Presentato in concorso al Festival di Cannes 2022, James Gray firma un lavoro biografico piacevole, ma al di sotto delle aspettative
James Gray è uno dei cineasti più interessanti, e allo stesso discontinui, di Hollywood. La sua carriera è stata finora un sali e scendi di piccoli o grandi gioielli come Little Odessa (1994, firmato a soli 25 anni) e Civiltà Perduta (2016) e cadute, mai troppo fragorose, ma comunque tali da far pensare ad una battuta d’arresto, proprio quando da lui ci si aspettava una conferma di grandezza come capitato con C’era una volta a New York (2o13) o Ad Astra (2019). Lo si riteneva, non a caso, il “nuovo Scorsese”.
Dopo 7 film e una carriera ormai quasi trentennale, con Armageddon Time Gray ha deciso di raccontare, con un alter ego, la sua infanzia in una famiglia benestante di immigrati ebrei ucraini a New York e mostrare così il contesto in cui è cresciuto quel suo approccio creativo che lo ha portato a diventare regista.
Paul vive con genitori e fratello maggiore nel Queen’s, ma molto del tempo fuori da scuola lo passa con il nonno materno . È lui che lo incoraggia a seguire il suo spirito artistico, nonostante i genitori lo vogliano più concentrato sullo studio tradizionale. La conoscenza di Johnny, unico compagno di scuola nero, diventa per Paul l’occasione per lanciarsi in nuove avventure e far così emergere nuovamente un animo ribelle ai dogmi familiari, ma non abbastanza maturo da difendere l’amico quando è vittima di discriminazioni. Tra questi strappi in avanti e cadute, Paul vive quel processo di crescita pre-adolescenziale fatto di gioie e dolori che tutti noi, ma ognuno in maniera diversa, ha sperimentato, necessario per diventare gli adulti che siamo ora.
Ambizione vs ricerca di sé, novità vs tradizione, consapevolezza dei propri privilegi vs capacità di saperli davvero mettere da parte: Armageddon Time basa su questi contrasti, a volte solo percepiti, altre volte quasi sbattuti in faccia, l’aspetto drammaturgico del suo racconto. Gray ha il mestiere per renderli prima sullo script, e poi davanti la macchina da presa, in maniera credibile e con grazia, ma il film non spicca il volo, non tocca il cuore, rimanendo all’interno del già visto e sentito. Non per questo il film non merita una visione, anzi. Gray ha la capacità di rendere credibili ed interessanti tutti i personaggi.
Per quanto infatti Armageddon Time sia un racconto di formazione con un preciso protagonista, Paul, quell’aspetto caratteristico delle famiglie ebraiche, e cioè che la famiglia è molto presente nella vita di ognuno dei suoi componenti, dà un senso di coralità al tutto. Sia la madre, interpretata da Anne Hathaway, che il nonno (Anthony Hopkins), hanno poche scene, ma abbastanza da farci percepire passato e presente emotivo dei loro personaggi.