Perché Halloween ha segnato un’epoca con la sua scia di sangue

Perché Halloween ha segnato un’epoca con la sua scia di sangue

Di Filippo Magnifico

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Nella primavera del 1978 un giovane cineasta decise di realizzare un film incentrato sulla storia di una giovane baby sitter perseguitata da un serial killer, vera e propria personificazione del male. Un’opera girata in soli 20 giorni, con un budget di 300.000 dollari, che riuscì a guadagnarne oltre 50 milioni una volta arrivata in sala (per lungo tempo è stata considerata la pellicola indipendente più redditizia della storia del cinema). Stiamo parlando di Halloween, ovviamente, una pietra miliare del cosiddetto cinema di genere.

Oggi John Carpenter è considerato un vero e proprio maestro ma negli anni ‘70 era solo un giovane regista di belle speranze, che con la sua collaboratrice Debra Hill, conosciuta durante le riprese del suo precedente film, Distretto 13 – Le brigate della morte, aveva deciso di realizzare una pellicola horror. Il produttore Irwin Yablans ebbe l’idea di ambientare il film durante la notte di Halloween (nessuno l’aveva mai fatto in precedenza, incredibilmente). Una scelta semplice quanto astuta, in grado di donare alla storia la giusta atmosfera, pur mantenendo un budget ridotto: le location sarebbero state poche e non sarebbero stati necessari troppi giorni di riprese.

La nascita di un mito, di cui abbiamo parlato in questo video:

Nel corso degli anni Halloween è riuscito a mantenere intatto il suo fascino, consacrandosi come opera spartiacque e decretando le regole di un genere, lo slasher, che durano ancora oggi. Michael Myers è diventato una villain iconico, ha continuato a mietere vittime in ben sette pellicole, è rinato per mano di Rob Zombie, che ha diretto il remake/reboot Halloween – The Beginning e il suo sequel, ed è ora pronto per fare il suo ritorno nelle sale con un nuovo film, intitolato sempre Halloween, che azzera parzialmente la saga proponendosi come nuovo “capitolo 2”.

Più che doveroso, quindi, parlarne in questi giorni, cercando di ricordare tutti quei momenti iconici che hanno catapultato questo film nell’olimpo dell’horror. Ad esempio i minuti di apertura: una lunga soggettiva del giovane Michael Myers. Una sequenza che ha richiesto un giorno di lavoro e che ha trovato la sua ispirazione nell’incipit de L’Infernale Quinlan, il capolavoro diretto nel 1958 da Orson Welles.

Si tratta della parte più inquietante del film? Difficile dirlo, sicuramente si tratta di un sopraffino esercizio di regia. Tramite l’uso della soggettiva (un Michael Myers bambino) Carpenter, è riuscito a darci un assaggio della realtà vista attraverso gli occhi di un serial killer. Il risultato, al contrario di quello che si potrebbe pensare, è la totale mancanza di immedesimazione. Ma è questo il fulcro principale del film: quella realtà fredda, distaccata, quasi inesorabile, diventa chiara nel momento in cui ascoltiamo le parole del dottor Sam Loomis (un bravissimo Donald Pleasence, definito in seguito “il più grande colpo di John Carpenter”). Michael Myers non ha sentimenti, non ha emozioni e noi sappiamo bene a cosa si riferisce. Abbiamo provato quella mancanza, perché noi abbiamo ucciso con lui.

Un momento sconvolgente, non ci sono dubbi, caratterizzato da un’estrema violenza che però evita il facile (e gratuito) bagno di sangue. Perché Halloween è un film violento, è vero, ma al tempo stesso il suo sangue è distribuito con il contagocce, centellinato lungo il suo cammino.
Quindi sì, con il titolo di questo articolo in realtà abbiamo barato. La scia di sangue quasi non esiste sullo schermo ma è ben presente nelle nostre menti. John Carpenter è stato in grado di rendere concreti tutti quei momenti splatter volutamente lasciati fuori campo. E non stiamo parlando della codarda violenza fuori campo che ha caratterizzato l’ondata di teen horror realizzati verso la fine degli anni ’90, tipica di pellicole come So cosa hai fatto.

Si tratta di un gioco più raffinato, come quello che avviene nella scena in cui il dottor Loomis e lo sceriffo Brackett trovano un cane morto, dilaniato dalla furia di Michael Myers, molto probabilmente sbranato dal serial killer in preda ad un attacco di fame. Un momento violentissimo, completamente affidato allo spettatore: Carpenter non ha fatto altro che inquadrare la reazione dei due personaggi, affidando il resto alla nostra fantasia. Un’altra scelta semplice e allo stesso tempo astuta. L’ennesimo grande momento di un grande film in grado di giocare con la mente dello spettatore.

Halloween ha decisamente segnato un’epoca. Il solco lasciato dal film negli anni ’70 è proseguito fino ad oggi, come quello di un mortale aratro. Dopo 40 anni è arrivato il momento della resa dei conti per Michael Myers e la povera Laurie Strode. Del resto, se dopo tutto questo tempo sentiamo ancora il bisogno di parlare di loro, vuole dire che sul serio il loro contributo al mondo della settima arte è stato fondamentale (e letale).

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