Recensioni SerieTV The Doc(Manhattan) is in
“Trinity con una spada laser”. Venti anni fa sarebbe stato molto strano pensare alla Trinity di Matrix, Carrie-Anne Moss, vestita come Obi Wan e intenta ad affrontare i suoi avversari con un kung fu della Forza. Eppure è esattamente così che la creatrice di The Acolyte – La seguace, Leslye Headland, ha immaginato la maestra jedi Indara. Ed è esattamente così che vediamo Carrie-Ann Moss nei primi minuti di The Acolyte – La seguace, la nuova serie live action di Star Wars, in arrivo domani su Disney+. Abbiamo visto in anteprima i primi quattro degli otto episodi di The Acolyte (domani usciranno sulla piattaforma i primi due, poi si prosegue al ritmo di un episodio a settimana) e quelle che seguono sono le nostre impressioni al riguardo.
Abbiamo ripetuto più e più volte, in queste nostre chiacchierate sugli sviluppi televisivi della saga di Star Wars, che la space opera creata da George Lucas si è infilata da anni in una sorta di paradosso. Il rapporto con i suoi fan, pur lasciando un attimo da parte le frange più integraliste e mai contente del fandom, vive una sorta di stallo: ci si lamenta del fatto che la saga non riesce a scrollarsi di dosso il peso della famiglia Skywalker, piazzandone gli esponenti ovunque (ciao, piccola Leia Organa superflua in Obi-Wan Kenobi) o comunque ricollegandosi ogni volta ai casini domestici di Anakin ed eredi.
Giusto. Perché la galassia non è solo lontana, lontana, ma anche grande, grande: perché non esplorarne altri angoli? Quando questo però succede, e per giunta ne viene fuori una serie notevolissima come Andor – a parere di chi scrive, e non solo di chi scrive, la miglior cosa prodotta nel nuovo corso di Star Wars insieme al film di cui rappresenta il prequel, Rogue One – c’è chi quella serie neanche la guarda, percependola come qualcosa di secondario nel canone della saga.
E allora come se ne esce? Se ne esce?
Ecco, The Acolyte – La seguace, può esser visto, a seconda di come andrà, come una risposta al problema di cui sopra o come un perfetto esempio dello stesso. Lo show mette infatti da parte necessariamente Luca Celestepedoni, Han Soli e Palpatini, essendo ambientato alla fine dell’Alta Repubblica, “un centinaio d’anni prima della nascita dell’Impero”, come racconta il testo a schermo subito prima del suo inizio. Anni di pace in cui i jedi sono ancora tanti, nei loro templi si allenano tantissimi padawan e puoi riempire una scena con decine di personaggi che mulinano le loro spade laser.
Ecco, questo è probabilmente il punto focale di tutta la faccenda: una serie come The Mandalorian puoi farla piacere anche a un pubblico poco impallinato di Star Wars, per via della sua struttura e degli schemi a cui attinge, ma una produzione del genere, che paradossalmente ha meno punti di contatto con tutte le vicende pregresse della saga, sembra destinata perlopiù allo zoccolo duro, a chi guarda The Bad Batch, e magari di questa epoca d’oro dei cavalieri Jedi ha già a casa fumetti e romanzi.
Ma a ogni modo, di che parla The Acolyte – La seguace? Di un bizzarro incrocio tra Fracchia la belva umana e Kill Bill.
La storia di Osha (Amandla Stenberg), che nella vita fa la meknek, che vuol dire la meccanica di astronavi, si complica improvvisamente per una faccenda di scambi di persona in cui sono coinvolte una sua parente molto stretta, il suo pianeta natale, una lista dell’odio e della vendetta tipo Arya Stark o Beatrix Kiddo e una serie di maestri jedi. Tra cui, appunto, la Indara di Carrie-Ann Moss – che, lo diciamo subito, nei primi quattro episodi si vede solo per una manciata di minuti… “Diludendo”.
Arrivati alla fine del secondo episodio, la trama sembra già mostrare la corda, in una serie fin lì dai valori produttivi decisamente più bassi rispetto agli altri show di Star Wars. Quella figura alla fine del secondo episodio ha ridestato però un minimo la nostra curiosità, e i flashback e quant’altro viene nelle due puntate successive ha riportato The Acolyte in carreggiata. In questa prima metà di stagione nulla di particolarmente esaltante: diciamo che si lascia seguire, con una struttura che, pur essendo tutta trama orizzontale, ricorda la fantascienza televisiva di qualche anno fa. E nonostante la recitazione non entusiasmante delle due interpreti più giovani del cast (due ragazzine), è fortunatamente lontana negli abissi livello “I Power Rangers di The Book of Boba Fett“. Sì, dovrebbe essere il minimo, ma andava detto.
Gli aspetti più positivi sono, almeno finché rimane tale, il mistero su cui poggia la vicenda, per il semplice fatto che è una cosa abbastanza nuova in salsa Star Wars. E poi alcune figure come Osha (e Mae), la Indara col contagocce (ma è davvero Trinity jedi) e il coreano Lee Jung-jae di Squid Game nei panni del maestro Sol. O la congrega di streghe della Forza, che nonostante un momento a un soffio dal musical, riprende bene un affascinante concetto già visto in Star Wars (in particolare con le Sorelle della notte di Star Wars: The Clone Wars). Nel senso: e chi l’ha detto che la Forza possono e devono usarla solo quelli vestiti da frate e i cappuccetti neri Sith?
Per il resto, vedremo come va. Più spazio a Indara e a quella certa figura alla fine dell’episodio 2, intanto, grazie.
Anche quando non sa di volere proprio quella cosa lì.
Anche quando non sa di volere proprio quella cosa lì.
Anche quando non sa di volere proprio quella cosa lì.