Tre anni. Sono passati tre anni da quel febbraio 2022 in cui, dopo aver visto in anteprima tutta la prima stagione di questa nuova serie di Apple TV+ intitolata Severance (Scissione, da noi), scrissi questa recensione euforica in cui citavo Fantozzi, The Leftovers e i giochi della serie BioShock. Tre anni trascorsi a ripetere ad amici e conoscenti che Scissione è uno degli show più avvincenti degli ultimi tempi, qualitativamente sublime, raffinato come poco altro. A dire che se fosse finito su una piattaforma con maggiore diffusione qui nel Bel Paese rispetto ad Apple TV+, ne avrebbe parlato chiunque, come Ted Lasso e For All Mankind, e pure più di Ted Lasso e For All Mankind. Tre anni, soprattutto, in cui non vedevo l’ora che si riaprissero le porte della Lumon per vedere cos’era successo dopo quel cliffhanger multiplo a cui il finale della stagione 1 aveva lasciato appese le vite di Mark, Dylan, Helly e Irving. Fast forward a qualche giorno fa: ho visto in anteprima i primi 6 episodi della stagione 2 di Scissione, che sarà composta in totale da 10 puntate, debutterà su Apple TV+ il 17 gennaio e andrà avanti a cadenza settimanale. E sì, come da titolo, è valsa la pena di aspettare per tutto questo tempo. Ma prima di proseguire, sarà meglio chiarire a quale sezione della megaditta Lumon assegnarvi. Nessuno spoiler, tranquilli.
Nessun problema. Vi siete solo persi LO show distopico più intrigante degli ultimi cinque, forse 10, magari pure 15 anni. Ma si recupera in fretta: la prima stagione di Scissione dura solo 9 episodi. Tutto ciò che vi serve sapere è che Mark Scout (Adam Scott) è il responsabile di un piccolissimo team alla Lumon Industries, mega corporation in cui i dipendenti di un apposito settore sono stati sottoposti a una procedura chirurgica per separare, attraverso un chip nel cervello, i ricordi della vita lavorativa da quelli della vita privata. L’arrivo di una nuova collega, Helly (Britt Lower), e una serie di eventi turbano però lo status quo, la routine sempre uguale e totalmente alienante in cui sono immersi Mark, Dylan (Zach Cherry) e Irving (John Turturro)…
Non vi serve altro. Cioè, tranne sapere che se fate o avete fatto per anni, come chi scrive, una vita d’ufficio, rischiate di vivere il tutto in modo ancora più intenso. Nella summenzionata e su-linkata recensione della Stagione 1, nel 2022, scrivevo: “Per quanto sia un po’ scontata la metafora dell’ambiente lavorativo estraniante, dell’inferno/purgatorio delle otto ore di cartellino in compagnia di devoti leccaculo aziendalisti e ribelli con la sciarpa rossa come Folagra, e per quanto si sia già descritto altrove, tanto e bene, il difficile punto di equilibrio nel bilanciamento tra vita e lavoro, Scissione riesce a infilarti sotto pelle da subito un senso di disagio efficacissimo. Gli spazi vuoti, la routine che si estende agli oggetti, a quei colori. All’apparente inutilità dei propri compiti, cose che fai perché ti viene detto di farlo, senza capirne lo scopo.
Ora, se sommate la sensazione terribile di non sapere perché sei lì e cosa ti ha spinto ad affrontare un passo del genere, la Scissione del titolo, è evidente che la tua scrivania, il tuo cubicolo, diventa più asfissiante di qualsiasi cella. E intanto, mentre Mark e gli altri lottano contro le proprie teste, chi è seduto davanti al televisore è consumato dalla voglia di sapere cosa c’è dietro”.
Dal futuro del 2025, confermo ogni singola sillaba. Andate, spendete poco meno di 9 ore della vostra vita per guardare dell’ottima televisione, prodotta e in parte diretta da Ben Stiller, e poi tornate qui a leggere il resto. Non scappiamo, promesso.
Avete visto la stagione 1? Bene, possiamo proseguire. Avevo qualche timore in merito a questo secondo giro di giostra, lo confesso. Non perché non avessi fiducia in Dan Erickson (creatore della serie) e Ben Stiller – dopo l’ottimo lavoro svolto con il primo lotto di episodi, se la sono meritata tutta – ma perché il finale della stagione 1 aveva alzato talmente tanto sia la posta che l’asticella, portato quel crescendo di tensione a un punto talmente alto da approssimarsi a quello di rottura. Quanto a lungo, mi dicevo, puoi continuare a tessere la tua tela di mistero e intrighi, dopo aver mostrato le conseguenze di quella gita nelle vite degli “outies” del finale della stagione 1? Ho visto troppe serie dalle premesse avvincenti crollare su se stesse quando è arrivato il momento di trasformare quello spunto brillante in uno show da più stagioni, di costruire dell’altro dopo un abbrivio seducente. Girare su se stesse, perdendo progressivamente smalto e spettatori.
