Narrativamente, sono passati cinque anni dagli eventi che hanno chiuso la prima stagione di The Last of Us. Joel e Ellie, dopo tanti momenti terribili, hanno finalmente trovato una loro serenità nella cittadina di Jackson, nel Wyoming, dove vive anche Tommy, il fratello di Joel. I due, adesso, fanno una vita quasi normale, a parte il doversi guardare dagli infetti e dai predoni che, comunque, a Jackson City sono poco frequenti e ben tenuti a bada da mura perimetrali fortificate e da una efficiente milizia sempre di ronda. I due potrebbero quasi dirsi pacificati se non fosse che la menzogna che Joel ha raccontato a Ellie, e di cui Ellie è intimamente consapevole, ha logorato il rapporto tra i due, che ora vivono assieme, si vogliono ancora bene, ma proprio non riescono a entrare in contatto l’uno con l’altra. Joel si è risolto a parlare con qualcuno (anche nei mondi apocalittici ci sono gli analisti, pare), mentre Ellie ha chiuso Joel completamente fuori dalla sua vita, dedicandosi ai suoi nuovi amici, tra cui Dina, una ragazza davvero speciale.
Nel frattempo, i figli delle persone che Joel ha ucciso a Seattle (proprio per salvare la vita a Ellie) sono in viaggio per portare a compimento una missione di giustizia per taluni e di vendetta per altri. Tra di loro, la determinatissima Abby, figlia del ricercatore a cui Joel ha sparato in testa.
Questo primo episodio, Future Days, è scritto e diretto dal solo Craig Mazin, a differenza del primo della prima stagione che era sempre diretto da Mazin, ma co-scritto da Neil Druckmann. La cosa si avverte in qualche modo? No. La narrazione resta molto fedele a quanto visto nel videogame, ripercorrendo i momenti d’azione salienti del suo prologo e ampliando quelli introspettivi. Le poche libertà che Mazin si prende sono l’introduzione del personaggio dell’analista a cui si rivolge Joel (utile per dare più spazio all’approfondimento psicologico del personaggio) e l’introduzione di Abby, di cui ci viene subito spiegata la motivazione per cui è a caccia di Joel, scelta comprensibile valutando il diverso tipo di coinvolgimento che un videogioco suscita rispetto a un prodotto televisivo. In sintesi, se nel videogioco il giocatore era disposto a pazientare e interessarsi ad Abby perché chiamato a interpretarla attivamente, nella serie televisiva, che non può godere di questo livello di interconnessione tra audience e personaggio, serve un gancio emotivo più diretto e chiaro.
Per il resto, l’episodio ha una narrazione distesa, che si prende tutto il tempo necessario per creare un tappeto emozionale ben definito, utile a definire bene lo stato d’animo dei personaggi e a mettere in cascina la legna emozionale a cui dare fuoco, da qui a poco. Per il resto, cosa dire? Ottime interpretazioni di tutti (è inutile stare a lodare ulteriormente la dolenza di Pedro Pascal ma, invece, bisogna ancora una volta sottolineare la duttilità di Bella Ramsey, chiamata a interpretare un personaggio difficilissimo e molto sfumato), la solita splendida colonna sonora (la firma, del resto, non è cambiata) e regia classica, pulita, asciutta ma non asettica, che per molti versi mi ha ricordato il miglior cinema di Clint Eastwood.
Ultima nota: la scena della festa e di quello che nella festa succede non si limita a essere semplicemente una trasposizione fedele di quanto visto nel videogioco (che già era straordinario), ma riesce persino a migliorarla e ad aggiungere emozione e significato.
Ovviamente, il meglio (e il peggio) deve ancora venire e non vedo l’ora di potervene parlare.
Alla settimana prossima!
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