Star Wars – The Mandalorian: l’episodio 6 secondo Nanni Cobretti

Star Wars – The Mandalorian: l’episodio 6 secondo Nanni Cobretti

Di Nanni Cobretti

Prosegue la nostra recensione a catena di The Mandalorian, la serie targata Disney+ ambientata nella Galassia lontana lontana, che ci accompagnerà per tutta la stagione e vedrà la partecipazione di autori come Roberto RecchioniDocManhattanNanni Cobretti. Dopo i primi due episodi, recensiti da Roberto Recchioni, il terzo recensito da DocManhattan, il quarto da Nanni Cobretti, il quinto recensito sempre da DocManhattan, la palla torna a Nanni Cobretti per l’episodio 6…

THE MANDALORIAN – Episodio 6

di Nanni Cobretti

Guardare The Mandalorian ormai è come vedere una squadra di calcio che per tornare a vincere rispolvera il catenaccio, la marcatura a uomo, il libero, il contropiede coi lanci lunghi, il mastino di centrocampo che strappa i palloni e poi la passa sempre al compagno più vicino, il fantasista che quando non ha la palla trotterella per il campo come se stesse pensando a cosa mangiare per cena, il centravanti spilungone che spizza tutti i palloni alti e coi piedi la mette dentro sì e no con la porta vuota. L’importante è che vinca, no? Siamo d’accordo. Una volta si vinceva così, e volendo anche oggi si vince così se tutti gli 11 in campo sono concentrati e fomentati come degli animali.

Però sinceramente un retrogusto amaro mi rimane, perché certe cose me le aspetto dai film di Stallone e Jason Statham, ma Star Wars ha sempre riciclato, cucito e rimescolato come base per accompagnare verso qualcosa di mai visto prima, per stupire. The Mandalorian è invece il contrappasso dei rischi presi da Last Jedi: conservatorismo puro, le formule e gli stilemi di 60 anni fa rifatti per il puro gusto di farli bene. Correggere le scommesse andate male non giocandosele meglio, ma non scommettendo più.

Mi piace? Sono contento? Sì, molto.

Mi auguro che questo sia il futuro del franchise? No, neanche per sbaglio, e per fortuna non lo sarà – leggo ad esempio di un imminente spin-off su Dottor Aphra, un personaggio che nemmeno conosco, un’archeologa spaziale moralmente ambigua che viene da un fumetto del nuovo canone espanso del 2016.

La sensazione oggi è che l’imminente Episodio IX finisca la saga di Star Wars per come la conosciamo, il grande kolossal condannato ad accontentare tutti, e che in questo momento si ritenga più saggio sfruttare Disney+ per ghettizzare ogni tipologia di fan verso il tipo di spin-off che meglio lo rappresenta. O, semplicemente, soddisfare esigenze diverse in serial diversi.

Ad ogni modo: il tocco old school di The Mandalorian che apprezzo maggiormente è il ritorno alla serialità a episodi autoconclusivi, e i motivi sono due: 1) si segue meglio la programmazione in diretta, non potendo fare binge; 2) le recensioni di ogni singolo episodio diventano più facili…

Del resto c’è sempre un pericolo che si corre in operazioni di questo tipo: recensisci che ne so, sparo a caso, l’episodio 4, e ti viene da dire “sì, molto divertente, ma che palle con ‘sta cosa che riciclano trame ultra-classiche”, poi arrivi all’episodio 6 ed è uno stratagemma talmente assodato che è un po’ come lamentarsi che Stranger Things strizza l’occhio alla cultura pop anni ’80. È chiaramente parte integrante e attiva della mission aziendale e non ha senso accusare gli sceneggiatori di scarsa fantasia. Ogni serial avrà la sua cifra, e Mandalorian è qui per ripassare le trame più abusate dei chanbara/western.

In questo episodio, Mando (nomignolo terribile che mi ricorda il comico meno divertente di tutti i tempi, Marco “Mandi Mandi” Milano) accetta di fare due spicci aiutando una crew di ex-colleghi malfidati e nemmeno particolarmente svegli a compiere una missione apparentemente non troppo complessa.
È un’occasione d’oro per vedere nuovi esponenti di classiche razze stellari, tipo una “Twi’lek” di nome “Xi’an” e un “Devaroniano” di nome “Burg”.
Tranquilli che ora vi rinfresco.

I “Twi’lek” sono umanoidi con due code in testa. Xi’an, interpretata da Natalia Tena (Nymphadora Tonks nella saga di Harry Potter), in quanto femmina ricorda Oola, la cantante della Max Rebo Band che si esibisce per Jabba the Hutt nel Ritorno dello Jedi, ma in realtà i Twi’lek possono essere di tanti colori diversi (blu, verde, rosso, giallo…) e anche avere una coda sola, tipo Bib Fortuna.

I “Devaroniani” invece sono rossi con le corna come nella più tradizionale raffigurazione iconografica di Satana, cosa che li rende immediatamente simpatici. Se ne vede uno nella Cantina di Episodio IV, e questo Burg è interpretato da Clancy Brown (Kurgan in Highlander, Mr. Krabs in Spongebob).

Mayfeld invece, interpretato dal famoso comico Bill Burr, dall’accento è chiaramente un “Bostoniano” (razza proveniente dal Massachusetts, prima apparizione in assoluto nell’Universo Star Wars che io sappia).

Sarà una coincidenza, ma sono molto contento che finora mi siano capitati gli episodi dove ci si mena di più: Mando deve infatti infatti infiltrarsi in un’astronave della Nuova Repubblica e a un certo punto neutralizzare a cazzotti una manciata di guardie intanto che i suoi compari lo guardano senza intervenire, ed è in momenti come questo che sono contento di imparare che la controfigura di Pedro Pascal è Lateef Crowder, attore/stunt marziale specializzato in capoeira, apparso in The Protector e Undisputed 3 ma anche nel ruolo di Eddy Gordo nel film su Tekken.

Il succo dell’episodio è comunque imparare un po’ di più sul background di Mando, e principalmente sul lato più losco del suo passato: intriga scoprire che abbia avuto una relazione con Xi’an, che pare una donna forte e indipendente ma anche apparentemente priva di morale o anche solo di lati caratteriali piacevoli. Intriga anche vedere con che razza di ignorantissimi bastardi passasse le sue avventure: per completezza cito anche il droide Zero doppiato da Richard Ayoade, ma è Bill Burr a divorarsi la scena di continuo con quel suo carisma buzzurro che lo rende perfetto a fare lo stronzo intergalattico.

Nel frattempo, Funko Yoda continua ad essere un capolavoro di moderazione minimalista, ogni inquadratura una tentazione per esplodere di carinerie irresistibili puntualmente risolta al contrario con il minimo gesto o sfumatura indispensabile.

Insomma: se l’andazzo dev’essere questo, personalmente sarei andato old school 100% e avrei commissionato direttamente una stagione da 23 episodi come si usava una volta, uno di quei bei tv show dei tempi d’oro in cui ad ogni episodio c’era un’avventura diversa e giusto nel gran finale chiudevi qualche questione aperta dal pilot.

Ma mi rendo conto che una stagione limitata, per quanto frustrante, permetta maggior budget, una scrittura curata con maggiore calma, e occasionalmente mostri bellissimi.

Avanti così (in attesa di uno spin-off prequel su Darth Maul ricalcato che ne so, su Dalla Cina con furore).

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