Era solo questione di tempo. Dopo aver conquistato più di una generazione di bambini (e non solo) negli ultimi vent’anni con videogiochi, carte collezionabili, pupazzi, fumetti e cartoni animati, i Pokémon sono finalmente pronti al grande passo e a entrare nell’immaginario collettivo anche in versione live action. Dopo sei macro-stagioni dell’anime televisivo (con più di mille episodi all’attivo) e ventidue film animati, Pokémon Detective Pikachu è il -riuscito- tentativo di portare i Pokémon in un mondo realistico e plausibile. Una particolarità non da sottovalutare, difatti, è la volontà di realizzare una pellicola lontana dal concept di altre operazioni apparentemente simili come I Puffi o Space Jam: non si tratta di rappresentazioni “toon” calate in un contesto umano, ma di ricreare il mondo dei Pokémon in maniera verosimile. I risultati, lo anticipiamo fin da subito, vanno oltre le aspettative. La Rhyme City ricreata da Rob Letterman è vibrante e credibile, nonostante la strabordante presenza dei buffi e tenerissimi mostriciattoli tascabili, e il tutto riesce a fondere perfettamente il feeling di giochi e serie animata alle esigenze narrative di un film dal vivo, in maniera a volte sorprendente e con qualche intelligente intuizione ben piazzata.
Il tutto prende le mosse dall’omonimo videogioco per Nintendo 3DS, uno spin off del franchise dalle meccaniche ben diverse dalla serie principale: invece di un jrpg con meccaniche di allevamento ci ritrovavamo di fronte a un’avventura investigativa dinamica, alle prese con un intrigante mistero e un insolito Pikachu parlante. È lo stesso anche nel film: il riluttante Tim (un misurato e empatico Justice Smith) torna dalla provincia alla megalopoli sulle tracce del padre scomparso, unendo le forze al sardonico “Detective” Pikachu, un singolare esemplare del roditore elettrico sofferente di amnesia ma in grado di sviluppare una curiosa sintonia con il ragazzo, tanto da farsi capire quando parla, mentre tutto il resto del mondo non riesce a distinguere tra i suoi “pika pika”. Ben presto la loro indagine svelerà segreti ben più gravi del previsto, coinvolgendo una energica aspirante reporter, Lucy (la deliziosa Kathryn Newton) e portando alla luce un complotto che vedeva nel padre di Tim una pedina chiave. Il destino degli abitanti di Rhyme City è nelle mani di un giovane agente assicurativo e di un topo caffeinomane: come andrà a finire?
Quella che all’inizio sembrava solo una trovata furba quanto atipica si è rivelata, alla fine, una scelta naturale e ben congegnata: far partire l’universo cinematografico dei Pokémon da Detective Pikachu è stata un’ottima scelta, un punto di partenza perfetto per diramare il franchise in ogni direzione. Se alcuni potrebbero rimanere relativamente delusi dal non ritrovare Ash, Brock, Misty e il Team Rocket, saranno comunque felici di ritrovare citazioni e chicche relative alla regione di Kanto, possibili apripiste all’introduzione, nel prossimo capitolo, delle vicende ben note nella serie animata. Altro elemento poco presente è la componente delle lotte fra Pokémon, fondante dei giochi originali ma del resto non del titolo da cui il film prende le mosse: Rhyme City è una città che presenta l’integrazione dei Pokémon nella vita di tutti i giorni e il cui fulcro non è la Palestra locale… ma questo, tuttavia, non vuol dire che non vedremo combattere alcuni Pokémon tra di loro. Una cosa che il film fa benissimo, anzi, è inondare i fan di elementi noti, riportandoli in un contesto realistico, ma senza estraniare chi, invece, non conosce, se non magari solo di vista, le bestioline ideate dai geniacci della Game Freak. Degna di nota (è proprio il caso di dire) è la colonna sonora, che strizza l’occhio alle sonorità chiptune da Game Boy pur mantenendo tutte le caratteristiche di una soundtrack moderna e in regola con il tono urbano e futuristico dell’ambientazione.
Pokémon Detective Pikachu scorre via in scioltezza per tutta la sua durata: non è propriamente un film d’azione ma è decisamente movimentato, sia dalle peripezie dei protagonisti che dalla loro verve, a volte irriverente, soprattutto quando a tenere le redini è l’adorabile Pikachu doppiato da Ryan Reynolds, che infonde la sua spiccata anima ironica al personaggio senza strafare ed evitando di replicare semplicemente le dinamiche viste di Deadpool, ma plasmando e adattando la sua duttilità comica al contesto.
Certo, a tener banco sono sempre loro, i Pokémon, base e motore di tutto quel che accade su schermo, resi in maniera non solo credibile ma anche assolutamente aderente con le loro rappresentazioni animate e le loro caratteristiche, sia fisiognomiche che comportamentali. Per lo spettatore non si tratta, poi, solo di un gioco al riconoscimento del cameo: ogni Pocket Monster presente in video ha un suo perché e una sua funzione all’interno della scena, che contribuisce a render viva e riconoscibile Rhyme City. Le dinamiche che si instaurano tra di loro e con i personaggi umani sono il core dell’esperienza e il motivo per cui tutti, dagli appassionati ai neofiti, possono apprezzare la pellicola, nonostante un plot piuttosto sottile e sempre più improbabile man mano che la vicenda avanza, ma comunque più sensato e appassionante di quelli visti nell’anime e nei vari videogiochi.
Un puro prodotto di intrattenimento, dunque, adatto a tutta la famiglia e in grado di raccogliere e unire un pubblico trasversale ed eterogeneo con simpatia e grande perizia tecnica.
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