Fortunatamente, i 6/10 della stagione 2 di Scissione che ho visto dicono tutt’altro. E mi hanno lasciato con una scimmia di dimensioni tali che al confronto King Kong è un moscerino della frutta.
Erickson e il suo team di sceneggiatori hanno dosato sapientemente gli ingredienti a disposizione, allontanando la possibile frustrazione nello spettatore. Perché alle nuove domande, di cui inevitabilmente i nuovi episodi ti cospargono il capo, si affiancano delle risposte. Capiamo una serie di cose su cosa sta davvero succedendo lì dentro, mentre il quadro si allarga, subentrano nuove figure e nuovi misteri, e i volti già noti vengono illuminati magari da una luce diversa. Succede ovviamente per Helly, ma anche per Mr. Milchick (Tramell Tillman) e Harmony Cobel (Patricia Arquette).
Scissione ha dalla sua una carta vincente come la natura doppia dei suoi protagonisti. Gli impiegati “severed” della Lumon, scissi in due entità separate, possono essere là fuori molto diversi, abbiamo scoperto nella prima stagione. Possono essere lì per motivi differenti da quelli che pensiamo. Il discorso viene ulteriormente portato avanti, con digressioni filosofiche interessanti: si può arrivare a odiare il te stesso che conduce una vita all’esterno? Se la persona che sei in ufficio viene meno, è come se quella parte di te morisse? Di nuovo: se, pur senza chip piantato nel cervello, avete vissuto sensazioni analoghe per la routine di 8 ore dentro una stanza, 8 ore molto diverse dal resto del tempo trascorso fuori, a stretto contatto tutti i giorni con persone di cui sapevate in realtà poco e nulla, questi temi vi esploderanno nella testa quanto e più dell’indottrinamento del compagno Folagra a Fantozzi.
Gli autori lo sanno bene, e su questo filo sottile camminano in equilibrio da acrobati circensi, episodio dopo episodio, lasciandoti con la voglia di saperne di più. Non solo delle vite di Mark Scout e colleghi, di quello che otterranno ora che hanno inseguito il bianconiglio giù per la tana degli spregevoli, abietti, infantili metodi di una multinazionale totalmente priva di scrupoli. Perché magari anche della tua, di vita, vorresti sapere di più; ottenere delle risposte, che qualcuno arrivi a spiegarti se ha avuto un senso, e se sì quale, dover sopportare per anni vicini di scrivania che ascoltavano cose tipo Álvaro Soler tutto il santo giorno. Senza le cuffiette.
Guarda abbastanza a lungo nei colori perfetti e gelidi, negli spazi liminali, nei corridoi vuoti e tutti uguali da fantascienza anni 70, nelle brochure simmetriche, nei modi sorridenti e affettati e feroci dei suoi supervisori, e Scissione guarderà dentro di te. Canticchiando Mira, Sofía.
Il modo in cui Scissione ti spiazza è da manuale dell’intrattenimento seriale fatto come si deve. Gli elementi più bizzarri e disorientanti della storia (gli agnellini della stagione 1?) non vengono abbandonati a sé stessi, ma ripescati sviluppando le rispettive sottotrame. Tanto di ciò che ci sembra più assurdo della Lumon viene ricondotto a una surreale mistica del fondatore, Kier Eagan. Pure qui, Fantozzi prima di tutti, con la differenza che qui c’è chi a questo catechismo del megadirettore ci crede eccome, con fanatismo da fondamentalista e occhi da pazzo.
Ma non è solo questo.
In che anno credete sia ambientato Scissione? Provate a rispondere in base a quello che ricordate della stagione 1. Mettendo in fila tutte le auto del parcheggio, nessuna delle quali, a occhio, immatricolata dopo i primi anni 80; i computer e gli schermi in stile anni 90; i cellulari odierni come quello di Marc. Tutto è volutamente indefinito per non dare punti di riferimento, per lasciarti alle prese con uno smarrimento calcolato, esattamente come i dipendenti di Lumon quando tornano “innies” uscendo con le pupille dilatate da quell’ascensore.
La tensione cresce, l’episodio arriva alla fine e voi ne vorrete vedere ancora, e comincerete/riprenderete a chiedervi come mai non stiano tutti parlando di questa perla, là fuori. Tre anni fa, concludevo l’analisi della stagione 1 scrivendo che dopo averla vista, sui titoli di coda dell’ultimo episodio, avreste desiderato solo una cosa: “una macchina del tempo per andare a guardare direttamente il primo episodio della prossima stagione, quando sarà”. Quel momento è stato questa settimana per me, la prossima per voi. Ma ora, appeso come sono rimasto appeso a meta della stagione 2, sono di nuovo al punto di partenza, e le parole finali di quella recensione calzano ancora come guanti: “A quel punto, la scissione l’avrete subita anche voi, e ci saranno due voi stessi. Quello che vuole sapere come continua e quello che… no, uguale”.