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Con i suoi pugni incrociati, gli occhi da fantasma dopo averne prese troppe, il berretto rosso e quel sorriso beffardo per nascondere la tristezza, Rocky Joe ha insegnato a noi tutti qualcosa. Un simbolo di caparbia rivalsa, Joe: l’eroe degli ultimi, che vuole diventare un campione e ce la mette tutta per riuscirci. E poi muore. Sette cose che forse non sapevate sul mondo di Rocky Joe!
1. CINQUANT’ANNI DI PIEDI PICCOLI
Ashita no Joe, il manga, debutta in Giappone mezzo secolo esatto fa, nel ’68. Ai testi Asao Takamori, pseudonimo di Ikki Kajiwara, maestro dei manga sportivi tutti sangue e sofferenza, di cui dicevamo qui. Alle matite, Tetsuya Chiba, mangaka cresciuto in Manciuria durante l’occupazione giapponese e autore in seguito anche di Io sono Teppei. La serie TV parte nel ’70 e da noi arriva 12 anni dopo, nell’82, su Rete 4. Si scelse di aggiungere quel Rocky al nome del protagonista non solo per sfruttare il traino dei film di Stallone, ma probabilmente anche come omaggio a Rocky Marciano. Era proprio un nome da pugile, Rocky, insomma. Il nome originale del personaggio, Joe Yabuki, vuol dire invece “piedi piccoli”.
2. FACCE LUNGHE
La prima serie animata si chiuse dopo 79 episodi nel ’71, a manga ancora in corso. Per concludere la storia di Joe fu lanciato nell’80 un secondo anime, che ripartiva dalla morte di Rikiishi (da noi Toro Riki), rinarrando nei primi 12 dei suoi 47 episodi quanto successo alla fine della prima serie. La differenza stilistica tra le due serie è enorme: si era passati da uno stile molto sporco e prossimo a quello del manga a corpi slanciati e a visi più adulti, dettati dalla regia e supervisione artistica del grande Osamu Dezaki (Lady Oscar, Remì, Marco Polo…). La seconda serie arrivò qui nel ’91, su Italia 7, non senza una lunga coda di giustificate polemiche (vedi punto 7). Gli eventi finali della seconda serie vengono riassunti nel film d’animazione Rocky Joe: L’ultimo round.
3. “SIAMO TUTTI ASHITA NO JOE”
Il manga di Ashita no Joe rappresentò lo zeitgeist della fine degli anni 60 in Giappone. Raccontava degli umili che vivevano all’ombra del grande boom economico del paese, ancora alle prese – loro – con i traumi postbellici che il resto dei nipponici fingevano di aver dimenticato. Non è un caso che la serie abbia avuto un impatto culturale tanto forte, a tutti i livelli. Ne era un grande fan lo scrittore nazionalista Yukio Mishima, che di lì a poco si sarebbe suicidato facendo seppuku, dopo aver occupato con alcuni compagni il ministero della difesa. Una notte, Mishima si recò presso gli uffici della casa editrice Kodansha, perché aveva fatto tardi sul set di Black Lizard e non era riuscito a comprare una copia di Shonen Magazine, la testata su cui venivano pubblicati i fumetti di Joe. E perciò voleva farlo ora, lì. Gli risposero che non era possibile vendere nulla in una redazione, e gli regalarono la copia. Ma Joe raccoglieva consensi anche tra gli estremisti di segno opposto.
Il 31 marzo del ’70, un gruppo di terroristi militanti nell’Armata Rossa Giapponese, armati di katana e bombe rudimentali, dirottò un volo della Japan Airlines, facendolo atterrare in Corea del Nord (dove i dirottatori hanno vissuto per anni). Il loro grido era “Siamo tutti Ashita no Joe”. Questo solo un giorno prima che l’anime di Joe debuttasse sulle TV giapponesi. E poco più di una settimana dopo il… funerale di Rikiishi.
