La settimana scorsa ci eravamo fermati agli oltre 400 milioni di dollari portati a casa dal primo Batman di Tim Burton. A come aveva fatto mangiare la polvere pure a Indiana Jones, nell’89, e provocato una formidabile Bat-Mania in tutto il pianeta. È facile capire perché la Warner Bros. voglia un seguito del film con Michael Keaton e lo voglia subito; eppure perché Batman – Il ritorno (Batman Returns) arrivi in sala occorrerà aspettare tre anni. Buona parte dei quali spesi a cercare di convincere Tim Burton, che non ha alcuna voglia di realizzare un sequel.
In un’intervista del ’92, Burton spiega che lo studio gli è stato alle costole sin dal primo momento in cui ha capito la portata del successo di Batman, cioè subito dopo il primo weekend di programmazione. Ma Tim non vuole saperne, essenzialmente per due ragioni. La prima è che vuole provare a fare altre cose, che prendono la forma di Edward mani di forbice e dell’inizio della sua lunga collaborazione con Johnny Depp. La seconda è che Burton non è in realtà felicissimo di come sia venuto fuori il primo Batman. Dopo l’uscita, ha continuato per un pezzo “a guardarlo e riguardarlo, pensando che si sarebbe potuto fare di meglio e che era pieno di difetti”.
Il tono e il mood del film non erano quelli voluti, e paradossalmente è proprio questo a convincerlo ad accettare alla fine la corte di Warner. Magari con un secondo tentativo potrà raccontare davvero il Batman che ha in testa. Specie se gli troveranno una storia migliore di quella che gli stanno proponendo.
Lo sceneggiatore del primo Batman, Sam Hamm, ha infatti scritto un copione che a Burton non piace per nulla. Ci sono Catwoman e il Pinguino, ma quella trama non sembra andare da nessuna parte. È solo quando salta a bordo Daniel Waters, che Burton ha apprezzato per Schegge di follia (Heathers), che il regista torna a invaghirsi di Gotham City e dei suoi bizzarri abitanti. È Waters a tirar fuori il personaggio di Max Shreck (Christopher Walken), un ricco industriale che pilota per i suoi scopi la candidatura a sindaco del Pinguino. Burton e Waters discutono della storia per un anno, ne vengono realizzate cinque versioni diverse e alla fine Burton chiede a Wesley Strick di apportare delle correzioni dell’ultimo secondo, praticamente a riprese già in corso, per dare maggior senso alla figura del Pinguino e tagliare qui e lì sui costi. Dopo una disputa con Hamm, il nome di Strick non verrà comunque accreditato nella pellicola.
In tutto questo il personaggio di Robin, fortemente voluto dalla produzione, viene lasciato da parte per un eventuale terzo film, perché Waters non lo sopporta, e arriva a definirlo il più inutile personaggio del mondo, e perché di carne al fuoco, con due villain e mezzo (Shreck), ce n’è già a sufficienza. Tutte quelle polemiche sul protagonista, di tre anni prima, sono fortunatamente un ricordo: Michael Keaton è piaciuto un po’ a tutti e passa all’incasso di un assegno molto più gonfio rispetto al primo giro. Nella ridda di nomi fatti per Oswald Cobblepot, il Pinguino, alla fine la spunta Danny DeVito, grazie soprattutto alla benedizione di un suo vecchio amico e collega: Jack Nicholson, il fu-Joker.
Resta solo da trovare Catwoman. Hai detto niente.
Dopo l’infortunio che l’aveva costretta a farsi da parte come Vicki Vale del primo film, Sean Young è convintissima che la parte le spetti di diritto. Lei che si fa vedere in giro con un vestito da Catwoman fatto in casa, chiedendo un provino senza che nessuno se la fili, è al contempo una notizia che rimbalza sulle riviste di cinema di tutto il pianeta e il poster delle difficoltà incontrate dall’ex replicante fumatrice di Blade Runner, negli anni in cui tutti a Hollywood sanno dei suoi problemi con la bottiglia. O di quelle storie come il bambolotto decapitato che la Young ha lasciato davanti all’abitazione di James Woods, reo – si dice – di averla piantata.
Viene scelta Annette Bening – che in seguito girerà con Burton Mars Attacks! – ma l’attrice resta in dolce attesa e deve mollare. Si fanno altri duemila nomi pure qui, da Madonna a Lorraine Bracco (reduce da Quei bravi ragazzi e futura analista di Tony Soprano) e Jennifer Beals, ma alla fine a Burton basta una sola chiacchierata per trovare la sua Selina Kyle: Michelle Pfeiffer.
