscerale o incondizionato.
Il mio primo impatto con la saga è avvenuto il pomeriggio in cui mio cugino Davide, con cui da piccoli giocavamo a creare storie facendo scontrare tra loro orde di action figures – o, come si diceva allora, giocattoli – buttò nella mischia un piccolo Boba Fett di plastica. Lo guardai combattere contro i G.I. Joe e i Masters of the Universe e gli chiesi: “e quello chi è?”
“È un cacciatore di taglie spaziale.” La testa per poco non mi esplose.
Feci altre domande e Davide mi raccontò tutto Il Ritorno Dello Jedi, mimandolo e facendo i sound effects con la bocca.
Con il tempo recuperai i tre film, guardandoli in VHS, e Star Wars – o, come si diceva allora, Guerre Stellari – iniziò a vivere nella mia testa. Con i suoi mondi, i suoi personaggi, i suoi veicoli, i suoi misteri.
A lungo, i film di Star Wars rimasero esclusivamente tre, e i milioni di persone suggestionate da quelle esperienze audiovisive avrebbero potuto rivisitare quei mondi solamente, appunto, nella loro testa. O al massimo in qualche romanzo o qualche videogioco sulle prime console esistenti. Questo non fece che alimentare il mito e soprattutto l’immaginazione. Per anni intere generazioni di appassionati hanno immaginato di seguire le avventure dei personaggi di Star Wars nei meandri della galassia… diventando cosmicamente affamati di un universo costantemente in espansione ma, appunto, su altri media.
La trilogia dei prequel saziò la curiosità per quanto concerneva il passato della saga (e creò anche molta perplessità galattica e molta incazzatura cosmica), ma finì per aumentare ancora di più il desiderio di nuove avventure di Star Wars.
Oggi, a parte il mostruoso parco storie dovuto al merchandising, ci troviamo al cospetto di una nuova trilogia filmica, importanti e longeve serie animate, due spin off cinematografici e una nuova serie tv live action… e la domanda è: ne valeva la pena? Ora ne sappiamo di più, e possiamo “navigare” nell’universo di Star Wars grazie alle ramificazioni di questo franchise ormai imperiale. Oggi possiamo persino seguire le avventure di un cacciatore di taglie spaziale anziché solo fantasticarne. L’attesa è stata ripagata?
Sono un po’ spiazzato.
Dopo l’annuncio e il leak teaser di Mandalorian, pensavo mi sarei trovato di fronte ad una sorta di Western crudo e mitologico, ambientato nello spazio. Di sicuro non è un Sergio Leone. Forse attinge a John Ford? Sì, ma nella maniera più basilare si possa fare per quanto riguarda gli archetipi del genere. Forse troppo? Cioè, puntata per puntata… devo dirlo: mi sono annoiato a morte. Non puntatemi subito il blaster contro: ripeto, non sono un fan di Star Wars. Mi sono approcciato entusiasta alla serie, ma poi mi sono accorto che quello che stavo guardando era in maniera fin troppo esplicita un… prodotto.
È tutto studiato talmente a tavolino, che è tutto giusto sulla carta. L’idea stessa della serie, è geniale. Permette di avere un personaggio ambiguo, silenzioso, che ci trasporta di pianeta in pianeta e ci mette a contatto con quelle razze che da bambini potevamo intravedere solo in alcuni fotogrammi dei film o che addirittura eravamo costretti a immaginarci. E ovviamente come creare un dilemma interessante per un duro, abituato a uccidere o catturare a pagamento? Lo si mette a contatto con la forma di vita più dolce, pura, nobile ma anche potenzialmente pericolosa dell’universo. Un Funko Yoda (® Nanni Cobretti). E poi gli si crea vicissitudine dopo vicissitudine un cast di personaggi secondari variopinti. Andando verso un gran finale in cui tutti avranno il loro ruolo. Sarebbe stato tutto giusto se…
…se fosse stato emozionante. Non dico interessante, ma almeno coinvolgente. Forse sarò diventato arido io. Forse ormai sono troppo dentro le logiche di mercato per guardare un prodotto senza chiedermi come sia stato fatto e per chi. Ma trovo che la serie abbia la sua debolezza letale nella scrittura. Qual è il confine tra il minimalismo e la sciatteria? Io del personaggio di Mandalorian non riesco a ricordare un’azione figa o una frase figa. E non dite “Questa è la via”, perché non è una frase sua, cioè del personaggio, bensì dei Mandaloriani. Voi davvero riuscite a sentire il suo dramma nel non potersi mai togliere la maschera? Io no. Sarà che sono cresciuto con I Cavalieri Dello Zodiaco, e le sacerdotesse guerriero non potevano mostrarsi in volto, altrimenti avrebbero dovuto scegliere il destino di chiunque avesse visto le loro fattezze sotto la maschera: amore o morte. Avrebbero dovuto amarlo per sempre o ucciderlo. Mi sembra una leva drammaturgica potentissima, lontana dagli stratagemmi narrativi di Mandalorian, che sono trucchi di prestigio senza magia.
