Non è difficile scovare le radici letterarie di Arrival, e non solo perché alla base del film c’è il racconto Story of Your Life di Ted Chiang. Se ripensiamo al seminale Mattatoio n° 5, Kurt Vonnegut aveva già isolato – e trasposto in sede fantascientifica – l’idea secondo cui la percezione del tempo non sia universale, e possa cambiare da una civiltà all’altra, da un sistema solare all’altro: ciò che per noi è consequenziale (quindi composto da un prima, un adesso e un dopo), per gli alieni di Tralfamadore è invece contemporaneo, e gli eventi del passato, del presente e del futuro si svolgono tutti nello stesso momento, osservabili dalla distanza come la linea dell’orizzonte da una spiaggia. Ebbene, nel sci-fi di Denis Villeneuve si parla di circolarità, ma il concetto è sostanzialmente lo stesso, e rappresenta la chiave narrativa di una trama prismatica dove l’apparenza è spesso ingannevole.
Questo approccio maturo e raffinato al genere fantascientifico (così diverso dalle consuetudini hollywoodiane, che tendono a “infantilizzare” il pubblico) si traduce in una storia intimista che pone al centro l’umanità dei personaggi, fin dalle prime immagini: con un montaggio delicatissimo, sfumato e frammentario come solo i ricordi possono essere, Villeneuve mette in scena l’amore di Louise (Amy Adams) per la figlia Hannah, e il dolore straziante ma silenzioso per la sua morte prematura. Linguista di fama mondiale, Louise si porta dietro questa sofferenza in ogni gesto, ma un evento epocale la costringe a mettere le sue conoscenze al servizio del governo americano: dodici astronavi, simili a gusci giganteschi, si posizionano in punti diversi del pianeta, e serve qualcuno che trovi un modo per comunicare con i misteriosi visitatori. Louise unisce quindi le forze a un fisico teorico, Ian (Jeremy Renner), per imparare il linguaggio degli alieni e scoprire le loro intenzioni.
La costruzione del “primo contatto” è estremamente ragionata e graduale, e Villeneuve genera la suspense senza bisogno di espedienti gratuiti, ma con la semplice consapevolezza di affrontare l’ignoto. E Arrival parla proprio di questo: fronteggiare l’ignoto per crescere come specie (prima che come singoli individui), scrutando un abisso dove i “mostri” sono l’emblema del “diverso”. Si tratta di una fantascienza progressista e vagamente messianica, nella tradizione di Incontri ravvicinati e Contact, anche se lo sguardo del cineasta canadese ha una tensione contemplativa che si ispira a Kubrick: l’utilizzo dei campi lunghi o totali, la fredda geometria degli ambienti e la lividezza dei colori non fanno altro che valorizzare l’estraneità degli alieni, grazie a una regia rigorosa che gioca sulle opposizioni cromatico-luministiche tra i flashback e il presente, ma anche sulla mobilità o sulla stabilità della macchina da presa.
Le qualità formali di Arrival sono al servizio di un intreccio che, come nei precedenti film di Villeneuve, ritrae una genitorialità complessa e sofferente: la perdita, sia essa momentanea o definitiva, ha un ruolo importante nel suo cinema, e lascia cicatrici che influenzano il cammino dei protagonisti nello sviluppo della trama, come se fossero costretti a intraprendere un percorso di recupero attraverso l’interiorizzazione o la vendetta. Louise interiorizza, ovviamente, e fa tesoro della sua esperienza per comprendere il linguaggio dei visitatori e il loro scopo sulla Terra. Questo processo germoglia da un colpo di scena molto efficace, poiché agisce sulla struttura stessa del racconto e sulle aspettative del pubblico: ribaltando la prospettiva sulla vita di Louise, Arrival ci spalanca gli occhi su un “altrove” spaventoso, inedito e ricco di occasioni, mutando la nostra concezione della realtà. Di fatto, il dialogo con l’altro da sé – e l’acquisizione di un linguaggio, di un sistema di comunicazione totalmente diverso – ci arricchisce e ci proietta verso un nuovo livello di autocoscienza, ci eleva oltre i nostri limiti. Il dono dei visitatori alieni, in fondo, è proprio questo.
Arrival, presentato in concorso alla 73ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, uscirà nelle sale il prossimo 24 novembre, distribuito da Warner Bros..
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