The Monkey di Osgood Perkins (qui la recensione) è basato sull’omonimo racconto di Stephen King, contenuto nella raccolta Scheletri del 1985; in Italia è edita da Sperling & Kupfer. Si tratta di un’antologia molto amata, spesso in cima alle preferenze dei fan, anche perché include racconti memorabili come La nebbia, La scorciatoia della signora Todd, Il viaggio, La zattera e La nonna. Paradossalmente, non si può dire che La scimmia sia uno dei migliori, eppure continua a esercitare un certo fascino sui cineasti. Frank Darabont, un tempo specializzato negli adattamenti di King, avrebbe dovuto trarne un film dopo The Mist, ma il progetto sfumò. Nel 2023, invece, è uscito un mediometraggio di Spencer Sherry basato sul racconto, realizzato all’interno del programma Dollar Baby: un tipo di accordo che permetteva a studenti e aspiranti registi di adattare un racconto di King al costo di un solo dollaro, lasciando però i diritti del testo nelle mani dell’autore. È per questo che possono esistere due trasposizioni diverse nell’arco di due anni, contando anche quella di Perkins.
La scimmia fu pubblicato originariamente nel 1980, in un volumetto allegato alla rivista Gallery. All’inizio della storia, il protagonista Hal Shelburn sta rovistando nella soffitta di sua zia Ida insieme alla moglie Terry e ai figli Dennis e Petey. La zia, appena defunta, ha cresciuto lui e suo fratello Bill dopo la morte della madre, avvenuta quando erano bambini; il padre, nella tradizione autobiografica di King, se n’era già andato da tempo senza lasciare traccia. Curiosando tra gli scatoloni, Dennis trova qualcosa che attira subito la sua attenzione: una scimmietta con carica a molla che batte i piatti. Hal ne resta scioccato. Pensava di essersi lasciato quella scimmia alle spalle, seppellendola nei traumi dell’infanzia, e invece eccola lì.
Tramite i suoi ricordi, scopriamo che il padre – impiegato nella marina mercantile – la portò a casa da uno dei suoi viaggi, ignaro delle sciagure che avrebbe causato. Ogni volta che si gira la chiave per farle battere i piatti, la scimmia provoca infatti la morte di qualcuno; e le vittime sono sempre persone o animali vicini a chi ha azionato il meccanismo. Hal, cogliendo fin da piccolo questo terrificante schema, aveva gettato la scimmia in un pozzo artesiano, sperando di non rivederla mai più… salvo ritrovarsela ora davanti senza spiegazione. Spaventato per l’incolumità della sua famiglia, l’uomo deve trovare un modo per liberarsi del pupazzo una volta per tutte.
Come accade spesso in Stephen King, anche questo racconto si muove lungo una linea ereditaria maschile: il padre di Hal porta la scimmia da un viaggio, poi Hal e suo figlio Petey devono affrontarne le conseguenze (con Dennis, il più grande, c’è un rapporto meno complice). Anche il padre di King lasciò la famiglia quando il futuro scrittore era molto piccolo, e l’assenza paterna ha segnato moltissimo la sua scrittura, tra padri assenti o violenti. D’altra parte, lo stesso comportamento di Hal diviene sempre più critico: preoccupato per il ritorno della scimmia, l’uomo reagisce con durezza sia all’arroganza di Dennis sia alle rimostranze di Terry. L’orrore provoca una crisi, e la famiglia rischia di allontanarsi proprio quando dovrebbe rimanere unita.
Il contesto è quindi molto quotidiano, secondo la lezione innovativa di Richard Matheson (uno dei numi di King), che ha portato l’horror dalle magioni gotiche ai quartieri suburbani. La scimmia, in realtà, è stato accostato anche a La zampa di scimmia di William Wymark Jacobs, racconto molto influente nella cultura popolare: lo stesso King ne ha tratto ispirazione per Pet Sematary. Lo scrittore americano sceglie però un oggetto più riconoscibile, appartenente alla banalità di tutti i giorni. Come farà in seguito con Denti chiacchierini (contenuto in Incubi e deliri), qui King attribuisce capacità portentose a un semplice giocattolo, prodotto in serie e all’apparenza insignificante. Non a caso, King racconta di essersi ispirato alle scimmiette di un venditore ambulante a New York, “all’angolo della Quinta con la Quarantaquattresima”, come dice lui stesso nelle note finali del libro:
Mi fecero una certa impressione e durante tutto il resto del tragitto fino all’albergo continuai a domandarmi come mai. Conclusi che mi ricordavano quella Signora che gira con le cesoie, quella che prima o poi dà un taglio a tutti noi. Avendo quest’idea in mente, scrissi La scimmia, in gran parte a penna, in una stanza d’albergo.
The cymbal-clashing monkey in Toy Story 3 was inspired by the Jolly Chimp, a musical toy from the 1960s. pic.twitter.com/7NBdtf8DVb
— Horror4Kids (@horror4kids) February 22, 2025
Forse avete notato un dettaglio curioso: nel racconto, la scimmietta suona i piatti, mentre quella del film ha un tamburo. I produttori non volevano rischiare guai con la Disney, dato che l’inquietante scimmietta con i piatti compare in Toy Story 3, e la Casa di Topolino ne possiede i diritti cinematografici. Fra l’altro, il regista Lee Unkrich la inserì nel film proprio in quanto fan di Stephen King: un cerchio che si chiude, insomma.
C’è da dire che, se il pupazzo di The Monkey è sin troppo “ripulito” e ben fatto rispetto a quello del racconto, il tamburo ha una notevole presenza scenica: quando la scimmia alza il braccio per calarlo sullo strumento, è come un assassino che si prepara ad affondare il colpo. In un modo o nell’altro, il film ne ha tratto vantaggio.
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