Ogni puntata contiene un piccolo evento, un beat di trama, attorno al quale si costruisce l’altra mezz’ora. Funko Yoda fa tutto quello che deve fare per essere superdolce… ma davvero vi risulta super dolce? O è semplicemente il risultato di un’equazione biochimica studiata dall’ufficio marketing di Lucasfilm?
Prendiamo l’episodio 7. Inizia con un dilemma teoricamente dilaniante per il Mandaloriano. Salvarsi per sempre o condannarsi per sempre a salvare il piccolo? Però mentre guardavo il prologo di “The Reckoning“ mi sono accorto che non ero per niente coinvolto dalla scelta che deve fare il cacciatore di taglie. E che non mi sembra si sia costruito davvero questo rapporto empatico tra lui e il piccolo Ghizmo verde. Anche se, guardando le puntate, sulla carta è successo tutto quello che doveva succedere per unirli. I loro archi sono costruiti da manuale di sceneggiatura. Forse però, solo da manuale, senza quel pizzico di personalità o imprevedibilità che rende grandi le storie, o i personaggi. Puoi scrivere la storia nella mainera più corretta possibile, e girarla nella maniera più funzionale possibile… ma non basta. Per questo, anche se nella nuova trilogia tutti continuano a urlare che Poe Dameron è il migliore pilota dell’universo, io continuo sempre a pensare che sia una copia sbiadita di Han Solo. Che sulla carta, per l’ufficio marketing, quello sarebbe dovuto essere “Il nuovo Han Solo”.
The Mandalorian mi sembra una serie… carina. Ma è abbastanza per essere rilevante nel panorama seriale in questa era storica? Questo mi sono chiesto. E poi mi sono chiesto: ma perché allora non provo fastidio a guardarlo? Anzi, perché in un certo senso mi piace? E cos’è questa sensazione che provo per quei trentotto minuti?
Poi ho capito. La linearità estrema dei plot, lo spessore psicologico dei personaggi pari a quelli di Dragon Ball, l’asciuttezza della regia, i set, le musiche… The Mandalorian è un prodotto per bambini. Forse non è questa grande scoperta, essendo tra i protagonisti del lancio di Disney +. Ma le premesse della serie mi avevano fuorviato. Mi aspettavo un western e invece è uno show americano degli anni Ottanta. Mi ricorda quando ero piccolo e guardavo Capitan Power e i Combattenti del Futuro. O il telefilm de Il Pianeta Delle Scimmie. In cui tutto scorreva in maniera soporifera attraverso l’episodio fino alla sigla, a cui eravamo affezionati. E ci faceva stare bene. Altra reazione chimica.
Poi però… con l’episodio 6 e 7… ho cominciato quasi a divertirmi. A interessarmi.
In “The Prisoner”, Mando inizia a fare sul serio. Finalmente ci mostra perché è (o almeno dovrebbe essere) un badass, combattendo e tendendo trappoloni a destra e a manca a tutti i componenti della banda di salvataggio improvvisata per la missione.
Invece in questo nuovo episodio… colpo di scena: i personaggi finalmente dicono qualcosa di interessante e/o non concepita da uno sceneggiatore droide!
Il “Client” di Werner Herzog ci fa capire che alla fine la rivoluzione voluta dai ribelli non è stata ‘sta gran figata, e che si stava meglio quando si stava peggio, e che quando c’era l’Imperatore gli star destroyer arrivavano in orario.
