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Dopo aver vinto l’anno scorso il premio per il miglior film, l’Audience Award 2014, con la pellicola The Eternal Zero il regista Takashi Yamazaki è venuto quest’anno al Far East Film Festival per presentare la sua ultima fatica: i film Parasyte Part 1 e Part 2 ovvero l’adattamento cinematografico del manga Kiseiju – L’ospite indesiderato di Hitoshi Iwaaki.
I due film girati uno dietro l’altro, ma con due post-produzioni separate, segnano la quarta collaborazione tra il filmaker e il produttore Keiichiro Moriya. Un’esperienza questa che è cominciata sul set di Always – Sunset on Third Street (2005) ed è poi continuata con The Eternal Zero (2013) e il lungometraggio animato in computer grafica Stand by Me Doraemon (2014).
Del primo film di Parasyte ce ne aveva parlato il nostro Matteo Boscarol, lo scorso autunno, qui potete trovare la sua recensione. Noi vi parleremo invece brevemente della seconda parte, mostrata a Udine pochi giorni dopo dalla sua uscita in Giappone (25 aprile).
In questo secondo capitolo riprendiamo esattamente dove eravamo rimasti, Shinichi ha deciso di sconfiggere tutti i parassiti e Migi non potrà fare a meno di aiutarlo.
Anche in questo caso sono stati eliminati alcuni personaggi con un ruolo di rilievo nel fumetto, stiamo parlando di Kana Mikishima e della vecchia Mitsuyo. Inoltre è stato apportato un cambiamento molto importante riguardante Satomi, la ragazza di Shinichi. Nel film è a conoscenza dei parassiti mentre nel manga è all’oscuro per tutto il tempo, e questo particolare permette di creare una Satomi più intraprendente e un rapporto più interessante tra i due protagonisti.
Il ritmo calzante e le atmosfere da commedia horror della prima parte vengono abbandonate a favore di una pellicola più riflessiva che concentra l’attenzione su temi come la maternità e i legami che si instaurano tra i non consaguinei – quest’ultimo è un tema molto caro a Takahashi, che affronta nelle sue opere sin dai tempi di Always – il nucleare e l’ambiente, ampliando quanto visto nel manga di Iwaaki.
Infine viene messo ben in evidenza come né gli esseri umani e né i parassiti siano né dalla parte del bene né da quella del male, ma in quella zona grigia dove i confini tra lo ying e lo yang non sono ben distinti.
Questi momenti di ‘riflessione’ mettono ancora più in evidenza gli scontri chiave della storia, lasciando l’impressione che il resto della pellicola esista in funzione di queste scene.
Chi ha invece letto il manga penso che apprezzerà invece di più questa seconda parte rispetto alla prima, per le modifiche apportate rispetto alla storia originale.
In una sorta di tavola rotonda il produttore Moriya ha ammesso di non aver mai letto lo script della versione americana del film, mai realizzata. Moriya ha spiegato che gli americani hanno avuto delle difficoltà con l’adattamento del manga perché non vi era una distinzione netta tra il bene e il male. Un elemento comune nelle storie giapponesi.
Yamazaki ha ammesso che la lunghezza del manga originale, 10 volumetti, ha provocato qualche difficoltà nell’adattamento, per questo motivo ha deciso di eliminare alcuni personaggi come il padre di Shinichi ad esempio. Questa scelta gli ha inoltre permesso di creare un grande senso di solitudine attorno al protagonista.
Di seguito potete ascoltare la nostra breve intervista a Moriya e a Takahashi, in cui ci parlano delle sfide che hanno dovuto affrontare nel trasformare in 3D Doraemon nel film, Doraemon – Il film, e dei criteri che spingono il regista a realizzare così tanti live action. Nel descrivere il rapporto con il produttore il filmaker cita la vecchia trilogia di Guerre Stellari.
Potete trovare qui sotto i link per la nostra copertura della 17ma edizione del Far East Film Festival.
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