SerieTV Recensioni The Doc(Manhattan) is in

Love, Death & Robots, stagione 3: la recensione (senza spoiler)

Pubblicato il 21 maggio 2022 di DocManhattan

Quasi un anno esatto dopo l’ultima volta, Love, Death & Robots è tornata da ieri su Netflix per un nuovo giro di giostra. Potremmo a questo punto liquidare pure questa terza stagione della serie antologica animata creata – tra gli altri – da David Fincher, rimandando a quanto scritto un giro della Terra intorno al Sole fa.  Il progetto ambizioso di un remake di Heavy Metal diventato una serie di corti per Netflix di varia durata, e tutto il resto.  Di fondo resta infatti che la struttura di Love, Death & Robots, la sua stessa natura, è tanto il suo miglior pregio quanto il suo peggior difetto.

Tranquilli, niente spoiler.

IL GATTO DI SCHRÖDINGER (UNA DOVEROSA PREMESSA)

Prima di iniziare a vedere una nuova stagione, ogni nuova dose di Love, Death & Robots non solo può essere bella o brutta, come qualsiasi cosa, ma può anche essere entrambe le cose. Quando scegli l’animazione come mezzo espressivo, hai infatti da un lato la possibilità di portare in scena quello che ti pare, ma dall’altro sai che più minutaggio sfrutti, più i costi andranno alle stelle. Di conseguenza, anche questa volta, non solo la durata dei corti inclusi è molto varia, ma quasi tutti stanno abbondantemente sotto i dieci-quindici minuti.

E allora, studi (Blow, Blur Studio, Sony Pictures Imageworks…) e autori devono fare il meglio nel minor tempo possibile, essenzialmente, così magari la realizzazione tecnica si può spingere al massimo… Ma più vai corto con il minutaggio, e più è difficile far affezionare il pubblico non dico ai personaggi, ma almeno alla storia, anche quando – come nella maggior parte dei casi, in questa serie – poggia sul racconto di un autore affermato.

Ragion per cui, a brillare sono sempre e solo quelle più geniali, o bastarde. Una specie di condensato di Ai confini della realtà (se siete molto giovani, di Black Mirror), dove le trovate più feroci sono quelle che ti lasciano qualcosa. Quello, o la poesia visiva di uno Zima Blue (stagione 1). Ma solo se fai a tempo ad apprezzarla, prima che i titoli di coda ti spingano verso un altro episodio.

A volte funziona, altre no. E non è detto neanche che, quando lo fa, funzioni allo stesso modo per tutti. Parlando con degli amici, dopo le stagioni precedenti di Love, Death & Robots, ho scoperto che alcuni dei miei episodi preferiti erano scivolati via nelle loro teste come acqua fresca. E viceversa. E pure qui: succede con i film, figurati con corti di pochi minuti in cui salti da uno stile all’altro.

Tenetelo presente, ora che passiamo rapidamente in rassegna i singoli anelli di questa terza stagione, prima di tirare le somme alla fine. Buon viaggio, miei robot.

EXIT STRATEGY PLANETARIA

Ecco, sul fronte delle storie feroci, l’apparentemente ironica Tre Robot: strategie d’uscita funziona benissimo, e fortunatamente non è la sola a farlo in questa stagione. Dietro c’è ancora una volta un racconto di John Scalzi, l’artefice dello spassoso romanzo Uomini in rosso (Redshirts), che co-autore anche della sceneggiatura. Tre robot e la cronaca di come sono andate, appunto, le speranze della razza umana di sopravvivere alla fine del mondo, prendendo in considerazione i vari approcci tentati da diverse categorie di persone. Secondo voi?

QUINDICI UOMINI…

No, in realtà non sono quindici, e non sono neanche pirati. Un brutto viaggio non è nemmeno una storia di fantascienza, perché è un horror-fantastico ambientato in un mondo in cui l’equipaggio di un veliero ha a che fare con diverse accezioni della parola “mostro”. Il punto di partenza è qui un racconto breve di Neal Asher, il regista è lo stesso David Fincher, alla sua prima regia nella serie.

Qui serviva proprio più spazio rispetto alla media, e fortunatamente c’è: è l’episodio più lungo (una ventina di minuti), e li sfrutta bene tutti. Teso, crudissimo, con un cuore ovviamente pieno di tenebra. Magari gli serviva giusto qualcosina in più in coda, ma che botta. Notevolissimo.

CHI SONO IO?

Tratto da un racconto breve di Michael Swanwick, La pulsazione della macchina è realizzato in un cel-shading con i suoi alti e bassi, ma anche con un paio di momenti visivamente interessanti. La spedizione (andata storta) su una delle lune di Giove è il pretesto per quello che sembra all’inizio un breve The Martian con le allucinazioni, ma… C’è un ma. E dalle atmosfere da videogioco indie di dieci anni fa, in un attimo siamo dalle parti di un capitolo parallelo di Final Fantasy, e ritorno. Il finale mi è piaciuto molto.

