SerieTV News netflix

Inventing Anna si poteva anche non fare

Pubblicato il 14 febbraio 2022 di Giulio Zoppello

Senza ombra di dubbio la vicenda di Anna Sorkin, una delle truffatrici più iconiche del XXI secolo, capace di gabbare banche, centri di bellezza, hotel di lusso e importanti personaggi della finanza e del jet-set newyorkese, è una di quelle che teoricamente si prestano ad una serialità televisiva.
Inventing Anna, sviluppata da Shonda Rhimes è liberamente tratta dalle vicende che videro la Sorkin protagonista. Questa ragazza fu capace di passare per chi non era millantando conoscenze, modi e corrompendo chi le serviva, fino all’arresto e a quella condanna che si è esaurita nel 2021. Però forse il risultato non è quello che speravamo.

La verità più incredibile della finzione

Inventing Anna è connesso alla falsa identità della Sorkin, che si faceva chiamare Anna Delvey, ufficialmente figlia di un diplomatico tedesco e decisa a creare una sorta di fondazione artistica tra le più gigantesche a Manhattan. 
Ovviamente non era vero, era solo una scusa per inserirsi in quel mondo, per spillare soldi agli ignari privilegiati che la vedevano elegante, supponente, arrogante e alla moda, una del loro ambiente. 
La serie trae soprattutto ispirazione dal resoconto accurato fatto dalla giornalista Jessica Pressler (qui sostituita da un personaggio immaginario interpretato da Anna Chlumsky) sul “New York Magazine”. 
La Rhimes, sostanzialmente il nome più potente della serialità televisiva, non ha saputo evidentemente resistere alla tentazione di parlarci di uno scandalo che fece tremare la New York da bere.

Ad interpretare, oggettivamente molto bene, la vera Anna è Julia Garner, altra giovane artista in rampa di lancio grazie a serie come Ozark, che regge bene il compito di portare avanti tutto da sola, assistita da un cast di contorno che comprende oltre ad Anna Chlumsky, anche Laverne Cox, Alexis Floyd, Anthony Edwards e Arian Moayed.

Partiamo subito col dire che la vicenda si prestava a tutta una serie di possibilità non da nulla sul concetto di avidità, di immagine e realtà, di potere e soprattutto di astuzia, così come sul fatto che la Sorkin sia diventata bene o male una celebrità, da alcuni addirittura additata come un simbolo di un sopposto “femminismo vendicatore”. Ma tutto questo viene ignorato. 
La regia di David Frankel è un altro problema: non decolla mai. Fa il suo dovere certo, ma manca la volontà di andare oltre un’estetica patinata e fredda, che a mano a mano che si va avanti, non riesce soprattutto a colmare la prevedibilità dello script, che si arena in una sorta di omaggio all’heist ma soprattutto alla missione di riabilitare Anna.

Si esatto, Anna per la Rhimes in fin dei conti non è né migliore né peggiore delle sue vittime, di cui si fingeva amica e a cui ha rubato fiducia ma soprattutto soldi con cui continuare il suo stile di vita da sogno, almeno finché è durata.

Non tutti i ladri sono gentiluomini

Un aspetto interessante di questa serie, è il fatto che al centro delle dinamiche sociali attraverso cui Anna riesce a conquistarsi la fiducia in un ambiente basato esclusivamente sul vendersi agli altri, vi sia proprio il concetto di immagine, di reputazione moderna.

Anna se la costruisce soprattutto tramite i social, nonché grazie all’aiuto dei vari camerieri, concierge, portieri e tutta quella schiera di moderna servitù costretta a rispondere ad ogni vezzo di un’umanità alla quale ella si mischia con fare predatorio, astuto e avido. Inventing Anna però dopo un po’ commette il brutto errore di credere alla sua stessa bugia, di rinnegare un necessario cinismo, abbracciando piuttosto una sorta di narrazione in cui non è lei la cattiva, ancora oggi ritenuta una sorta di ribelle anticonformista dai suoi followers, ma tutte quelle persone che la avvicinavano ignare delle sue intenzioni, dei suoi fini. 
Il problema è che tutto questo per la Rhimes ci dovrebbe scandalizzare, quando nella realtà anche nel nostro quotidiano tutti ci comportiamo nello stesso modo, la somma differenza sta nel guadagno finale, che qui invece viene presentato come un atteggiamento proprio solo delle classi agiate, di questa New York che cerca di scimmiottare l’Inghilterra aristocratica ed eccessiva. 
Non è certo solo in quegli hotel che esistono false amicizie o opportunismo, oppure l’ingenuità, di chi si è fatto ingannare da una falsa ereditiera facendosi derubare in men che non si dica. 
Per carità, si può comunque tifare per il ladro, d’altronde è una prerogativa della narrazione dai tempi di Robin Hood, fino a Lupin, ma il punto è non farlo in modo troppo marchiano o ingiustificato.

Un prodotto poco audace e fantasioso



Inventing Anna a questo problema, aggiunge anche la scarsa profondità data ai vari personaggi di contorno, che sovente fanno apparire la protagonista più che isolata, lasciando la Garner sola con il timone in mano, per quanto poi sia molto brava a donarci l’immagine di una donna ambiziosissima, astuta ma soprattutto materialista. 
Non ci serviva sicuramente questa serie per sapere che l’alta società, ovunque essa si trovi, è retta da ipocrisia, da tradimenti e leggi invisibili e assurde, soprattutto incomprensibili all’esterno. 
Neppure ci serviva per sapere che oggi l’immagine è ciò su cui molti basano le proprie fortune, bugie, ma soprattutto una concezione di sé che può diventare incredibilmente tossica e falsata. 
Sono tutte tematiche che però sono poco approfondite, mentre si cerca di dipingere questa criminale per quello che non è: un’anima nobile e in fondo rivoluzionaria, al limite più furba delle sue comunque odiose vittime, mentre opera una sorta di ridistribuzione della ricchezza che va a finire nelle tasche dei suoi complici ignari ma sicuramente grati.
Anna Sorkin è stata una criminale. Non è una brava persona, è una mitomane spietata e ben poco encomiabile e forse involontariamente ciò che questa serie ci fa comprendere è che volesse non tanto i soldi, ma soprattutto provare l’ebrezza di quello stile di vita che social e tv, le facevano credere il migliore possibile. 
Inventing Anna quindi non solo non approccia il dilemma morale, rende antipatica la sua protagonista, ma infine gira intorno a sé stessa, si ripete, crea un pozzo nero di emozioni e brivido che ne rivela la natura modaiola, furba e inconsistente.

L’eccessiva lunghezza dei singoli episodi a mano a mano che si procede, rende poi l’insieme tedioso, prevedibile e ci convince che questa serie non s’aveva da fare.

LEGGI ANCHE: Inventing Anna: la vera storia dietro la miniserie Netflix di Shonda Rhimes