“Noi non siamo i morti che camminano” è una frase importante nel finale (fumettistico) di The Walking Dead, perché riprende una battuta di Rick Grimes (“Noi siamo i morti che camminano”) e la ribalta, testimoniando in maniera inequivocabile l’ottimismo di fondo del fumetto di Robert Kirkman e Charlie Adlard: lottando insieme è possibile superare qualunque ostacolo, anche i più ardui, e risollevarsi per ricostruire.
Nel finale (televisivo) di The Walking Dead, è un altro personaggio, ovviamente, a pronunciare quella battuta, in un contesto molto diverso ma con lo stesso senso. The Walking Dead, la serie, ha spesso scelto questo approccio, “remixando” il fumetto, utilizzandone battute e storyline applicate, però, a personaggi diversi, e lo stesso fa la showrunner Angela Kang in questo ultimo episodio, da lei scritto e diretto dal veterano Greg Nicotero.
Daryl e i nostri si sono ritrovati circondati dai morti viventi al termine dello scorso episodio, con Judith ferita e il Commonwealth sotto attacco da parte di un gregge scatenato dalla stessa governatrice Milton per errore. Siamo dunque al confronto finale: da una parte i nostri eroi, impegnati allo stesso tempo a tenere a bada i morti e a salvare il Commonwealth dalle forze corrotte che l’hanno governato finora; dall’altra Pamela Milton e i suoi fedelissimi, che si sono asserragliati nella tenuta della governatrice lasciando a morire il resto della popolazione.
L’ultima parte della stagione 11 ha presentato al pubblico qualcosa che non aveva mai visto prima nella serie: un conflitto tanto fisico quanto intellettuale, politico, persino allegorico per come ha rispecchiato da vicino la nostra attuale società, le sue ingiustizie e i suoi squilibri. Il ritorno al vecchio mondo progettato da Milton è servito a dirci che non ha mai senso guardarsi troppo indietro, con nostalgia, ma che è sempre necessario guardarsi avanti e riadattarsi al contesto per prosperare. In una serie in cui tutte le principali coppie sono multirazziali, il messaggio finale non poteva che essere questo: anche dall’apocalisse possiamo uscirne migliori, basta volerlo.
E, per carità, sono tutti concetti estremamente interessanti, così come l’idea di cambiare radicalmente l’ambientazione della serie per raccontare una società apparentemente solida, che ha smesso di scappare e non sta più semplicemente sopravvivendo, ma se la vive bene. Peccato che, come tutte le idee migliori, anche queste vengano da Kirkman, e che siano state sviluppate in maniera poco convincente nella serie. Non tanto per colpa degli autori coinvolti, probabilmente, ma più che altro per pure ragioni di calcolo da parte di AMC: The Walking Dead era forse una bestia ormai sempre più costosa, dato il cast corposo, gli effetti speciali e visivi e i set impegnativi. Chiuderla aveva senso, ma non c’è mai stata l’intenzione di farla finita davvero. L’universo di TWD doveva sopravvivere alla serie madre, e dunque questo finale di serie doveva essere solo una tappa sul percorso, una porta che avrebbe condotto a un nuovo crocevia pieno di possibilità. Più che un finale di serie, un finale di stagione.
E così è stato: dopo una stagione molto timida, con pochissimi colpi di scena e ancor meno morti illustri, siamo giunti a questo “Riposa in pace”, in cui tutto si è concluso in maniera innocua – anche per colpa degli annunci sugli spin-off, che ci hanno tolto il piacere di scoprire chi sarebbe sopravvissuto e chi sarebbe morto, sempre per il discorso sul “calcolo” della rete. Un finale con cui, più che dire addio ai protagonisti di TWD, diciamo loro “arrivederci”, perché in un modo o nell’altro li rivedremo. Dopo tutto sono in arrivo uno spin-off su Negan e Maggie, uno su Daryl e uno su Rick e Michonne.
Ma questo depotenzia tremendamente l’impatto del finale, cosa ancora più evidente se, di nuovo, andiamo a confrontarlo con il fumetto. Angela Kang sceglie di adoperare lo stesso escamotage per chiudere, ovvero un flashforward per mostrarci le conseguenze della battaglia finale. Nel fumetto si tratta di un salto di molti anni, nella serie di appena uno. Da un lato abbiamo uno sguardo verso il futuro, che dimostra come gli sforzi dei nostri hanno pagato, e come una nuova e stabile società sia nata dalle loro fatiche. Nella serie l’idea di fondo è la stessa, ma saltare avanti di un anno solo non fa che amplificare questo senso di incompiutezza. Anziché suggellare narrativamente e tematicamente la saga, la fa sopravvivere lasciando aperta ogni porta possibile, e arrivando addirittura ad accennare ai prossimi spin-off. Tutto è transitorio, niente è definitivo, e, francamente, dopo dodici anni di fedeltà, il pubblico si sarebbe meritato di meglio. Qualcosa di un po’ più coraggioso, se non altro, anziché questo finale sottotono che suona come un’ammissione di sconfitta, come se, resisi conto in ritardo che ormai la serie non era più il titano della cultura popolare di un tempo (nonostante gli ascolti ancora molto buoni), i dirigenti AMC si fossero affrettati a chiuderla senza tante cerimonie.
E dire che, stavolta, Angela Kang e soci hanno avuto a disposizione ben ventiquattro episodi, otto in più rispetto alla norma. Se siamo arrivati a un finale del genere, dunque, non lo si deve alla fretta, ma a un progetto ben preciso che ha tarpato le ali agli sceneggiatori per ragioni tutto sommato futili, l’attaccamento a un universo narrativo che, dopo la chiusura di questa serie, non si ripeterà mai agli stessi livelli.
Sia chiaro, chi scrive si precipiterà a vedere gli spin-off, e quindi forse ha ragione AMC. Ma si tratterà di postille a The Walking Dead, non certo di prodotti che potranno ambire a sostituirla nella coscienza collettiva. Sul lungo termine, la strategia AMC pagherà? Resta da vedere, ma è facile presupporre di no.
Il colpo di scena forse più frustrante dell’episodio è il ritorno, negli ultimissimi minuti, di Danai Gurira e Andrew Lincoln nei panni di Michonne e Rick. Un ritorno completamente slegato dagli eventi della serie, buono solo per lanciare l’imminente spin-off incentrato su di loro. Ennesima scelta che depotenzia questo finale, aprendo un’altra strada che verrà percorsa prossimamente e che potrebbe ricondurre proprio ad Alexandria e ai figli della coppia, Judith e R.J., a cui è affidata la chiusura di questo episodio – con la nuova generazione che guarda verso un possibile futuro di pace. Una chiusura, lo ribadiamo, che verrà inevitabilmente indebolita dal loro ritorno. Quelle poche scene in cui ci viene mostrato Rick, intento a mandare ai suoi cari un messaggio per essere ritrovato (e dunque un flashback, precedente all’ultima volta che abbiamo visto Michonne), ci ricordano quanto l’assenza di Lincoln nella serie sia pesata. E potrebbero non essere nemmeno scene girate apposta per questo episodio, ma una sorta di teaser dello spin-off. In entrambi i casi si tratta comunque di una mossa disonesta, che dà al pubblico quello che voleva – il ritorno di Rick e Michonne – senza darglielo davvero.
Ci sono stati finali peggiori nella storia della televisione americana, ma quello di The Walking Dead verrà ricordato, forse, come il primo finale dell’era degli “universi”. In cui nulla può finire davvero, perché nulla si distrugge e tutto si trasforma.