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Samaritan: Stallone è un supereroe, ma si sapeva già – La recensione

Pubblicato il 25 agosto 2022 di Marco Triolo

Sylvester Stallone è sempre stato un supereroe. Sin dagli anni ’70, quando ancora scriveva e dirigeva pellicole autoriali e si affermava con un ruolo gigantesco come quello di Rocky, un uomo qualunque, un perdente che si trasformava in vincente semplicemente con la forza della sua volontà e la voglia di riscatto, Stallone ha sempre capito cosa renda un personaggio leggenda. A ben vedere, quegli stessi ingredienti sono alla base di molti supereroi dagli anni ’60 – l’epoca della rivoluzione Marvel – in avanti: prendiamo Spider-Man, un ragazzo qualunque, un perdente, nemmeno troppo potente anche quando viene morso da un ragno radioattivo, ma che con la forza di volontà riesce ad avere la meglio.

Poi, negli anni ’80, Stallone è diventato davvero un supereroe: si è sottoposto a interventi di chirurgia plastica al viso, si è allenato fino a raggiungere una forma fisica da culturista ed è diventato uno dei simboli dell’action muscolare di quel decennio, in cui, appunto, individui larger-than-life (principalmente lui e l’amico Arnold Schwarzenegger) affrontavano interi eserciti uscendone vincitori grazie alla pura superiorità fisica.

Era solo questione di tempo, dunque, in quest’epoca dominata dalla figura del supereroe, prima che Stallone accettasse di interpretarne uno per davvero (escludendo ovviamente i personaggi in The Suicide Squad e Guardiani della Galassia Vol. 2). Lo fa in Samaritan, un film scritto da Bragi F. Schut (Escape Room) e diretto da Julius Avery, regista di Overlord e del prossimo The Pope’s Exorcist. Un film perfettamente tarato su ciò che Stallone è oggi: non più il giovane affamato o la superstar affermata, ma un’icona che si avvia a fine carriera. Da persona intelligente qual è, Sly non ha mai tentato di nascondere le carte o fingere che gli anni non siano passati: anche quando è tornato a interpretare Rambo e Rocky, ha dato di loro una lettura crepuscolare e malinconica che ben si addiceva alla sua età anagrafica.

In Samaritan interpreta un ex supereroe, creduto morto ma in realtà vivo e vegeto, che si è lasciato quella vita da uomo d’azione alle spalle per condurre un’esistenza mediocre, tranquilla, al preciso scopo di non attirare l’attenzione su di sé. Di lui si accorge, però, un vicino di casa, Sam (Javon Walton), un ragazzino che vive con la madre single ed è un grande fan di Samaritan. Sam (nomen omen) è ossessionato dall’idea di scovare il suo eroe e, quando finalmente, sembra avercela fatta, il rapporto che si instaura tra loro due li porterà a scontrarsi con Cyrus (Pilou Asbæk), criminale determinato a prendere il controllo della fittizia Granite City.

Partiamo dai difetti di Samaritan: se state cercando qualcosa di nuovo, siete nel posto sbagliato. Se i supereroi vi hanno stufato, siete nel posto sbagliato. Il plot imbastito da Schut non inventa nulla: di vecchi eroi disillusi ne abbiamo visti tanti, sin da “Il ritorno del Cavaliere Oscuro” di Frank Miller; di eroi riluttanti costretti a tornare in azione ben oltre il fiore degli anni ancora di più. In Samaritan, Stallone incarna un archetipo costruito su di lui e funziona, ma nulla più. La trama lo porta a scontrarsi con un cattivo altrettanto se non ancora più stereotipato: il Cyrus di Asbæk ha in mente il più generico piano da supervillain, talmente generico che ad Avery non importa di renderlo comprensibile, e questo nuoce al climax del film. Se non è chiara la posta in gioco, non è nemmeno troppo chiaro per quale ragione a noi spettatori dovrebbe fregare qualcosa. Il più grande peccato di Samaritan, però, è che si fonda su un colpo di scena telefonatissimo, che chiunque abbia visto più di un film o letto più di un fumetto nella vita riuscirà a indovinare nei primi minuti. Non è un grosso problema e non impedisce di godersi il film nell’immediato, donando all’interpretazione di Stallone un ulteriore livello di lettura forse involontario, ma resta uno spreco di potenziale incomprensibile.

Tutto da buttare, dunque? Assolutamente no. Prima di tutto perché con i personaggi malinconici e crepuscolari Sylvester Stallone ci va a nozze, e qui come sempre dà un’interpretazione concreta, minimalista, empatica, calandoci con poco nella routine quotidiana di questo vecchio orso dallo sguardo triste. E poi perché Samaritan sa piazzare almeno una riflessione interessante sul funzionamento del male e su come sappia sedurre anche persone fondamentalmente buone. Sam si trova di fronte a un bivio nel film: da un lato ha scovato il suo più grande eroe, simbolo del bene e della lotta contro le forze oscure. Dall’altro è corteggiato dalla gang di Cyrus, le uniche persone a trattarlo come un adulto, a non ignorarlo, a dargli uno scopo nella vita, del denaro e persino un pasto caldo. Samaritan contrappone esplicitamente la visione manichea dei classici comic book – come ogni supereroe che si rispetti, Samaritan ha un avversario storico, Nemesis – alla vita reale, fatta invece di zone grigie, per dirci che il male non sta necessariamente tutto da una parte, così come il bene. C’è un villain in tutti noi, l’importante è saperlo tenere a bada.

Samaritan resta un prodotto medio, sia chiaro, non certo un film che passerà alla storia o farà rivalutare Sylvester Stallone a chi lo sottovalutava. Ma è anche un film onesto, fondato su un bel rapporto padre-figlio, che sa chiudere tutti i propri spunti con diligenza e coerenza. Non è da tutti.

Samaritan sarà disponibile su Prime Video da venerdì 26 agosto. Per saperne di più: