Takeshi Kitano. Uno ne fa il nome e via ad immaginare sparatorie, sangue, gangster, neo-noir in salsa giapponese, la sua capacità poi di spaziare, parlarci del singolo in cerca di un senso, di un’identità, nella società nipponica ma non solo. Invece, Broken Rage è il suo ritorno alla commedia demenziale, alla sperimentazione, con ritmi e idee da cabaret e anche da cartoon.
C’è un killer in azione. Si fa chiamare Topo, ha il volto di un Takeshi Kitano settantenne e freddo. Riceve sempre nello stesso bar sia i soldi che gli incarichi da un misterioso “M”, assolve il suo compito con ferocia e freddezza, facendo perdere le sue tracce ogni volta. Beh, quasi ogni volta. I detective Inoue (Tadanobu Asano) e Fukuda (Nao Omori) lo arrestano e gli danno una sola possibilità: infiltrarsi nella gang del narcotrafficante Tashida (Shido Nakamura) ed aiutarli in qualità di informatore ad incastrarlo. Messa così, Broken Rage pare il classico film alla Outrage o Fiori di Fuoco; invece, Takeshi Kitano in poco più di 60 minuti torna ad accarezzare le venature di certi suoi esperimenti artistici come furono a suo tempo Getting Any? e l’iconica trilogia del suicidio dei primi anni 2000. Ma non si può non pensare anche a un contenitore dei suoi principali temi, con la Yakuza, la solitudine, la mancanza di pietà nel Giappone, il voler chiamare in causa gli elementi del noir classico, e l’inevitabilità della sconfitta.
Sì, perché Broken Rage, dopo la prima metà in cui tutto è volutamente forzato, ridicolo, al limite della creazione alla Lory Del Santo, dove decostruisce i cliché dello Yakuza Movie che lui stesso ha reso mito, si apre a un multiverso. O almeno così parrebbe, perché Broken Rage ricomincia e stavolta tutti sono ridicoli: da Topo ai due detective, ai gangster. Si tratta di un’unione di sketch, gag, stupidate varie, dove c’è tutto e il contrario di tutto: gag alla Benny Hill, alla Looney Tunes, Tom & Jerry, ma ci sono anche omaggi alla comicità slapstick, a Buster Keaton e simili. In mezzo, un intervallo in cui si imita una chat, dove ci si lamenta o si cerca di capire che diavolo stia facendo Takeshi Kitano. Ci è o ci fa? Broken Rage è 60 minuti scarsi, la metà degli altri film visti qui a Venezia 2024, ed è un film alla Kitano pur nella sua atipicità. È un film per Kitano e i suoi fan, ma anche gli altri potranno gioire di questa bambinata genuina e geniale. L’insieme è molto televisivo, molto anni ’80, con una fotografia elementare, gag studiate sull’assurdo e il ridicolo, con Takeshi che si aggira arrugginito sapendo di essere perfettamente fuori parte, ed è per questo che è perfetto. Asano, Omori e Nakamura gli reggono il gioco, palesemente improvvisando, con qualcosa a metà tra lo show da sabato sera e lo sketch da scuole medie. Tutto è così palesemente fuori posto, tutto è così libero, che è impossibile resistere a questo vecchio asso, questo vecchio maestro che ha cambiato tutto nel cinema nipponico, anche al costo di rischiare tutto, di passare da successo a flop in continuazione. “Se piacerà a tutti, ne sarei entusiasta”. Ennesima voglia di reinventarsi, di scoprire qualcosa di nuovo oppure provocazione? Mah. Intanto, però, si aggiunge a El Jockey e Diva Futura nel portare un po’ di fantasia allegra lì dove i mega-autori e i filmoni hanno veramente deluso.
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