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Se dici “rilettura in chiave fantascientifica de L’Isola del Tesoro di Robert L. Stevenson”, il pensiero di tutti va immediatamente a Il pianeta del tesoro, il film d’animazione Disney del 2002. Sì, quello con la canzone di Max Pezzali. Ma in realtà a mettere in piedi un’isola del tesoro in salsa sci-fi ci aveva pensato già la RAI a metà anni Ottanta. Sviluppando un progetto nato diversi lustri prima. Questa è la storia de L’Isola del Tesoro (appunto), miniserie TV RAI dell’87 con un cast di tutto rispetto e finita sul piccolo e sul grande schermo in mezzo pianeta. Chi c’era, lo sa. Chi c’era, magari ricorda le stroncature della critica, l’artigianalità della confezione e, magari, anche il senso di avventura che quel prodotto televisivo ti faceva respirare, se, metti, avevi già letto il libro di Stevenson e questa cosa del remake spaziale ti prendeva un casino.
Siamo negli anni Ottanta, un periodo molto fertile per una RAI a caccia di prodotti da esportare, realizzati con le proprie forze o grazie a collaborazioni internazionali. Così, tra un kolossal per il piccolo schermo su Marco Polo e uno Sherlock Holmes canino messo in piedi con Hayao Miyazaki, viene ripresa un’idea che è in ballo già da diverso tempo. Sul sito dedicato al regista de L’isola del tesoro, Antonio Margheriti, da suo figlio Edoardo, si leggeva – il sito non è più online, ma la pagina è raggiungibile tramite Internet Archive – di come un’isola del tesoro fantascientifica fosse in ballo già dal 1964. L’idea era stata di Renato Castellani, il grande regista neorealista, vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel ’54 con Giulietta e Romeo. Il suo L’Isola del Tesoro ambientato nello spazio avrebbe dovuto essere però un film, prodotto dall’Istituto Luce. Non se ne fece niente. Iniziata la sua avventura in RAI (con La vita di Leonardo da Vinci, sceneggiato del 1971 interpretato da Philippe Leroy), Castellani convince quindi la TV di stato a trasformare quell’idea in una miniserie TV.
Il regista coinvolge Antonio Margheriti, regista che negli anni Sessanta si era messo in luce con una serie di quattro film di fantascienza a bassissimo costo (il ciclo di “Gamma Uno”), a cui aveva già accennato l’idea in passato e aveva già proposto di occuparsi degli effetti speciali. Solo che Castellani viene a mancare, nell’85, e così la RAI affida L’Isola del Tesoro direttamente a Margheriti. Nato a Roma nel 1930, Margheriti ha girato pellicole di ogni tipo, dalla fantascienza, appunto, all’horror e agli spaghetti western, e collaborato negli anni 70 ad alcuni film della Factory di Andy Warhol, come Il mostro è in tavola… barone Frankenstein. Margheriti è reduce peraltro da un’altra miniserie TV sci-fi per la RAI, firmata come buona parte dei suoi lavori con lo pseudonimo Anthony M. Dawson: la mini convertita poi in film Il mondo di Yor (1983).
Costato 25 miliardi di lire, L’Isola del Tesoro di Margheriti mirava come le produzioni RAI menzionate in precedenza a riscuotere l’interesse del mercato cinematografico e televisivo di altri paesi. Per questo si spinse su un cast internazionale, composto da attori immediatamente riconoscibili. Come Long John Silver dello sceneggiato venne scelto il due volte premio Oscar Anthony Quinn, affiancato da colleghi che avevano già lavorato con Magheriti, come Ernest Borgnine (in Arcobaleno Selvaggio, 1985), il neozelandese David Warbeck, Philippe Leroy. Nel cast c’erano anche il comico Andy Luotto, Ida Di Benedetto e Giovanni Lombardo Radice, che per Margheriti aveva girato qualche anno prima il cult Cannibal Apocalypse. Il giovane protagonista, Gimmi Hawkins, era invece un ragazzo romano, Itaco Nardulli, che aveva interpretato il figlio di Johnny Dorelli e Laura Antonelli in Mi faccio la barca di Corbucci. Sarebbe purtroppo scomparso tragicamente poco dopo, nel ’91, durante un’immersione subacquea.
A Margheriti ci vollero circa otto mesi per completare le riprese (spalmate tra la il sito archeologico di Selinunte in Sicilia, vari teatri di posa romani, Napoli e il Marocco). Abituato com’era a girare con budget bassissimi, riuscì a terminare il lavoro in anticipo, nonostante tutta una serie di problemi, compresa un’operazione d’urgenza subita poco prima di iniziare. Alla fine non è soddisfattissimo del risultato, e avrebbe voluto probabilmente maggiore libertà creativa. Ma come scrive Fabio Giovannini nel libro “Danze macabre. Il cinema di Antonio Margheriti”, il regista rispetta l’idea di partenza di Castellani per L’Isola del Tesoro, cioè “dimostrare che i sentimenti dei personaggi del romanzo di Stevenson (e quindi quelli dell’uomo stesso) non cambieranno con il passare dei secoli”.
La miniserie va in onda su RAI 2, in cinque puntate da 100 minuti l’una, dalla sera del 19 novembre del 1987. La critica non apprezza, e stronca senza mezzi termini la storia di Gimmi e Long John Silver ambientata nel 2300, che si concede anche uno sguardo all’Italia del domani (come la Piazza Navona del futuro). Alla RAI, del resto, va bene così, perché la miniserie, nel suo formato originale e/o condensata in un film di due ore e dieci, viene proposta e venduta in mezzo mondo. Negli USA diventa Treasure Island in Outer Space, in Germania Der Schatz im All, in Giappone Star Legend Part. 2 (vai a capire perché). Margheriti è del resto in giro per il globo un regista cult, e non solo per Quentin Tarantino, che lo citerà più volte nelle sue opere. Nel 2012, quando Repubblica chiede a Franco Nero come sia stato lavorare sul set di Django Unchained, l’attore italiano cita la ferrea conoscenza da parte di Tarantino dei film di Margheriti. “Io l’ho sfidato con un film di Antonio Margheriti fatto con due lire che non ha visto nessuno, I diafanoidi vengono da Marte. Lo conosceva!”.
E poi niente, nel 2002 è arrivata la Disney. E al di là del flop al botteghino de Il Pianeta del tesoro, tutti a dire Oh, ma che bella questa idea dell’Hispaniola trasformata in astronave, che gli italiani ci avevano pensato già quarant’anni fa, tipo. “Ci sono anch’io…”. Appunto.