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Eden è il film più tetro e carnale di Ron Howard

Ron Howard ricostruisce la misteriosa vicenda di Floreana in un’epopea di carne e sangue, divisa tra le tentazioni del nichilismo e le spinte della tradizione.

Pubblicato il 07 aprile 2025 di Lorenzo Pedrazzi

Senza più l’obbligo autoindotto di compiacere l’Academy (come ai tempi di A Beautiful Mind e Cinderella Man), Ron Howard si sforza di riportare a Hollywood un minimo di carnalità e desolazione, in controtendenza rispetto alla dittatura delle IP e all’infantilizzazione del pubblico. Eden è effettivamente il suo film più tetro, com’è facile intuire dalla storia vera che sceglie di raccontare; o, ancora meglio, che sceglie di ricostruire, considerando la nebulosità della vicenda.

Gli eventi di Floreana, isola delle Galápagos dove il Dr. Friedrich Ritter (Jude Law) stabilisce un insediamento con la moglie Dore Strauch (Vanessa Kirby) nel 1929, sono infatti piuttosto misteriose, e cambiano a seconda del narratore. In questo caso, Howard e lo sceneggiatore Noah Pink si affidano al punto di vista di Margret Wittmer (Sydney Sweeney), che si trasferisce a Floreana con il marito Heinz (Daniel Brühl) e il figlio adottivo Harry (Jonathan Tittel) per seguire l’esempio di Ritter e curare il bambino dalla tubercolosi. Il dottore, però, non gradisce affatto la compagnia: ha scelto l’isolamento per fuggire dai valori borghesi che stanno corrompendo l’umanità, ed è impegnato a scrivere un trattato filosofico – a suo dire – rivoluzionario. Intanto, Dore spera che la permanenza sull’isola la aiuti a guarire dalla sclerosi multipla, come le ha assicurato suo marito.

Malgrado l’ambiente proibitivo, i Wittmer riescono a costruirsi una casa, un orto e un approvvigionamento d’acqua, ma la loro serenità viene turbata dall’arrivo di Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn (Ana de Armas), accompagnata da due amanti devoti e un servo ecuadoriano. L’altezzosa Baronessa vuole aprire un hotel di lusso sulla spiaggia di Floreana, e cerca subito di mettere i Wittmer e i Ritter gli uni contro gli altri, per sfruttarne (o sottrarne) le risorse. È da qui che Eden sviluppa il suo intreccio di carne e sangue, dove le dinamiche di potere sono in costante mutamento. Cinema e letteratura ci hanno insegnato che mettere un gruppo di persone su un’isola equivale a radicalizzarne gli animi, e questa storia non fa eccezione: l’effetto Signore delle mosche è dietro l’angolo, come pure la caccia all’uomo di Pericolosa partita.

In tal senso, è interessante vedere un regista solido ma innocuo come Ron Howard alle prese con temi di natura esistenziale, dalla corruzione della violenza al potere manipolatorio del sesso, passando per diversi gradi di dipendenza psicologica. Forse non è il suo campo ideale, eppure Howard riesce a stabilire una certa tensione, evitando al contempo la spettacolarizzazione gratuita. Certo, la sua prospettiva rischia di essere fin troppo schematica, con personaggi che rientrano in tópoi da cinema classico, soprattutto nella dicotomia tra Eloise (la femme fatale che usa la seduzione come arma) e Margret (la moglie fedele e innocente). Almeno quest’ultima, però, acquisisce maggior spessore nel corso del film, sia per le sue capacità di sopravvivenza sia per il ruolo attivo nel gioco di inganni incrociati. In realtà, è proprio la genuinità “pragmatica” dei Wittmer a guadagnarsi le simpatie del regista, com’è facile immaginare: Margret e Heinz sono gli emblemi del duro lavoro, della famiglia tradizionale, contrapposti alla filosofia nichilistico-materialista di Ritter, vittima di quelle stesse doppiezze che vorrebbe denunciare. Dall’autore di un cinema tendenzialmente romantico e sentimentale, non potevamo certo aspettarci una condanna delle convenzioni.

Ciononostante, Howard non può ignorare l’attualità di certe riflessioni politiche («La democrazia porta al fascismo, che porta alla guerra»), pur senza condividerle in toto. È chiaro che il medico e sua moglie sono i personaggi più interessanti, gli unici che immaginano una società alternativa: con il loro carattere aspro e spigoloso, valorizzano il talento di Jude Law e Vanessa Kirby, ben disposti a mettersi in gioco su terreni impervi. In una Hollywood sempre più evanescente, dove la carnalità è tabù e l’immagine si dissolve nei green screen, Eden ha quantomeno il merito di parlare a un pubblico adulto, puntando sul corpo e sulle sue pulsioni.

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