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I figli del mare – Recensione del film dello Studio 4°C

Pubblicato il 23 ottobre 2019 di Marlen Vazzoler

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I figli del mare è sicuramente una delle pellicole più dense di significati e complicate che abbia mai visto finora. Ayumu Watanabe prende l’ossatura del manga di Daisuke Igarashi, concentrandosi solo sul viaggio dei tre protagonisti: Ruka, Sora e Umi, scartando quasi tutto quello che riguarda i personaggi secondari.

La scelta di creare una pellicola che confonderà la maggior parte del pubblico che non ha mai letto la storia originale, sembra voluta. Allo spettatore è richiesto d’immedesimarsi con la protagonista.

Quindi non stupitevi se verso la fine del film, quando Ruca ammette: “Non ho capito nulla”, dentro di voi proverete la stessa sensazione. Come lei avrete percepito di aver assistito a qualcosa di magico e misterioso ma che non siete in grado di spiegare.

La storia

Protagonista del film è un’adolescente di nome Ruca, una giovane incompresa da chi la circonda che non riesce a esprimere quello che pensa. A peggiorare la situazione ci sono il suo forte orgoglio e la sua tendenza ad agire impulsivamente.

Il primo giorno delle vacanze estive viene espulsa dalla squadra di pallamano per aver ferito una compagna di gioco, mentre vaga per la città ricorda l’acquario che ha visitato da bambina e lo spettro luminoso da lei osservato nella grande vasca. Decide così di tornarci. Mentre cerca tra le vasche il padre che lavora lì, incontra uno stranissimo ragazzo di nome Umi (mare).

Il giovane è stato allevato dai dugongo nell’oceano assieme al fratello Sora (cielo), che al momento si trova in ospedale per degli esami, per via della loro particolare costituzione corporea. Ruca rimane affascinata da Umi. Il giorno dopo mentre Ruca è da sola a scuola, desiderosa di essere trovata, arriva all’improvviso Umi.

Il ragazzo la trascina fino alla spiaggia per assistere a un evento molto importante, l’arrivo di due comete che cambieranno per sempre la sua vita.

Personaggi

Nonostante l’eliminazione di quasi tutte le sotto trame, le caratteristiche salienti dei personaggi secondari come Anglade, Kanako, Jim e dell’allenatore vengono ben definite. Di conseguenza non ci troviamo di fronte a delle macchiette e nemmeno a dei personaggi usati solo per il proseguimento della trama.
Curiosa invece la scelta di Watanabe nel dare uno spazio maggiore alla misteriosa Dede che osserva il dispiegarsi degli eventi e i tre giovani senza assumere un ruolo attivo.

Gran parte della pellicola viene costruita sul rapporto tra Umi e Sora e tra quello tra Ruca e Umi, quest’ultimo il motore centrale della storia. La fascinazione della ragazza per il giovane si trasforma presto in un affetto che la spingerà a cercare di proteggere Umi dalla cerimonia che si consumerà nelle profondità del mare. Il rapporto conflittuale tra Ruca e Sora invece aiuterà Ruca a esprimere quello che tiene imbottigliato dentro di sé.

La canzone del mare

Uno dei fili conduttori di questa storia è la canzone del mare ripetuta dai protagonisti e dalla voce narrante di Dede: “Dalle stelle, dalle stelle. Il mare è la madre.” I figli del mare, ovvero Ruca e Sora, sono gli strumenti necessari per la cerimonia della nascita nella quale il meteorite viene usato per fecondare il mare.

Non solo Ruca ha l’onore di assistere a questa cerimonia come invitata, ma ne diventa il punto focale mentre a Jim, Dede e Anglade non resta che seguire inermi gli eventi che si stanno dipanando attorno a loro.

Il terzo atto diventa così un viaggio psichedelico e mistico, una sorta d’incrocio tra 2001 Odissea nello spazio e Doctor Strange.

I confini che delimitano cielo e mare scompaiono in questa sorta di big bang che crea un microcosmo di universi formati dai ricordi immagazzinati nell’acqua e nelle sue creature, le uniche partecipi di quanto sta accadendo.

Dalle tavole al cinema

Sei anni sono stati necessari allo STUDIO4 ℃ per la realizzare a mano l’animazione, se comprendiamo anche la pianificazione. Kenichi Konishi, qui nel ruolo di character design, direttore capo dell’animazione e unit director, ha ricreato fedelmente sul grande schermo il tratto di Igarashi assieme all’art director Shinji Kimura.

Non è stato un lavoro facile, sopratutto riproporre la texture del mangaka. Tutto questo è stato possibile grazie a due figure chiave: la color design Miyuki Ito e il regista della CG Kenichiro Akimoto. Quest’ultimo si è occupato anche del compositing, degli effetti speciali e della fotografia.

L’animazione

La regia di Watanabe di distingue per un grande uso delle carrellate, in particolare indietro e verticali, per dare maggior pathos ad alcune scene soprattutto quelle legate al mare e alla cerimonia.

Nel film viene fatto un gran uso della computer grafica, ma a differenza di moltissime produzioni del passato, questa volta non riuscirete a percepire la sua presenza. Akimoto ha avuto il difficile compito di amalgamare gli elementi in 3DCG a quanto disegnato a mano, mantenendo la texture di Igarashi.

Con il compositing Akimoto riesce  a far si che i riflessi, l’illuminazione soffusa e le moltitudini di luci presenti nel film non impattino negativamente il layout delle inquadrature. In questo modo i colori non vengono schiacciati dalla luce e ottengono invece un gran risalto che esplode poi con la loro saturazione.

Si tratta di un delicato equilibrio tra luce, colore e layout, che non sfocia mai nell’horror vacui. La composizione degli elementi rimane sempre chiara, anche nell’esplosione del terzo atto.

La musica

Joe Hisaishi, che ben conosciamo per il suo lavoro nei film dello Studio Ghibli, ha realizzato una colonna sonora minimalista che fa grande uso del piano e degli archi.

I brani accompagnano delicatamente lo scandire della storia, contribuendo a dare un senso di mistero e misticismo. Sebbene sia presente un gran numero di tracce, generalmente sono di durata di breve e delle variazioni dei temi principali.

Di grande impatto invece la theme song cantata da Kenshi YonezuUmi no Yūrei‘ (il fantasma del mare), che non stonerà nella vostra playlist.

Conclusione

Sicuramente a livello animato ci troviamo davanti a una delle opere più belle degli ultimi anni, penalizzata purtroppo da una trama ostica che alienerà gran parte del pubblico.

Come abbiamo visto con le reazioni del pubblico del Festival di Annecy e di Scotland Loves Animation e al botteghino giapponese dove non ha brillato.