Con Michael Gambon un’intera generazione, quella Millennial, dice addio ad un interprete che ha ricoperto un ruolo assolutamente basilare nel loro percorso di crescita. Il fu Albus Silente si è spento ad 82 anni, con alle spalle una straordinaria carriera, lontana (ad accezione del personaggio creato dalla Rowling) dalla luce dei riflettori. Eppure, è stato uno dei più grandi attori della sua generazione, un gigante simbolo della tradizione del palcoscenico e del cinema inglesi, capace in pochissimi istanti di creare personaggi memorabili.
Teatro, teatro, teatro. Quello è stato il grande amore di Michael Gambon, cresciuto seguendo l’esempio dell’immortale Laurence Olivier, raccogliendo plausi unanimi mentre si cimentava nei grandi classici di Shakespeare, Ayckbourn, Shaw, Brecht e Miller. Al cinema però già da metà degli anni ’60 era una presenza fissa nel meglio che veniva dall’autorialità dell’Oltremanica, senza però mai arrivare al rango di divo, quanto piuttosto concentrandosi sulla qualità, su personaggi di spessore, collaborando con registi del calibro di John Irvin, Robert Altman, Barry Levinson o Peter Greenaway. Allo stesso modo non disdegnava il piccolo schermo, agendo con ancor più parsimonia. Si può anzi dire che fino ad un certo punto sia stato quasi un caratterista di lusso, di quelli che servivano per dare risalto a personaggi cruciali, sovente i villain.
Vale la pena ricordare, oltre al suo coinvolgimento nella saga di Harry Potter a inizio millennio, dove fu chiamato per sostituire lo scomparso Richard Harris, numerosi film dove prestò il suo sguardo penetrante a personaggi sovente oscuri e torbidi. Insider, I ricordi di Abbey, Mary Reilly, Ballando a Lughnasa, Pusher, Il Mistero di Sleepy Hollow, Gosford Park, Open Range e Good Shepherd sono solo alcuni dei titoli in cui è stato presente. Si può anche considerare che forse avrebbe meritato maggior spazio, quello che alla fine colleghi come Tom Wilkinson o Ian McKellen alla fine hanno trovato sul grande schermo. Eppure, alla fine, il personaggio di Albus Silente, impugnato per la prima volta nel terzo episodio, Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban nel 2004, gli ha permesso di diventare qualcosa di incredibilmente importante per milioni di persone. Michael Gambon nei panni del Preside di Hogwarts è stato tutto ciò che ogni adolescente sognava di trovare in una figura di tutore o insegnate: un esempio. Da allora fino al gran finale, con quella morte che rimane uno dei momenti più importanti della saga, Gambon si è saputo calare con maestria nel personaggio forse il più complesso assieme a Severus Piton.
Alto, con uno sguardo freddo ma non ostile, gli occhiali a mo’ di corazza delle sue intenzioni, la lunghissima barba e il look esotico, Albus Silente grazie a Michael Gambon si evolve (rispetto a ciò che era stato Harris) in una sorta di eminenza, non tanto grigia. Il mondo in cui si trova ad operare è connesso a intrighi, complotti, al ritorno di Voldemort e dei suoi seguaci, alla necessità soprattutto di perseguire il bene supremo e assieme salvare Harry Potter. Gambon a mano a mano che si andò avanti si dimostrò capace di dipingere un personaggio colto, un leader scevro da narcisismo e protagonismo. In lui Gambon unì in modo perfetto le caratteristiche di un Mago Merlino e di un Gandalf, riuscendo però ad essere alternativo ad entrambi, perché ben piantato dentro il mondo terreno, parte di un’importante istituzione. Egli non è un nomade, uno spirito anarchico, in lui abbiamo avuto un esempio cinematografico perfetto del concetto di responsabilità e dovere.
Quale il momento più magico? Dal dialogo di fronte allo Specchio delle Brame, al suo sacrificio per mano dell’amico e doppio agente Piton, lo scontro con Voldemort e i tanti dialoghi con Harry. Silente grazie a Gambon diventa un simbolo di lealtà, onore, controllo delle proprie pulsioni e della capacità di andare oltre il superfluo e momentaneo. Probabilmente è nel dialogo finale con Harry, in quella stazione ferroviaria di King’s Cross, che si deposita l’eredità di questo personaggio, simbolo del bene supremo a cui ambire, mentore e insegnate straordinario, fonte di ispirazione per ogni alunno della scuola. La pietà, l’empatia, sono le armi più potenti di un mago, tanto più da tenere in considerazione quanto abbiamo odio e ostilità di fronte a noi. In questo, Michael Gambon si è reso protagonista di un percorso attoriale connesso al concetto di pedagogia ed esempio, intimamente britannico come caratterizzazione e stile, scevro però dal paternalismo, dal classismo, quanto piuttosto in divenire come lo era il suo pubblico.
E di questo, chi era allora bambino e oggi è adulto, gli sarà sempre grato.