Kuiin invece ci regala un piccolo momento di riflessione sull’intelligenza artificiale, e quindi sulla vita artificiale (?) nell’universo di Star Wars. Perché – spoilerino – torna un personaggio meccanico e non si sa se possiamo fidarci di lui o no…
In più, attenzione, Yodino fa qualcosa di molto birichino. E da qui, la domanda spontanea: e se Funko Yoda si incazza, che succede? Per quali motivi è così bramato? E se poi all’ultima puntata dovessimo scoprire che da quel piccolo nanetto potrebbe dipendere il destino dell’universo? Ok, è vero, sarebbe telefonatissimo, ma dipende come se la giocano. Così come spero abbiano pensato a qualcosa di davvero figo per il momento in cui vedremo la faccia sotto l’elmo di Mando. Oppure, colpo di scena: la serie potrebbe finire proprio con un’inquadratura in cui il cacciatore di taglie spaziale sta per vederci in volto e… ci vediamo per la season due.
Per la prima volta, guardando “The Reckoning” non ho avuto l’impressione di guardare una serie su dei pupazzi. È già tanto, perché di fatto Mandalorian è – e forse deve essere – una serie su dei pupazzi.
E a proposito di pupazzi, le due cose che mi hanno più colpito di Mandalorian non fanno parte della trama, sono corollarie… ma fino a un certo punto, considerando il DNA della property. La prima è che Jon Favreau & company si sono presi un bel rischio nel ritardare la produzione di merchandising inerente Baby Yoda. Sapevano che, come accade spesso con i film Marvel, i set di giocattoli, le prevendite sugli store digitali, eccetera, avrebbero spoilerato clamorosamente l’esistenza del verdolino. E Favreau ha dichiarato di aver voluto preservare la sorpresa al pubblico, a costo di rischiare di arrivare a Natale con pochissimi articoli pronti per la vendita. Voleva che il pubblico scoprisse Yodino proprio come fa il Mandaloriano, aprendo quella culla. Sapeva che questa esperienza, questa sorpresa, questa meraviglia avrebbe reso l’esperienza collettiva ancora più potente. E così è stato. Ma commercialmente, è stata davvero una mossa da coglioni sul tavolo. Chapeau.
La seconda cosa che mi ha fatto dire “apperò”, è la tecnologia usata per girare lo show. Molte delle scenografie che si vedono sullo sfonfo… beh, non sono scenografie. Sono monitor. Ebbene sì. Il team di Mandalorian si è avvalso di Unreal Engine, il celeberrimo motore grafico dei videogame di Epic Games, per realizzare il rendering in tempo reale dei set virtuali. Non si tratta quindi della classica tecnica di ripresa con gli attori “su green screen”, eh no. Gli attori hanno recitato su sfondi proiettati su videowall a schermi LED che visualizzavano immagini renderizzate da Unreal, attraverso un sistema che mette in comunicazione i monitor con la camera da presa. Questo significa che se la camera si muove, il software calcola come dovrebbe cambiare lo sfondo a seconda dell’angolatura, la lunghezza focale, la luce, la parallasse. Questa tecnologia permette di risparmiare sui costi di costruzione dei set e di far immedesimare gli attori maggiormente rispetto al dover parlare di fronte a un panno verde pieno di croci. Per creare i set e poi esplorarli, il regista e gli altri capi reparto indossano un visore VR e ci si immergono letteralmente dentro. Ogni tipo di modifica è possibile, e man mano che il set viene plasmato i cambiamenti vengono trasmessi in tempo reale sul video wall che fa da sfondo agli attori. Questa tecnologia è in un certo senso un’evoluzione di quello che ha creato James Cameron con Avatar. Uno strumento che può portare il filmmaking avanti anni luce.
La meraviglia. La rivoluzione tecnologica. L’esperienza. Questo forse è sempre stato – o è diventato – Guerre Stellari, ancora prima di essere una buona storia (qualcuno ha detto “Episodio IX”?)
Quindi forse è per questo che The Mandalorian sta piacendo così tanto.
Io non amo Star Wars. Potete spararmi. Per primi.