Cinema Recensioni

All’inseguimento del female gaze: la recensione di The Lost City

Pubblicato il 15 aprile 2022 di Lorenzo Pedrazzi

Se è vero che la cultura popolare è un guazzabuglio di corsi e ricorsi storici, la riproposizione di generi che si credevano perduti rientra pienamente nella norma, soprattutto al cinema e in televisione. Il terzo episodio di Loki aveva già anticipato la riesumazione delle vecchie avventure romantiche, sottogenere abbastanza popolare tra gli anni Ottanta e Novanta, ma The Lost City potrebbe segnarne il definitivo ritorno sul grande schermo, anche grazie al piglio nostalgico e postmoderno della nuova generazione di cineasti.

In questo caso si tratta di Aaron e Adam Nee, che confezionano una sorta di rilettura (non proprio un remake) di All’inseguimento della pietra verde. La protagonista è infatti una scrittrice di romanzi rosa d’avventura, Loretta Sage, che vive nel ricordo del marito scomparso e non esce mai di casa. I suoi libri, basati su vere indagini archeologiche, ruotano attorno all’avventuriero Dash McMahon, interpretato sulle copertine dal modello Alan Caprison. Lui e Loretta devono promuovere il nuovo romanzo insieme, ma l’autrice viene rapita dal miliardario Abigail Fairfax, convinto che uno dei tesori descritti nel libro – la Corona di Fuoco – sia nascosto su un’isola dell’Atlantico. Fairfax chiede a Loretta di decifrare un’antica mappa, e Alan parte in suo soccorso con Jack Trainer, ex Navy SEAL pieno di risorse.

Come il film di Zemeckis, The Lost City usa l’avventura per rimediare i canoni della commedia romantica, con le sue oscillazioni fatte di conflitti caratteriali, sentimenti non dichiarati e rappacificazioni. La differenza è che entrambi i protagonisti – Loretta e Alan – sono inadeguati alla situazione: se la scrittrice non ha mai conosciuto l’avventura al di fuori dei suoi romanzi, l’imbranatissimo modello fatica ad affermare la propria virilità in confronto al machismo classico di Jack, cui presta il volto – non a caso – Brad Pitt. Tutto il film è un tentativo da parte di Alan di imporsi come l’eroe di Loretta, facendosi emblema comico della ben nota “crisi del maschio”.

In effetti, The Lost City è il tipico prodotto della Hollywood post-MeToo. Il sottogenere di All’inseguimento della pietra verde viene riletto attraverso il female gaze, con un’eroina femminile mai ipersessualizzata (ma non certo frigida o androgina) e un eroe maschile più giovane che, all’opposto, elargisce dei nudi ironicamente gratuiti. C’è senza dubbio un ribaltamento di alcuni stereotipi tradizionali nel rapporto tra i sessi, quantomeno in termini di sguardo e caratterizzazione. Il merito dei fratelli Nee, anche sceneggiatori con Oren Uziel e Dana Fox, è di mascherare con l’umorismo ciò che altrove diventa solo didascalico e pesante, come accade spesso in qui film che imboccano il pubblico con sentenze e dialoghi “a tesi”. The Lost City riesce a evitarlo quasi sempre, grazie a un piacevole senso dell’assurdo e a una comicità surreale, che regge per almeno tre quarti di film. Purtroppo nell’epilogo i toni si normalizzano, tradendo l’originalità in favore di un romanticismo abbastanza prevedibile.

Resta però un piacevole intrattenimento, dove si ride di gusto e il cast gestisce bene i tempi comici. La bizzarra imperturbabilità di Sandra Bullock giova curiosamente al suo personaggio, rendendo ancora più stralunate le peripezie di Loretta, mentre Channing Tatum si conferma una validissima faccia da commedia, soprattutto grazie all’autoironia che sta dimostrando fin dai tempi di 21 Jump Street e Facciamola finita. Se consideriamo la crisi della commedia (non solo romantica) che funesta Hollywood da almeno un decennio, The Lost City non fa una brutta figura.