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Hacksaw Ridge – La recensione del film di Mel Gibson, Fuori Concorso a #Venezia73

Pubblicato il 04 settembre 2016 di Lorenzo Pedrazzi

La storia di Hacksaw Ridge affonda le radici nella contraddizione insolubile tra il rifiuto della violenza e l’inevitabilità della Seconda Guerra Mondiale, al di là delle ragioni morali (di matrice laica o religiosa) che stanno alla base del sentimento pacifista. Mel Gibson tenta di esplorare questo conflitto attraverso la vera storia di Desmond Doss (Andrew Garfield), il primo obiettore di coscienza a guadagnarsi la Medaglia d’Onore del Congresso: Desmond rifiutò di portare un’arma durante lo scontro con i giapponesi sull’isola di Okinawa, ma questo non gli impedì di compiere un’impresa epocale.

Il film si sofferma a lungo sulla “formazione” di Desmond, cresciuto in Virginia insieme al padre, alla madre e al fratello maggiore. Dopo aver rischiato di uccidere quest’ultimo durante un litigio, il piccolo Desmond capisce di dover rispettare gli insegnamenti della Bibbia (è un Avventista del Settimo Giorno), e respinge ogni forma di violenza. All’età di 23 anni si innamora di Dorothy, un’infermiera del luogo, ma decide di arruolarsi come soccorritore per offrire il suo contributo alla guerra contro le forze dell’Asse. Il suo rifiuto di portare armi, come obiettore di coscienza, desta sospetti sia tra gli ufficiali sia tra i suoi compagni, portandolo addirittura davanti alla corte marziale per insubordinazione; ciononostante, riesce a far valere le sue ragioni, si sposa con Dorothy e parte per il Giappone. Sull’isola di Okinawa, nella sanguinosissima battaglia per conquistare un promontorio, riesce a salvare ben 75 commilitoni senza sparare un singolo colpo.

Gibson è sempre stato un regista grezzo, brutale, non certo uno schermidore in punta di fioretto. Affezionato a un’idea di cinema che risale ai suoi primi film da produttore e regista, l’attore australiano confeziona un film nettamente diviso in due parti, dove la prima si rivela eccessivamente stucchevole: il candore di Desmond trova in Andrew Garfield l’interprete ideale, ma il copione inanella banalità da fotoromanzo che scimmiottano il peggior cinema romantico, oppure tenta di replicare i codici del genere bellico evocando l’addestramento di Full Metal Jacket e Ufficiale e gentiluomo. Vince Vaughn indossa le inedite vesti di sergente istruttore, e bisogna ammettere che talvolta l’alleggerimento comico funziona, per quanto appaia fin troppo intenzionale.

Il registro cambia nettamente nel secondo “atto”, quando il film s’immerge nel caos della battaglia. Seppur discutibili sotto altri aspetti, registi come Spielberg, Scott e Ayer hanno saputo rappresentare scenari bellici infernali per mettere in scena l’assurdità della guerra e la pietà per le vittime, mentre Gibson sembra rappresentare il conflitto con una morbosità allucinata, tratti quasi estatica, talmente sopra le righe da suscitare il dubbio che non lo prenda nemmeno sul serio. Tra botti assordanti, esplosioni e proiettili che sibilano ovunque, la realizzazione tecnica è pregevole, ma il regista non ha il senso della misura ed enfatizza ogni singola reazione fino al grottesco. Il suo sguardo si normalizza quando entra nel vivo dell’impresa di Desmond, toccando corde più delicate, lontane dal parossismo dello scontro. Certo, la retorica di fondo sfocia nell’esaltazione di una morale esclusivamente religiosa, dettata dall’alto, ma non c’è dubbio che sia fondata su basi ammirevoli («Non si va in guerra per uccidere, si va in guerra per proteggere» dice Desmond) e sul rispetto della fede del protagonista.

Hacksaw Ridge è stato presentato Fuori Concorso alla 73ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. L’uscita americana è fissata per il 4 novembre, mentre in Italia sarà distribuito da Eagle Pictures.

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