Tutto è pronto per tornare tra le strade di Gotham City, anche se la città del Cavaliere Oscuro si è trasferita nel frattempo diverse migliaia di chilometri più a ovest.
Quando inizia a circolare la notizia che “Batman II” verrà girato a Los Angeles, e non più ai Pinewood Studios vicino Londra – dove erano ancora conservati i set, costati centinaia di migliaia di dollari, del primo film – tanti credono che sia una scelta bizzarra di Burton, che preferisce dirigere il tutto a due passi da casa. Il regista spiega in varie interviste che in realtà sono i vertici Warner a prendere questa decisione e che a lui sarebbe andato benissimo tornare a Londra. Tanto sarebbe stato nervoso uguale.
Quando nel giugno del ’91 le riprese hanno inizio, in due enormi teatri di posa degli Universal Studios in cui sono stati allestiti i set disegnati da Bo Welch (che ha già lavorato con Burton in Beetlejuice ed Edward mani di forbice), Burton è infatti tesissimo. Non vuole ritrovarsi tra le mani un altro film di Batman che lo lasci insoddisfatto. Un ciak dopo l’altro, si gode però l’interpretazione della Pfeiffer, scoprendo che nelle sequenze d’azione è “più in gamba di molti stuntman”, mentre all’esterno gli animalisti protestano per i pinguini usati sul set. Li staranno facendo morire di caldo, lì a Hollywood, quei poveri pennuti? In realtà la temperatura del set nelle scene in cui sono coinvolti dei veri pinguini viene tenuta bassissima proprio per farli stare a proprio agio. È la povera Michelle Pfeiffer, semmai, a gelare nelle sue tutine in latex da Catwoman.
Di quelle tute ne vengono realizzate in totale una sessantina, ciascuna costa circa 1.000 dollari e sono tutte modellate sul corpo dell’attrice, partendo dall’idea iniziale di Burton, una sorta di, uh, peluche di lattice rattoppato. Le tute sono così strette che la povera Michelle può infilarle solo dopo essersi tuffata nel talco, e sul set può toglierle una sola volta al giorno, per la pausa pranzo che funge anche da unica pausa pipì.
È di nuovo Danny Elfman a occuparsi della colonna sonora (in cui figura anche un brano di Siouxsie and the Banshees, composto dallo stesso Elfman), correndo come un pazzo per completarla in tempo. Batman – Il Ritorno debutta nelle sale USA il 19 giugno del 1992 (da noi l’11 settembre). La critica tesse le lodi della Catwoman di Michelle Pfeiffer, ma trova anche la pellicola di Burton troppo tetra. McDonald’s ritira i suoi happy meal a tema quando monta la protesta di alcune associazioni di genitori per l’eccessiva violenza che il film è riuscito a infilare sotto al rating PG-13.
Entertainment Weekly scrive che Tim Burton “non ha ancora imparato a raccontare una storia coerente” e si concentra troppo sul look dei suoi personaggi, mentre il celebre e temuto Roger Ebert del Chicago Sun-Times scrive che il genio di DeVito è stato fagocitato dal suo ruolo, un villain che fa pietà e non incute timore né fa sorridere, e soprattutto che i film di super-eroi e il noir non possono mai andare d’accordo, perché “l’essenza del noir è che di eroi non ce ne sono più in giro”.
Batman – Il ritorno non raggiunge gli incassi mostruosi del suo predecessore, ma frutta comunque alla Warner oltre 266 milioni di dollari al botteghino, a fronte dei circa 80 spesi per realizzarlo (10 dei quali andati a Keaton, pare, 3 – più una percentuale sugli incassi – alla Pfeiffer). Terzo film del ’92 al box office USA, dopo Aladdin e una nuova, brutta storia da assistenti sociali da mandare ai McCallister per Mamma, ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York. Ce n’è insomma più che a sufficienza per far continuare a ballare la scimmia e più che altro il pipistrello. Magari con un nuovo Batman e un nuovo regista giusto un attimo meno in fissa con il gotico, più solare e colorato. Ma di quello parliamo la prossima volta.
Vi invitiamo a seguire il nostro canale ScreenWeek TV. ScreenWEEK è anche su Facebook, Twitter e Instagram.