Quanto è incredibile che siamo qui a parlare di una seconda serie di Star Wars dopo The Mandalorian? Specialmente se consideriamo per quanto tempo George Lucas ha tentato di sviluppare Star Wars: Underworld, una serie ambientata tra le prime due trilogie e incentrata sul mondo criminale della Galassia Lontana Lontana. Erano altri tempi (gli anni zero) e non c’erano i mezzi di oggi, ma soprattutto non c’era Disney+ con la sua disponibilità di soldi per creare serie di impatto cinematografico. Lucas non riuscì mai a realizzare Underworld, nonostante avesse commissionato i copioni.
Poi è arrivata The Mandalorian a risollevare l’universo di Star Wars in un momento di crisi – la chiusura di tutti gli spin-off – restituendoci molti degli elementi che rendevano speciali e unici i film originali, quella commistione di fantasy e western che si era un po’ persa per strada. Ora, The Book of Boba Fett intraprende la medesima strada e lo fa forse in maniera ancora più smaccatamente pulp. Non pulp nel senso di Tarantino (per quanto l’episodio sia diretto da Robert Rodriguez, che però si mette totalmente al servizio del mood di Star Wars), ma proprio nel senso dei romanzi di fantascienza stampati su carta da due soldi, John Carter di Marte in primis, o dei fumetti di Flash Gordon. O, ancora, della fantascienza cinematografica anni ’50 e ’60: a un certo punto c’è una creatura che pare disegnata da Ray Harryhausen, tra l’Ymir di A 30 milioni di Km dalla Terra e il Kraken di Scontro di Titani.
Riferimenti all’antica: Jon Favreau (sceneggiatore) e Rodriguez sono nati rispettivamente nel 1966 e nel 1968, sono cresciuti vedendo Star Wars al cinema e i mostri di Harryhausen in TV. Sono insomma figli di Lucas e nipoti di tutto quell’immaginario a cui Lucas si è abbeverato. Ma hanno una sensibilità moderna, da consumati professionisti del settore e da sperimentatori delle nuove tecnologie: The Book of Boba Fett è così una serie che punta ad aggiornare i classici per le nuove generazioni un po’ come facevano Lucas e Spielberg. Post-modernismo al quadrato. Ma non ha quelle stesse pretese autoriali, sia chiaro: qui gli autori si vogliono solamente divertire, ancor più che con The Mandalorian.
E dopo tutto stiamo parlando di una serie il cui protagonista ha come scopo quello di diventare il nuovo boss del crimine di un pianeta. L’arco di maturazione è veramente al minimo in partenza: la premessa – moderatamente immorale per Disney+! – serve solo a dare il calcio d’inizio all’avventura. La dice lunga la gestione della questione “casco”, che tanto ha fatto discutere i fan di Boba Fett: The Mandalorian decideva coraggiosamente di non mostrare quasi mai il volto del suo protagonista, se non in rari momenti chiave, e riusciva comunque a farci percepire il suo viaggio interiore. Qui il protagonista è spesso senza casco eppure il viaggio interiore è davvero poca cosa.
Non che il personaggio Boba Fett non sia approfondito: il primo episodio – e, sospettiamo, i prossimi – è giocato su due tempi. Da un lato il presente, con Boba che lentamente si impone come nuovo boss dopo le morti di Jabba e Bib Fortuna (quest’ultima per mano sua). Dall’altro il passato, sotto forma di flashback con pochissimi dialoghi e tanta azione, in cui ci viene raccontato cosa sia accaduto al mercenario dopo gli eventi de Il ritorno dello Jedi e viene delineato il personaggio (cosa fondamentale, dato che Boba Fett non lo era mai veramente stato). Boba è un sopravvissuto, si è letteralmente dovuto trascinare fuori dalla morte con le sue forze, strisciando sui gomiti, e ne porta tutti i segni. Come in The Mandalorian, Favreau sa quali corde toccare per coinvolgere e appagare i fan senza scadere nella nostalgia gratuita. Sa a quali domande rispondere, ma non lo fa mai in maniera auto-indulgente, mantenendo sempre una scrittura secca: tutta la prima parte, un lungo flashback di oltre dieci minuti, è quasi senza dialoghi come l’incipit di Conan il Barbaro. E per questo è estremamente cinematografica e molto poco televisiva.
D’altro canto Favreau e Rodriguez non necessitano di evocare chissà quale mitologia per immergerci da subito nel mondo di Star Wars: siamo su Tatooine, cosa c’è di più starwarsiano? Bastano due predoni Tusken, qualche Jawa, delle dune colme di pericoli e una manciata di specie aliene riconoscibili per risvegliare il decenne in noi. I design, gli effetti sonori e le musiche di Ludwig Göransson e Joseph Shirley, anche se non istantaneamente fischiettabili come quelle di The Mandalorian, fanno il resto.
(E sì, c’è anche Jennifer Beals!)
Il primo episodio, Stranger in a Strange Land, è molto breve, poco più di mezzora, e si guarda più indietro che avanti. Svela poco, dunque, di quello che sarà il viaggio dell’antieroe, se non qualche vaga minaccia che era prevedibile, considerando che Boba pesterà i piedi a tutta la malavita locale. Ma è un buon antipasto di quello che verrà e una dichiarazione di intenti: lasciate perdere l’alta mitologia, non curatevi del lungo termine della saga: qui siamo letteralmente in un enorme recinto di sabbia pieno di giocattoli che conosciamo bene. Non resta che giocare.
QUI potete vedere il primo episodio di The Book of Boba Fett. QUI invece il trailer della serie.
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