LE COMPLICAZIONI DEL SESSO SATANICO

La notte dei minimorti non dura neanche quattro minuti, tolti i titoli di testa e coda, eppure è un vero gioiello. Una coppia che va a farlo nel posto sbagliato scatena l’apocalisse zombie, e la spaventosa escalation che ne consegue è raccontata con campi lunghissimi, vocine accelerate da Chipmunks e battute sboccate da puntata di Rick & Morty. Ah, sì: mai come oggi (ma vale sempre, del resto), dovrebbe pure far riflettere, appena uno smette di ghignare.

MALEDETTO TASSO DEL MIELE

Morte allo squadrone della morte parte, senza troppi fronzoli, con un pene che urina sugli spettatori (Love, Death & Robots è una serie VM18, se lo può permettere) ed è animato con uno stile abbastanza tradizionale, e con personaggi tagliati volutamente a colpi di scure, da Titmouse, Inc.

Soldati da action movie di serie C degli anni 90 contro un peculiare cyborg inarrestabile. Se sembra una parodia sboccatissima, super-splatter e purtroppo piattissima di tanti, troppi film e videogiochi tamarri che ci siamo sciroppati negli anni, è perché lo è. L’anello debole della compagnia.

NELL’ALVEARE

Si torna nello spazio profondo con Sciame, episodio che attinge a una storia pubblicata su rivista esattamente quarant’anni fa da uno dei padri del cyberpunk, Bruce Sterling. La domanda è: possiamo impostare il rapporto con specie aliene insettoidi (o aracnoidi) in un altro modo, o nella fantascienza abbiamo sempre sbagliato tutto, lasciando parlare i fucili a impulsi e le fanterie dello spazio?

Sarebbe bellissimo, no, se i nostri pronipoti, in qualunque mondo di fantasia vivano, sapessero imparare non solo dai nostri errori, ma da altre forme di convivenza pacifica? Lo sarebbe, ma la verità è che non impariamo mai un fico secco di niente.

La trama è stata compressa rispetto al racconto e ha uno sviluppo diverso nel finale, ma di fondo resta che l’intelligenza, soprattutto dal punto di vista della sopravvivenza di una specie, è un fattore a quanto sembra sopravvalutato.

RATTOAPOCALISSE

Mason e i ratti ci porta in una fattoria del futuro, in cui la guerra del contadino Mason del titolo ai topi viene combattuta in realtà su due fronti. Perché pure i ratti si sono evoluti, e sono pronti a contrattaccare. Il racconto di Neal Asher diventa un corto animato in modo delizioso dai ragazzotti scozzesi di Axis Studios. Per come si sviluppa e conclude, è l’episodio di questa stagione che tende di più ad affabulare. Se in una favola fossero ammessi i corpi maciullati e un protagonista umano che ripete ogni due secondi p0rc@tro…, certo.

MANGANIELLATE AGLI ALIENI

Anche in questa stagione di Love, Death & Robots non mancano i nomi noti tra i doppiatori (Rosario Dawson, Mackenzie Davis, Seth Green…). La particolarità di Sepolti in sale a volta è però che i personaggi hanno non solo la voce, ma anche il volto di Joe Manganiello, Christian Serratos e Jai Courtney.

Una squadra di soldati USA appena usciti da un Call of Duty deve salvare un ostaggio in una caverna. E se a questo punto vi state chiedendo se salteranno fuori dei mostri (e dei manufatti) alieni dalle fottute pareti, la risposta è ovviamente sì, vi direbbe il soldato Hudson. Ma la trama, basata su un racconto di Alan Baxter, prende presto l’autostrada per il Rhode Island…

Visivamente è una roba tale che, se socchiudi gli occhi, ti rendi conto di quanto un’animazione in CGI realistica sia ormai molto prossima e a tratti sovrapponibile a un film live action con tanta CGI dentro.

THE SOUND OF VIOLENCE

Ancora soldati, ma in tutt’altra epoca e ambientazione, infine, in Jibaro. L’ultimo episodio del lotto è anche il più bizzarro: una danza di morte (letteralmente) raccontata senza dialoghi, con stile iperrealista accompagnato da un montaggio frenetico e da una musica incalzante. A tratti il tutto degenera volutamente in una cacofonia che ben rappresenta il tema di fondo. O i temi, perché in filigrana ci ho letto almeno un paio di significati diversi.

È il frammento più artistico e per questo il meno facile di questa terza stagione. Io l’ho trovato bellissimo.

Ma del resto, si sarà capito, il terzo appuntamento con Love, Death & Robots mi è piaciuto praticamente tutto. Tolto giusto il tamarrissimo Morte allo squadrone della morte, il resto oscilla, per quelli che sono i miei gusti, tra il decisamente piacevole e il notevolissimo. Se per le due stagioni precedenti della serie ho ripetuto che alla fine il risultato complessivo era per me più importante della resa dei singoli episodi, eccetera eccetera, qui invece il format sembra girare finalmente a pieno regime. David Fincher, Tim Miller e soci sembrano esser riusciti finalmente ad arrivare dove volevano arrivare. A fare centro, con il loro progetto folle di un nuovo Heavy Metal.

Il gatto nella scatola, in altre parole, è più vivo che mai.