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Non finirò mai di parlare bene de I Soprano. Né di chiedermi quanto una serie diventata culto e storia della televisione sarebbe stata idolatrata ancora di più, se quando è andata in onda ci fosse stato l'(ab)uso dei social che abbiamo oggi. Perché non c’era mai stato niente come I Soprano, prima. E non me ne vogliano i fan fondamentalisti di Breaking Bad o altri crime-drama di successo: non c’è mai stato niente dello stesso livello neanche dopo.
Fanno vent’anni esatti. Sembra ieri, ma il primo episodio di The Sopranos è andato in onda negli USA, sulla HBO, il 10 gennaio del 1999. E sono passati già dodici anni da quel finale che ha fatto tanto discutere, mentre David Chase, l’uomo che aveva creato il tutto, se la rideva come un gatto che ha appena mangiato un canarino. Ma come sono nati I Soprano? E perché? Scivoliamo indietro fino al 1995, facendo finta di indossare una tuta orribile da italoamericano del New Jersey in odore di mafia.
David Chase è un cinquantenne che viene da Mount Vernon, nello stato di New York, e lavora da oltre vent’anni nel mondo della televisione, nelle vesti di produttore di serie come Agenzia Rockford e Un medico tra gli orsi. Il suo nuovo progetto è un film su un mafioso di origini italiane che va in terapia per colpa dei problemi con sua madre. Perché? E perché proprio un italoamericano? Perché Chase riversa nel progetto semplicemente le sue dinamiche familiari, compreso il rapporto difficile con sua madre, che fungerà da base per quello tra Tony e Livia Soprano. Tentativi di omicidio esclusi.
Chase è un italo-americano anche lui (suo padre aveva cambiato prima della nascita di David il cognome di famiglia, che era in precedenza DeCesare) ed è cresciuto in quel mondo, sentendo i racconti delle famiglie di gangster con cognomi da compaesani che spadroneggiavano nel New Jersey.
Solo che il suo manager, Lloyd Braun, gli dice che quella del film non è una buona idea.Dopo un incontro con la società di produzione Brillstein-Grey, mentre raggiungono l’ascensore per andare via, Braun gli spiega che quello spunto è perfetto per una serie TV. Chase non è convinto, ma alla fine si lascia contagiare dall’entusiasmo del suo manager. Basta solo trovare qualcuno disposto a comprare quella serie. E non è semplice.
La Fox rimbalza la proposta di Chase, che alla fine convince solo i vertici della HBO. Siamo nel ’97 e la rete che trasmette via cavo e satellite ha iniziato solo da pochissimo a produrre serie di maggior profilo con episodi lunghi un’ora, partendo da Oz. Sarà proprio I Soprano a far esplodere l’emittente a pagamento, portando a tutto quello che è venuto dopo, Il Trono di Spade, Westworld e tutto il resto. La HBO tiene parcheggiato il pilota per un po’ di mesi prima di ordinare, nel dicembre del ’97, altri dodici puntate de I Soprano. Una prima stagione completa, che avrebbe cambiato il modo di intendere una serie TV.
Agli sgoccioli degli anni 90, la transizione dalle serie con episodi tutti trama verticale e monster of the week al trionfo dell’orizzontalità narrativa è finalmente completa. In ogni episodio de I Soprano può succedere qualsiasi cosa, può morire uno qualsiasi dei protagonisti. Tra le polemiche degli italoamericani, offesi dagli stereotipi del paisà mafioso, e intenzionati a muover battaglia alla serie – nel 2002 gli organizzatori della parata del Columbus Day a NY hanno impedito legalmente al sindaco Bloomberg di invitare membri del cast alla manifestazione – gli ascolti decollano. Merito di un taglio cinematografico delle storie, per il quale Chase si dice debitore di Fellini e di Arthur Miller. Della tensione che si respira in ogni puntata, in un allegro quadretto familiare in cui se tua madre vuole ucciderti, tuo zio non è da meno. Del cast semplicemente pazzesco.
