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Prey: il film “Predator contro i Comanche”, fortunatamente, fa il suo

Pubblicato il 03 agosto 2022 di DocManhattan

Sì, è vero: sul titolo di questo film, praticamente un controcampo del concetto stesso di Predator, abbiamo ironizzato un po’ tutti, all’annuncio. Eppure Prey, il film originale disponibile su Hulu – e da noi quindi su Star di Disney+ – dal 5 di questo mese, è riuscito nell’impresa in cui, per una ragione o per l’altra, hanno fatto fiasco i tre capitoli precedenti della saga di Predator. Ovvero rivelarsi una pellicola che, pur senza guizzi, è in grado di intrattenerti per quell’oretta e mezza che dura. Dico di più: di divertirti. Come? Riportando tutto alle radici del franchise, alla semplice sfida su cui si è stato sviluppato il primo film, nel 1987: l’ingegno umano che riesce a battere un cacciatore alieno tecnologicamente molto più avanzato, quando le armi – sì, pure “venti caricatori dell’M60” – non bastano. Ok, starete pensando: ma i nativi americani?

IL POTERE DEL GRANCHIO

Un paio di mesi fa, nel ricordare le origini di Predator in occasione del suo 35esimo compleanno, provavamo a spiegare perché il primo capitolo della saga è sostanzialmente irripetibile. “Un film di guerra al mostro in cui crepavano in tanti”, si diceva, “e il tutto sfociava in una singolar tenzone tribale a base di fango e urla, ma passando per scene che lo rendono quasi una parodia di un intero genere. Un genere al cui successo aveva contribuito enormemente il suo protagonista. Le one-liner di John Matrix tramutate in un ammiccante gioco della smargiassata tra protagonisti e pubblico”. Un film perfetto, dunque, ma perfetto per il 1987.

Non stupisce che nessuno dei suoi seguiti, aggiungendo dell’altro, sia riuscito a imbottigliare lo stesso fulmine. Non il flop di Predator 2 nel 1990, non il comunque piacevole Predators nel 2010 o il fiacchissimo The Predator (pur affidato alle cure di Shane Black) nel 2018. Prey, il cui sviluppo è partito anni fa, proprio durante la produzione di The Predator, riparte invece proprio dal fango, dalla natura che se è ostile per l’uomo può diventarlo pure per un alieno. Dal confronto tra l’homo sapiens e lo Yautja con la sua faccia da granchio. E per non sbagliare, non lasciarsi accecare dagli spiegoni tecnologici superflui, Prey spedisce quel confronto nel passato. Trecento anni fa, quando pure per caricare un fuciletto ci voleva un casino di tempo. Ad averne uno. Sfida impari? Solo se l’ex maggiore Alan “Dutch” Schaefer, nell’87, non vi ha insegnato niente…

“C’È UNA CURA – COMANCHE – INDOLORE PER VOI!”

La storia di Prey è essenzialmente quella dell’outsider di un gruppo che si rivela essere l’unico in grado non solo di sopravvivere, ma anche di affrontare a testa alta una minaccia soverchiante per gli altri. L’outsider in questione è la giovane Comanche Naru (la Amber Midthunder di Legione Roswell), snobbata dai guerrieri della sua tribù. E siccome è proprio il genere di premessa che porta i-soliti-dell’Internet spaventati dalle “figure femminili forti” a gridare che queste “sminuiscono il ruolo degli uomini” (?), tocca ricordare a questi, nel caso, che per Ellen Ripley è stato lo stesso, più volte: non solo nel ’79 sulla Nostromo, ma pure quando ha fatto una gita – da civile – insieme a dei cazzutissimi marine dello spazio.

Il meccanismo narrativo è vecchio, in altre parole, ma si continua ad adoperare perché funziona: se un qualcosa spazza via quelli che dovrebbero essere i duri della situazione, come potrà mai fermarlo un personaggio considerato meno coriaceo di questi? Ora, la cosa probabilmente più riuscita di tutto il film è che il concetto di “preda” e “predatore” continua a mutare nel corso della pellicola: in un continuo scambio di ruoli e rovesciamento della piramide alimentare/venatoria, Nara e la sua tribù si trovano prima alle prese con dei feroci animali selvatici in giro in quel 1719 lì, poi con un predatore reso volutamente più tribale e horror dal regista Dan Trachtenberg (10 Cloverfield Lane). Il che ha senso, visto che anche la tecnologia degli Yautja si sarà evoluta nei quasi tre secoli che separano questi eventi dalla scampagnata di Schwarzy e compagni nella giungla mesoamericana.

Questa altalena del pericolo, un Gioca jouer in cui chi caccia diventa cacciato proprio mentre fa “autostop” o “starnuto”, si ripete nel corso del film con l’aggiunta di nuovi soggetti. Il mondo di Prey non è, e probabilmente non voleva essere, l’inferno verde e marrone di The Revenant di Iñárritu, anche se qui c’è molto probabilmente il cugino dello stesso orso che si era invaghito troppo di DiCaprio. Prey è pur sempre un film action, con fotografia e montaggio, come dire, funzionali? Ma proprio essere una pellicola destinata a Hulu gli ha permesso di andare a briglia sciolta in quanto a violenza, con più di una strizzatina d’occhio agli slasher. Non ti farà sentire insomma il freddo nelle ossa, ma in quanto a ferocia pure qui non si scherza affatto.

BALLA COI MOSTRI

E se qualche acrobazia di Nara fa pensare a un gioco della serie Assassin’s Creed, magari la colpa è anche del fatto che delle musiche si è occupata Sarah Schachner, autrice delle colonne sonore di diversi titoli di quella saga. Per quanto riguarda infine l’autenticità degli aspetti della vita Comanche mostrati in Prey, sono stati scelti di proposito una produttrice nativa Comanche (Jhane Myers) e un cast composto quasi interamente da attori nativi americani. Poi, certo, fa strano che questi passino in continuazione dalla loro lingua all’inglese – perché girarlo tutto in lingua faceva troppo Mel Gibson, dice – e che Nara se la cavi per il rotto della cuffia in condizioni impossibili. Ma in fondo ci sta, perché è tutto un gioco.

Un mortale gioco di caccia all’uomo o all’umanoide, che abbia le pitture tribali sul volto o una faccia da granchio, affrontato con ogni mezzo, e che per il giusto che dura riesce a tenere su livelli sufficientemente alti la tensione, spingendoti a fare il tifo per la protagonista. Qui non abbiamo voti, ma se Prey fosse uno studente arrivato a fine anno scolastico, potrebbe strappare ai suoi genitori fors’anche un motorino usato, con il suo dignitosissimo sei e mezzo di media. Potevamo chiedere di più? Non saprei. Così, su due piedi, direi comunque realisticamente di no, visto che quello che è a tutti gli effetti un “film per la TV” è riuscito a fare meglio delle ultime pellicole per il cinema a base di predatori con i dread.

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