Il personaggio di Rikiishi era infatti molto amato dai fan giapponesi, al punto che dopo la sua morte nel manga venne celebrato presso la Kodansha un “vero” funerale. Era il 24 marzo del ’70 e alle esequie parteciparono più di 700 persone, nonostante fosse un martedì pomeriggio e molti di quei ragazzi avrebbero dovuto essere a scuola. Oltre alla bara, sormontata da un ritratto di Rikiishi, era stato allestito un ring… preso in prestito dal Korakuen Hall, un luogo in cui si sono svolti nel manga molti incontri di Joe.
4. RO-RO-RO-ROCKY-ROCKY…
La storica sigla di Rocky Joe era cantata dagli Oliver Onions (che qui si firmavano Gli amici di Rocky). La sigla della seconda serie, Rocky Joe, il campione, era cantata invece da Massimo Dorati degli Odeon Boys. Scomparso nel 2012, Dorati ha realizzato molte sigle di cartoni per conto di Fininvest (che all’epoca controllava il circuito Italia 7), ed è ricordato in particolare per aver scritto e interpretato le due sigle dei Cavalieri dello Zodiaco. Alla primissima messa in onda, però la seconda serie di Joe aveva una sigla originale in giapponese:
Nulla di male, non fosse che si trattava del CARTONE SBAGLIATO. Era, infatti, la sigla originale di Forza Sugar, qualcuno aveva fatto confusione con le piste:
O beh, almeno sempre di cartoni di cazzotti si trattava.
5. MISERIA E PUGILTÀ
Per festeggiare i cinquant’anni di Joe, è stata prodotta la scorsa primavera una serie anime di 13 episodi intitolata Megalo Box. Una trasposizione nel futuro di tematiche e – sostanzialmente – personaggi del mondo di Rocky Joe, curata dallo studio TMS Entertainment (lo stesso della seconda serie di Rocky Joe). Nonostante l’iniziale scetticismo di alcuni fan (eccolo! Dove si ritira la mano dopo aver lanciato il sasso?), Megalo Box si è rivelato un gran bell’anime: una delle produzioni più interessanti del settore non solo del 2018, ma degli ultimi anni. Vedi le sorprese, alle volte?
6. IL FILM
La notizia non è tanto che pure di Ashita no Joe esiste una trasposizione live action, quanto che non faccia pena e schifo come avviene di solito (leggi = quasi sempre). Incentrato sulla sfida con Rikiishi, dentro e fuori dal riformatorio, il film vede Tomohisa Yamashita (Terra Formars) e Yusuke Iseya (Kyashan – La rinascita, 13 assassini) rispettivamente nei panni di Joe e Rikiishi. Esiste anche tutta una lunghissima serie di spot televisivi legati ad Ashita no Joe, spesso interpretati, oltre che da Joe, quell’ubriacone del suo allenatore, Danpei Tange. Eccone qualcuno, giusto a titolo d’esempio:
Voglio quel giubbotto. Sia messo agli atti.
7. JOE NON È MORTO!
No, cioè: è morto. Il finale è quello che tutti conosciamo, una scena iconica del mondo dei manga e – attraverso queste stupende illustrazioni di Osamu Dezaki, usate nei momenti di grande impatto nelle sue serie TV e da lui chiamate “cartoline ricordo” – anche degli anime. Seduto al suo angolo, dopo aver bruciato tutto quello che c’era da bruciare, di Joe non resta che bianca cenere. Ha affrontato l’incontro con Mendoza da fantasma, ha dato tutto, si spegne sorridendo, mentre l’altro – incanutito dalla paura – viene dichiarato campione. E ok, asciughiamoci le lacrime, è dannatamente triste. E bello. Ma qualcuno non la pensava così.
Quando venne mandato in onda per la prima volta il finale della seconda serie TV, si pensò di CAMBIARNE COMPLETAMENTE il senso. Con qualche scena incollata alla fine e la voce fuori campo di Joe inventata, si immaginava un futuro per lui e Yoko, e “tante nuove battaglie” da affrontare insieme. Pur nella lunga e grottesca storia di censure e rimaneggiamenti delle versioni italiane degli anime, qualcosa di assolutamente fuori scala. Abbiamo commenti?
Uh, no. E che vuoi aggiungere?
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