Quarantacinque anni fa usciva in USA Qualcuno volò sul nido del cuculo, uno dei capolavori della New Hollywood e il film che lanciò definitivamente la carriera americana del regista Milos Forman, e regalò a Jack Nicholson il suo primo Oscar. In totale, Qualcuno volò sul nido del cuculo di Oscar ne vinse cinque, tutti i principali: miglior film, regia, attore e attrice protagonisti, sceneggiatura (non originale). Un record imbattuto dal 1934 e dall’uscita di Accadde una notte, ed eguagliato solo nel 1991 da Il silenzio degli innocenti.
Il film, e il romanzo omonimo di Ken Kesey da cui è tratto, hanno avuto un tale impatto nell’immaginario collettivo da aver ispirato oggi una miniserie prequel, Ratched, creata da Ryan Murphy e da poco arrivata su Netflix (qui la nostra recensione).
Bastano poche righe, insomma, per capire l’importanza del film di Forman e del romanzo. Ken Kesey (che contribuì alla sceneggiatura, ma che in seguito prese le distanze dal film) aveva raccontato la storia di un gruppo di pazienti detenuti in un ospedale psichiatrico a partire da esperienze personali: aveva infatti lavorato come guardia notturna in una simile struttura. Il romanzo usa queste esperienze per costruire una critica al sistema, e ai modi subdoli in cui ci controlla e limita la nostra libertà. Temi che sarebbero esplosi di lì a poco (il libro è del 1962) con la rivoluzione culturale di fine anni ’60. E che il film, ovviamente, non poteva ignorare, essendo uscito pochi anni dopo quella stessa rivoluzione.
Qualcuno volò sul nido del cuculo racconta la storia di Randle Patrick McMurphy (Nicholson), un uomo incarcerato per aver fatto sesso con una minore e spedito in un ospedale psichiatrico dell’Oregon per una valutazione sul suo stato mentale. Giunto lì, Randle fa amicizia con i vari detenuti, tra cui “Chief” Bromden (Will Sampson), un gigantesco nativo sordomuto. Randle diventa una sorta di leader ed è l’unico a trattare i suoi compagni di prigionia come degli esseri umani. A differenza della sadica capo infermiera Ratched (Louise Fletcher), che ha elaborato un sistema per tenere tutti sotto controllo.
L’ospedale, come detto, diventa una sorta di allegoria della società. Forman dichiarò di sentirsi molto vicino al romanzo in quanto, per lui che era cresciuto nella Cecoslovacchia comunista, lo stato si identificava nell’infermiera Ratched. Una lettura plausibile del film, certo. Eppure anche l’America dell’epoca non è che scherzasse. Gli anni ’70 rappresentano un po’ la fine del sogno di emancipazione della cultura hippie. Lo scandalo Watergate e la guerra in Vietnam avevano riempito le menti degli americani di paranoia e sfiducia nei confronti delle istituzioni. Aprendo e chiudendo sul totale del paesaggio naturale che circonda l’ospedale psichiatrico in cui si svolge quasi tutto il film, Forman sembra volerci sbattere in faccia il grande dislivello tra la nostra routine quotidiana e la vera libertà.
La cosa interessante è che, utilizzando il lavabo di marmo come “pistola di Cechov”, ovvero l’arma con cui è possibile riguadagnarsi la libertà facendo letteralmente a pezzi i lucchetti della prigionia, Kesey e Forman danno alla libertà una sostanza concreta e un peso. Essere liberi è, insomma, faticoso. Qualcosa per cui lottare e da guadagnarsi con la fatica e l’impegno, contro tutto e tutti. E quel finale, entrato dritto dritto nella storia del cinema (quando vieni citato in un episodio de I Simpson, vuol dire che ce l’hai fatta!), contrappone uomo e paesaggio e ci dice anche quanto la libertà, una volta ottenuta davvero, possa fare molta più paura della prigionia.
Ci stiamo lasciando un po’ andare alle letture sociali e politiche, e ci sta. Qualcuno volò sul nido del cuculo è indubbiamente un figlio del suo tempo, anche se quei temi riecheggiano anche oggi. La storia è ciclica, dopo tutto. Ma il film Milos Forman, al di là di tutto, è anche un mix perfetto di commedia e melodramma come ce ne sono pochi altri. Forman riesce a mantenere quasi sempre un incedere ritmato e leggero nonostante la claustrofobia e la sottile inquietudine che pervade il film.
Un equilibrio che il regista raggiunge anche grazie a un cast eccezionale. Qualcuno volò sul nido del cuculo pare una prova generale delle facce che avrebbero dominato il decennio di cinema successivo. Oltre a Jack Nicholson, ci sono Danny DeVito, Brad Dourif, Christopher Lloyd (gli ultimi due al loro debutto). E poi Scatman Crothers (che cinque anni dopo avrebbe ritrovato Nicholson all’Overlook Hotel) e due volti incredibili come quelli di Vincent Schiavelli e Michael Berryman (in un cameo). Nicholson, DeVito, Schiavelli: sembra che il casting lo abbia fatto Tim Burton.
Danny DeVito, in particolare, fu scelto perché aveva già interpretato il ruolo di Martini nella versione teatrale del testo. E perché era il migliore amico di Michael Douglas. Sì, QUEL Michael Douglas, qui in veste di produttore (premiato con l’Oscar). Michael prese le redini del progetto dopo che suo padre Kirk Douglas aveva tentato invano di adattare il film al cinema nel corso di un decennio. Douglas avrebbe voluto interpretare McMurphy, ma al momento delle riprese aveva ormai già quasi 60 anni.
Il film è la New Hollywood al suo meglio: un budget ridotto (4,4 milioni, che avrebbero dovuto essere 2), riprese in un vero ospedale psichiatrico, uno stile scarno e lucido e l’uso sapiente di attori non professionisti in ruoli chiave. Will Sampson, l’attore che interpreta Bromden, era stato scoperto per caso da Douglas, ed è il cuore del film (e nel romanzo è addirittura il narratore).
Un vero classico americano che vi consigliamo di riscoprire insieme alla visione di Ratched. Prima o dopo non fa differenza: tanto la serie è un prequel.