Il dibattito tra Martin Scorsese e i sostenitori dei film Marvel sembra non essere destinato a cessare molto presto. Ma ora, il regista di The Irishman arriva in persona per spiegare una volta per tutte, e in dettaglio, la propria posizione in un editoriale pubblicato su The New York Times. Vediamone alcuni estratti…
Molti franchise sono realizzati da persone di grande talento e maestria. Lo si percepisce sullo schermo. Il fatto che i film in sé non mi interessino è una questione di gusti personali e carattere. So che, se fossi più giovane, se fossi cresciuto in epoca più recente, avrei potuto amare questi film e magari anche volerne realizzare uno. Ma sono cresciuto in un’altra epoca e ho sviluppato un senso del cinema – di quello che era e che avrebbe potuto essere – lontano dall’universo Marvel quanto noi sulla Terra lo siamo da Alpha Centauri.
Per me […] il cinema è rivelazione – estetica, emotiva e spirituale. Tratta di personaggi – la complessità delle persone e la loro natura contraddittoria e a volte paradossale, il modo in cui possono farsi del male a vicenda o amarsi a vicenda e improvvisamente trovarsi faccia a faccia con se stesse […].
La chiave, per noi, era che si trattava di una forma d’arte. Se ne dibatteva all’epoca, perciò noi lottammo affinché il cinema fosse riconosciuto come pari della letteratura, della musica e della danza.
Molti degli elementi che per me definiscono il cinema sono presenti nei film Marvel. Ciò che manca è la rivelazione, il mistero o un autentico pericolo emotivo. Niente è a rischio. Questi film sono fatti per soddisfare una specifica serie di richieste, e sono progettati come variazioni di un numero finito di temi.
Sono sequel di nome, ma remake di fatto, e tutto in essi è ufficialmente approvato perché non può davvero essere fatto in altro modo. Questa è la natura dei moderni franchise cinematografici: sono frutto di ricerche di mercato, testati, controllati, modificati, ricontrollati e rimodificati finché non sono pronti per l’assunzione.
La ragione è semplice. In molti posti, sia in questo Paese che nel resto del mondo, i franchise sono la scelta primaria se vuoi vedere qualcosa sul grande schermo. […] Le sale della maggior parte dei multiplex sono piene zeppe di film seriali.
E se mi dite che si tratta semplicemente di domanda e risposta e di dare alla gente quello che chiede, non posso essere d’accordo. È una questione di uovo e gallina. Se dai alla gente una cosa sola e vendi costantemente solo quella cosa, è ovvio che la gente ne vorrà ancora.
Negli ultimi 20 anni, come sappiamo, l’industria del cinema è cambiata su tutti i fronti. Ma il cambiamento più nefasto è avvenuto in gran segreto: la graduale ma inarrestabile eliminazione del rischio. Molti film oggi sono prodotti perfetti, creati per il consumo immediato. Molti di essi sono ben fatti da squadre di individui di talento. Nonostante ciò manca loro qualcosa di essenziale per il cinema: la visione unificante di un singolo artista. Perché ovviamente il singolo artista è il fattore più rischioso di tutti.
La situazione, purtroppo, è che adesso abbiamo due campi separati. Da una parte c’è l’intrattenimento audiovisivo mondiale, dall’altra il cinema. A volte si sovrappongono ancora, ma ciò sta diventando sempre più raro. E temo che il dominio finanziario del primo stia venendo usato per marginalizzare e persino umiliare l’esistenza dell’altro.
Dubitiamo che questi pensieri possano porre fine al dibattito. Anzi, probabilmente getteranno benzina sul fuoco, scatenando ancora il fandom Marvel. Ma si tratta di posizioni lucidissime e chiare anche per chi non le condivide. Se le uniamo a quelle espresse da Scorsese nella video-intervista di ieri, abbiamo un quadro chiaro di ciò che si augura il regista: non che gli studios pongano fine ai franchise, ma che per lo meno usino il loro successo per restituire qualcosa alla cultura.