Chase non si è dovuto in effetti spremere tanto per trovare i suoi delinquenti vestiti male. Ben 27 attori del cast de I Soprano vengono da Quei bravi ragazzi di Scorsese. Tony Sirico diventa Paulie Gualtieri, Michael Imperioli e le sue sopracciglia interpretano Christopher Moltisanti, Lorraine Bracco viene chiamata a fare la moglie del boss, Carmela, ma chiede e ottiene qualcosa di diverso, la figura raffinata della psichiatra di Tony, la dottoressa Jennifer Melfi. Inutile dirlo, ritagliata sulla figura della vera strizzacervelli di Chase.
Per il ruolo del padrino in crisi, l’imponente e autoindulgente boss Tony Soprano, destinato a piantarsi nell’immaginario collettivo con le sue vestaglione pesanti e le abbuffate al ristorante di Artie, viene scelto dalla direttrice del casting James Gandolfini, perché le era piaciuto molto il suo Virgil in Una vita al massimo (True Romance) di Tony Scott. Aggiungere una stella della musica che effettivamente con la sua parrucca e il broncio da anziano sembrerà fuori posto per tutta la serie (ma ti si vuol bene, Steven Van Zandt, amico fraterno di quell’altro Boss) e, dall’inizio o in corso d’opera, un milione di altri personaggi. Dal parrucchino diegetico di Ralph Cifaretto (Joe Pantoliano) a Steve Buscemi, passando per i chewing-gum masticati a nastro da Adriana La Cerva (Drea de Matteo).
L’America impazzisce per Tony Soprano, la sua vita e i suoi affari. Arrivati alla quarta stagione, oltre dodici milioni di statunitensi si sintonizzano sulla HBO per vedere ogni settimana chi arriverà vivo a fine puntata, e/o come il clan di Tony sfuggirà all’ennesimo tentativo dell’FBI di incastrarli. Il 10 giugno del 2007, dopo 86 episodi, la storia dei Soprano si chiude con quello schermo nero, trascinato dal pezzo più famoso dei Journey. Consegnata alla leggenda del piccolo schermo, un monito per tutti di come si può fare davvero della TV di qualità che non abbia nulla da invidiare alle produzioni per il cinema (anzi). Game over e spazio solo ai ricordi, ai Ti ricordi com’era la TV al tempo dei Soprano, partiti praticamente il giorno dopo.
Tanto più che un infarto si porta via il compianto James Gandolfini, a 51 anni, nel 2013. Ironia della sorte, proprio a Roma, durante un viaggio con la famiglia nella terra dei suoi avi. Ma stiamo parlando della Hollywood che ha messo in cantiere per il 2020 un seguito diretto dei primi due Ghostbusters. Tutto può accadere, come ci ha insegnato quel film con Jennifer Connelly che ha tolto il sonno a chi era un adolescente a inizio anni 90, ecco. E infatti è in arrivo un film prequel de I Soprano.
Titolo (splendido): The Many Saints of Newark. Scritto da: David Chase e Lawrence Konner. Diretto da: Alan Taylor. La sua ragion d’essere: raccontare come son venute su le famiglie dei protagonisti della serie, negli anni 60. Come Richard “Dickie” Moltisanti, il padre di Cristopher (Alessandro Nivola) e altri personaggi interpretati da Vera Farmiga e Jon Bernthal. Nessuno dei due è di origini italiane, ma Bernthal, a furia di indossare sul petto il teschio di Frank Castle, ormai è un po’ come se le fosse, dai.
La cosa positiva è che tanto, sia quel che sia, niente riuscirà a scalfire il ricordo di cui sopra. Quell’aria di reduce dal Vietnam televisivo anni 90 di chi, in tempo reale o in qualche folle e obbligata maratona di recupero postuma, si è goduto l’epopea di questi gangster. Chiunque è finito nel New Jersey, per una ragione o l’altra, tra quegli ex spettatori riscopertisi a fare il tifo per Tony qualunque cosa terribile facesse sullo schermo, sarà finito a cercare la macelleria Satriale’s e le sue braciole in offerta. Solo che non esiste più: nel 2007, finita la serie, hanno tirato giù il palazzo e ci hanno fatto un parcheggio.
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