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Ted Lasso stagione 3, episodio 1: We Are Richmond (no spoiler)

Pubblicato il 15 marzo 2023 di DocManhattan

Anche se in tanti proveranno magari a dirvi il contrario, il più grande evento legato al calcio britannico delle ultime ore non sono i cinque gol rifilati da Erling Haaland al Lipsia ieri sera in Champions, ma il ritorno dell’allenatore baffuto che amiamo amare. Con “Smells Like Mean Spirit”, il primo dei dodici nuovi episodi a cadenza settimanale, ha debuttato oggi su Apple TV+ la terza stagione di Ted Lasso. Una serie che dovreste proprio guardare, nel caso non lo stiate già facendo. E se non vi importa del calcio, è uguale: non è quello che conta.

WE ARE RICHMOND

Un anno e mezzo fa, nel recensire la seconda stagione di Ted Lasso, scrivevo qui come le avventure personali e sportive dell’allenatore più empatico del mondo rappresentino un racconto fatto a ben vedere di problemi comuni, come il peso delle aspettative, il rancore per un rapporto finito, l’insicurezza, le re(l)azioni pericolose verso cui ti possono spingere la frustrazione e il senso di inadeguatezza. In una serie – apparentemente – allegra, incentrata su una delle figure più – apparentemente – happy-go-lucky di sempre, Jason Sudeikis (che non riuscirò a vedere mai più senza baffi), il Bill Lawrence di Scrubs, Brendan Hunt e colleghi hanno allestito un teatro umano in cui si migliora, ci si adatta, si cambia. In meglio, ma anche in peggio. L’AFC Richmond, come recita il motto della squadra, siamo tutti noi.

WANNABE VILLAIN

Nate il Grande è diventato così il cattivo da battere, in un arco narrativo classico da origini di un supervillain in costume, cambio di look incluso; Coach Beard è il maestro di vita, o quantomeno il saggio compagno di bevute al pub, che tutti vorremmo avere; Roy Kent (Brett Goldstein) è diventato un simpaticone. No, scherzo, l’ultima è impossibile. Ma ci siamo capiti.

La risalita dalla serie B inglese della stagione 2 è stata quindi, dicevamo l’altra volta, dal punto di vista umano una scala mobile per venir su da un burrone (o finirci dentro come Pegasus). La terza stagione, con le carte messe in tavola anche da questo primo episodio, punta a sviluppare tutti quei subplot, a farci capire fino a che punto Ted può continuare ad andare avanti senza finir travolto dalle macerie del suo matrimonio, o a fare il signore in un mondo di squali. E Nate? C’è qualche minima speranza di redenzione per lui (lo sa, e si vede, che sta lavorando per un bastardo), o finirà definitivamente a fondo per colpa del suo orgoglio? E Roy e Keeley?

PERCHÉ SERVE ANCHE LA TRISTEZZA

Già, Roy e Keeley. A leggere un po’ di recensioni, soprattutto statunitensi, di questo primo episodio della stagione 3, in tanti non hanno apprezzato il cambio di tono, o meglio l’aggiunta di sfumature nello stesso, da parte della serie. C’è chi si chiede, come ha fatto il NYT, perché ci siano questi elementi drammatici, visto che Ted Lasso dovrebbe essere “il nostro feel-good show”.

Beh, è ovviamente un parere personale, ma a volte per farti sentire bene, una storia immaginaria deve farti prima capire cosa vuol dire stare male. Un’evoluzione nello show era fondamentale per andare avanti, e non è certo per i suoi attacchi di panico o per la sua sofferenza che smetti di voler bene a Ted. Semmai, gliene vuoi ancora di più. A lui, l’autoproclamatosi “Ned Flanders che fa il cosplayer di Ned Flanders” e a tutti gli altri.

MA ANCHE NO, NON PER FORZA

L’evoluzione delle serie TV, peraltro, di esempi di “serie che ti fa sentire bene” poi abili nel rifilarti un cazzotto nello stomaco ce ne ha già serviti tanti. A volte, anche del contrario (penso ad After Life di Ricky Gervais, che cammina su un filo sottile tra il dramma e la voglia di riprendere a vivere). Magari, allora, la mania di incasellare per forza una serie in un genere la lasciamo perdere, e incrociamo semplicemente le dita affinché il viaggio sia memorabile.

E affinché il Richmond vinca, certo.

Perché questo campionato, sempre in virtù del fatto che il Richmond siamo noi, adesso lo vogliamo portare a casa quanto lo desidera la presidentessa Rebecca. Come nei migliori spokon manga, se ti affezioni alla squadra più scarsa del campionato, poi vuoi vederla arrivare in fondo davanti a tutte le altre. O quanto meno sputare l’anima per provarci. Com’era? Ah, sì: “Richmond fino alla morte”.