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The Queen of Villains: il wrestling femminile giapponese degli anni 80, per noi orfani di GLOW

Pubblicato il 25 settembre 2024 di DocManhattan

La settimana scorsa mi trovavo in Giappone per una vacanza, e mentre gironzolavo per il popolare (e sempre popolatissimo) quartiere di Shibuya, era virtualmente impossibile non imbattersi in pubblicità, striscioni, maxischermi e gigantografie dedicati a una nuova miniserie appena uscita su Netflix, The Queen of Villains (in originale, Gokuaku Joo). Ora, per quanto anche in questo caso si parli di lottatrici di wrestling degli anni 80, The Queen of Villains è in realtà una serie molto diversa dall’incompiuta GLOW, perché innanzitutto molto più focalizzata su quanto avviene sul ring. Ma tanto un finale di GLOW non l’avremo probabilmente mai, e allora possiamo goderci in cinque sole puntate la storia di Kaoru e di come il suo sogno di diventare una stella del puroresu (il wrestling giapponese) l’abbia portata a diventare una delle cattive più popolari di sempre dello sport entertainment. La serie è solo sottotitolata in italiano, al momento, ma è un bene: perdersi le urla in giapponese attorno al ring sarebbe un crimine.

The Queen of Villains è una versione romanzata della storia vera di Kaoru Matsumoto, meglio nota come Dump Matsumoto, una delle lottatrici che vestivano i panni delle cattive (“heel”) più popolari negli anni 80 nella All Japan Women’s Pro-Wrestling (AJW). Gli anni in cui, spesso in coppia con l’altrettanto feroce Bull Nakano e le altre componenti della stable Atrocious Alliance, Dump affrontava le eroine della federazione (“face”), le belle e canterine Crush Gals (Lioness Asuka e Chigusa Nagayo).

Nonostante alcune sporadiche apparizioni nelle leghe occidentali (ad esempio in WWE – allora WWF – a metà anni 80) e ai passaggi televisivi sulle nostre reti private, ai tempi in cui impersavano il “catch” e le telecronache del grande Tony Fusaro, atlete come Dump Matsumoto sono relativamente sconosciute da noi, ma godono ancora di una grandissima popolarità in Giappone. La cattivissima per copione Dump, vestita di pelle nera, con i capelli ossigenati e armata di una bastone da kendo, è una figura entrata nell’immaginario collettivo nipponico, ed è apparsa tra gli anni 80 e 90 in videogiochi, fumetti e film. Ci sono perfino dei videogame SEGA, per sala giochi e Master System, a lei dedicati.

La vera Dump Matsumoto e il suo videogioco.

A interpretare la protagonista in The Queen of Villains è la comica giapponese Yuriyan Retriever, che per questo ruolo è ingrassata di quasi trenta chili. The Queen of Villains ha la struttura tipica dei drama, le serie TV giapponesi, sia nella composizione della storia e dei dialoghi che nella confezione visiva, con tanto di tipici flashback ammantati dal bagliore. La storia è però avvincente, la ricostruzione storica accurata e le attrici in parte. A guardarle muoversi sul ring sembrano proprio far sul serio, lanciarsi in dropkick e suplex senza risparmiarsi, e infatti la protagonista ha raccontato sul suo profilo Twitter di una brutta botta rimediata alla testa durante le riprese.

Per chi ama il puroresu, al di là del viaggio nei ricordi, forse l’aspetto più apprezzabile della miniserie è il fatto che mostra la dedizione assoluta di chi pratica questa forma di spettacolo. Il che, nella declinazione giapponese, vuol dire spingere tantissimo per rendere più credibile quella che è essenzialmente una coreografia dall’esito predeterminato, andandoci giù duro tanto nei colpi quanto nella severità degli allenamenti delle aspiranti lottatrici. Se avete mai visto un match di puroresu, oltre alla pioggia di stelle filanti sul ring, a caratterizzare quegli incontri sono anche gli spettatori seduti attorno al ring che vengono mandati gambe all’aria al passaggio di un heel. Ecco, quel tipo di realismo all’interno di una finzione.

Arrivati alla fine della serie, dopo circa cinque ore spalmate su altrettante puntate, non potrete che voler bene a Kaoru/Dump, e magari vi verrà voglia di recuperare su YouTube qualche match con queste leonesse del ring, che ruggiscono ancora oggi, quarant’anni dopo. Simbolo di un’era in cui se gli schemi dello spettacolo ti impedivano di diventare una buona con l’hobby di incidere dischi di J-Pop, potevi farti largo verso la gloria a suon di bastonate.

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