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X-Men ’97 è una bomba (la recensione senza spoiler dei primi tre episodi)

Pubblicato il 20 marzo 2024 di DocManhattan

Arrivano oggi su Disney+ i primi due (di dieci) episodi di X-Men ’97, una serie animata che – come dicevamo qui – funge da seguito diretto della vecchia X-Men: The Animated Series (da noi Insuperabili X-Men), conclusasi appunto nel ’97 dopo cinque stagioni. Ho avuto modo di vedere i primi tre episodi (i due di oggi più quello della prossima settimana) in anteprima, qualche giorno fa, e mi sono piaciuti molto. Per tanti versi,  X-Men ’97 non è solo un viaggio a ritroso nel tempo, ma qualcosa che chiunque abbia amato i mutanti Marvel, in qualsiasi loro incarnazione, adorerà.

VENTI UGUALE NOVANTA

Potremmo iniziare questa recensione sottolineando “come gli anni Novanta siano gli anni Ottanta degli anni Venti”, vale a dire l’oggetto di ripescaggi forsennati degli ultimi tempi, per quella storia dei cicli trentennali della nostalgia e degli anni Ottanta già spremuti come limoni. Potremmo anche aggiungere che i fumetti americani in generale, e nello specifico quelli degli X-Men, vivono da tempo un continuo ritorno agli anni felici in cui hanno raggiunto il proprio picco di vendite, tra cover che omaggiano l’era Lee-Liefeld, variant in stile card collezionabili di quell’epoca, remake di saghe a fumetti di quel periodo. Il punto, però, è che in X-Men ’97 tutto questo sembra molto meno pretestuoso, perché si è ripreso da dove la storia si era interrotta, ovvero dall’addio di Xavier.

Se siamo allora di nuovo nel 1997, il 1997 dei walkman e dei cellulari con gli schermi nonocromatici, della moda sportiva improbabile di quel periodo (che non fa sembrare Gambit in tenuta da partitella di basket uno scappato di casa, per dire), scivolare in quel mood è un attimo. Animata – dai coreani di Studio Mir per conto di Marvel Studios Animation – decisamente meglio di quanto riusciva a fare mediamente la serie originale, almeno per tutti i protagonisti, X-Men ’97 ti porta tra le atmosfere tipiche dei mutanti Marvel. Il che vale a dire lacrime, sangue, amori, dramma e battute. Ovvero rimettere in piedi la grande e fortunata soap opera di Wolverine, del grande precisino Ciclocchio, di Jean Grey e compagni.

TERRA MUTANTE AMARA

Per ripristinare la soap mutante, lo showrunner Beau DeMayo e i suoi non hanno dovuto inventare daccapo la ruota. È bastato attingere, come faceva la serie degli anni Novanta, ad alcune delle migliori o comunque più note saghe a fumetti degli X-Men. Le vicende che interessano in questi tre episodi Tempesta, Rogue, Gambit, Magneto, Wolverine e gli altri sono lampadine di nostalgia che si accenderanno nelle teste di ogni vecchio Marvel fan, esattamente quanto le tonnellate di citazioni infilate negli episodi. Dai nomi delle vie delle strade, legati a celebri cartoonist che hanno lavorato per la Casa delle Idee, alle copertine di albi storici degli X-Men tramutate in foto e quadretti per calarle direttamente nella storia. O a quei tizi su quella prima pagina di un giornale che si vede anche nel trailer.

Dalle trasformazioni di Morph (perché non fargli vestire i panni di decine di mutanti, buoni e cattivi, famosi?) a una certa partita a basket che viene dritta dalle matite di Jim Lee sulle pagine di X-Men 4. Se proprio siete curiosi, date un’occhiata all’elenco di titoli dei prossimi episodi, diffuso da Disney già da qualche settimana: bastano quei titoli, ai summenzionati vecchi fan, per sapere cosa aspettarsi.

E se l’arrivo in squadra di Magneto come nuovo leader al posto di Xavier destabilizza comprensibilmente ogni equilibrio e innesca nuove dinamiche, se personaggi come Tempesta e Logan cercheranno il loro destino in questo nuovo contesto, al centro di tutto resta pur sempre il significato dell’essere un mutante. La tolleranza (e la sua versione sinistra, la tolleranza di facciata), l’accettazione e l’inclusione opposte al rifiuto violento di chi si ritiene a torto diverso da sé, sono temi attorno a cui il concetto stesso di X-Men è nato, nei fumetti di Lee e Kirby, sessant’anni fa, e poi è decollato nella lunga gestione di Chris Claremont.

PER BAMBINI (CRESCIUTI)

Sono temi sui quali sono stati sviluppati i migliori archi narrativi dei mutanti, e sui quali X-Men ’97 punta con ancor maggiore decisione rispetto alla serie anni Novanta, potendo anche contare su un pubblico che, nella maggior parte dei casi, sarà composto dai vecchi fan oggi adulti. Su Disney+, del resto, la serie è consigliata a un pubblico 14+. Non che ci sia qualcosa di specifico che vi impedisca di farla vedere a figli o cuginetti più piccoli, ma in quel caso sarà magari opportuno restare a guardarla con loro, e nel caso spiegare che certe cose, tolti i costumi colorati e i super-poteri, purtroppo accadono anche nel nostro mondo.

Parlando proprio degli spettatori della vecchia serie, con oggi trenta giri intorno al sole in più sulle spalle, questi saranno felici di sapere che la sigla di testa di X-Men ’97 è praticamente un remake di quella originale, e che quella di coda ricorda un certo tipo di sigle basate sui siti Internet dell’epoca. O che gli autori e il regista di Insuperabili X-Men, rispettivamente Eric e Julia Lewald e Larry Houston, sono stati tirati a bordo come consulenti della produzione. Resta il mistero dell’allontanamento di DeMayo, anche e soprattutto per il bizzarro tempismo, a pochi giorni dal debutto sulla piattaforma della serie. Sembra avesse comunque già completato le sceneggiature per una seconda stagione.

Insomma, pace se qualche comparsa sullo sfondo è animata così così: le storie sono dei grandi classici del mondo degli X-Men, i dialoghi sono brillanti, il character design dei protagonisti eccellente. E magari qualche coppia che – da lettori o spettatori – avete inutilmente shippato per anni, tre decenni orsono, ora avrà una nuova chance, chi ce lo dice? Per farla brevissima, sì, X-Men ’97 è la migliore cosa che potesse capitare a un vecchio fan dei mutanti Marvel, animati, a fumetti o entrambe le cose.

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