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Sam Raimi torna alla regia con 50 States of Fright | Recensione

Pubblicato il 14 aprile 2020 di Lorenzo Pedrazzi

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Dovremo aspettare ancora un po’ per rivedere Sam Raimi alla regia di un film – che probabilmente sarà Doctor Strange in the Multiverse of Madness – ma intanto la nuovissima piattaforma Quibi ci regala un pizzico del suo talento con The Golden Arm, la prima puntata di 50 States of Fright. Il cineasta ne ha curato sia la regia sia la sceneggiatura, quest’ultima con il fratello Ivan.

L’idea di fondo è ben sintetizzata dal titolo: ogni episodio rielabora una leggenda locale dei 50 stati americani, attingendo allo stesso folclore orrorifico di Scary Stories to Tell in the Dark. Trattandosi di Quibi, le puntate sono divise in segmenti di 8-10 minuti ciascuno, che nel caso di The Golden Arm diventano 23 minuti di durata complessiva. Insomma, un cortometraggio horror diretto da un maestro come Raimi, seppure limitato dalle esigenze del format.

Il braccio d’oro

Nato e cresciuto in Michigan, Sam Raimi sceglie una leggenda diffusa nel suo territorio d’origine, ma in realtà piuttosto comune – con alcune varianti – anche in Europa. Mark Twain la utilizzava come esempio per insegnare a raccontare storie: la trasmissione di The Golden Arm è stata per lo più orale, e il narratore doveva imparare a dosare le pause per tenere l’uditorio sul filo della tensione, spaventandolo poi con il caratteristico urlo finale.

Nella loro reinterpretazione, i fratelli Raimi ambientano la storia nei primi anni Duemila e impostano l’episodio come un docudrama, intervallando la ricostruzione degli eventi con le dichiarazioni di un testimone alla telecamera; in sostanza, il medesimo espediente ricattatorio di molta televisione americana, che ama drammatizzare le storie di vita reale per manipolare le emozioni del pubblico.

Il testimone ci racconta la vicenda del boscaiolo Dave (Travis Fimmel) e della sua bellissima moglie Heather (Rachel Brosnahan), donna amorevole ma pretenziosa, amante del lusso. L’uomo non può permettersi tutto ciò che lei desidera, ma l’accontenta il più possibile, soprattutto quando un incidente la priva del braccio destro. Dave progetta per lei una protesi di metallo, ma Heather si sente privata della sua bellezza, e pretende che l’arto sia forgiato in oro puro.

A costo di grandi sacrifici, Dave l’accontenta, e le regala una protesi d’oro massiccio che le restituisce il sorriso. Purtroppo, però, drammi ancora più gravi attendono la coppia, e scelte disperate generano mostri… in senso letterale.

Tra fiaba e orrore

Il regista di Evil Dead è sempre stato un guastatore di generi, capace di contaminarli o reinventarli con un dinamismo tutto personale, e anche stavolta non è da meno: l’horror e il docudrama incorporano i tòpoi della fiaba (il boscaiolo, la moglie materialista ed esigente…) per concepire un interessante pastiche di registri narrativi. Mancano i parossismi grotteschi di cui Raimi è maestro, ma è evidente che il format di 50 States of Fright impone di prendersi sul serio: i racconti del folclore sono spesso cautionary tale con intenti educativi, quindi ben lontani dall’ironia dissacrante.

Fa piacere notare come il cineasta recuperi la sua preziosa artigianalità nelle scene splatter, dimostrando al contempo di saper generare spaventi con pochi elementi basilari, dovuti al montaggio più che agli effetti. Come altri prodotti di Quibi, la breve durata impone un avvio fin troppo frettoloso, ma la storia trova il suo passo nell’arco della narrazione, risultando compatta ed essenziale.

Intendiamoci, siamo lontani dai vertici che Sam Raimi ha raggiunto altrove, e alcuni passaggi denotano un vago senso di svogliatezza, causato anche dalla necessità di sintetizzare la trama; eppure, The Golden Arm segue principi ben riconoscibili e tutt’altro che casuali, dove il cineasta ritrova almeno una parte della sua autorialità. Speriamo di rivederlo presto in tutto il suo potenziale, sul grande schermo.