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Sì, Beverly Hills 90210, Bayside School e tutto il resto, ma una serie giovanile avente per protagonisti un’eterogenea accozzaglia di liceali ce l’avevamo già avuta, qui in Italia, negli anni 80. Erano loro, I ragazzi della IIIa C, attori ultraventenni, spediti tra i banchi di scuola per riempire l’etere italiano di tormentoni e spot promozionali. Chiamati a far compagnia ai tre di Bruno Sacchi, agli intortamenti di Ciro il cartolaio e, soprattutto, alle lezioni di vita del mitico, mitologico Commendator Zampetti di Guido Nicheli.
“IN NOME DEI DURAN DURAN E DI SCIALPI, NASCE CHICCOLANDIA…”
Nata da un soggetto dei fratelli Vanzina, la serie venne affidata in un primo momento a Neri Parenti, reduce da un’infilata di film di Fantozzi e altre pellicole con Villaggio (come Scuola di Ladri, l’anno prima). A Parenti, però, non andava molto a genio il fatto che il protagonista della serie, l’eterno ripetente Chicco Lazzaretti, fosse il ventisettenne Fabio Ferrari, e mollò dopo aver girato il solo episodio pilota. Al suo posto finì dietro la macchina da presa Guido Risi. Figlio di Dino Risi, fratello di Marco e anche lui regista e sceneggiatore. Il suo primo film? Un altro pezzo di anni 80 grosso così, Windsurf – Il vento nelle mani, nell’84, con l’insopportabile Pierre Cosso, amato da tutte le ragazzine dello Stivale. Nota, tra i protagonisti di Windsurf c’è una ventenne che da bambina aveva recitato per Bava e Argento (in Profondo Rosso). Si chiama Nicoletta Elmi, è la nipote della presentatrice Maria Giovanna, e ne I ragazzi della IIIa C sarà Benedetta.
“STAI IN UNA BOTTE DE FERO!”
Nell’87 va così in onda la prima delle tre stagioni de I ragazzi della IIIa C, con i suoi improbabili maturandi di un liceo classico romano immaginario, uno per ogni tipologia umana di studente. Lo scaltro Chicco, lo sportivo Massimo Conti, il mammone Bruno, la diva Sharon Zampetti, i fidanzatini Daniele e Rossella, la dark Benedetta, le secchione Elias e Tisini. E poi c’era quel tipo spuntato fuori nella seconda stagione, Woodstock, che non si capiva bene chi fosse, cosa volesse, perché fosse lì. Ma aveva l’aria di uno che usava pochissimo tabacco nelle sigarette. Gli altri compagni di classe della IIIa C non avevano importanza, dignità, ruolo alcuno, tanto che cambiavano di puntata in puntata, di stagione in stagione. Tappezzeria in casa di un arredatore irrequieto. Erano tutti degli intrusi? Si cambiava continuamente sezione, al “Leopardi”? Boh. D’altronde, i protagonisti ci hanno messo tre anni per prendere la maturità, qualcosa di strano ci doveva essere per forza.
“L’IDEA MI ESALTA!”
A rendere divertenti le puntate de I ragazzi della IIIa C – in quegli anni più semplici in cui non c’era la concorrenza di mille altre serie in streaming o sul satellite ad azzannarti alla giugulare catodica se non eri convincentissimo dal primo episodio, da prima di subito – erano però soprattutto i mille caratteristi di contorno. Il citato, grandissimo, compianto Nicheli, il cui Cummenda avrebbe valicato i decenni. Un attore (anche drammatico, per Risi padre) divenuto talmente il suo personaggio, che sulla sua tomba c’è scritto “See You Later”. Ma come non ricordare anche il professore di italiano (Antonio Allocca, il brigadiere di Fracchia la belva umana), Ciro (Massimo Giuliani), Spartaco Sacchi (Ennio Antonelli, lo zio Antonello, il fornaio di Fantozzi contro tutti), Mauro Di Francesco? O le comparsate di Jimmy il Fenomeno, Francesco Salvi e di un giovane Riccardo Rossi?
“CHI PAGA?” (TOTIP)
Si diceva, in apertura, del product placement. Erano gli anni 80, e visto che ancora una legge sulla pubblicità occulta non c’era, potevi piazzare a favore di camera tutti i marchi che volevi. Ubiqui come le bibite Pejo nei Fantozzi. In una serie in cui uno dei personaggi, il barista di Enio Drovandi, veniva chiamato Totip, potevi aspettarti davvero di tutto. E di tutto c’era. La bella Sharon mangiava perennemente un cornetto Algida, Chicco guidava una Corsa, tutti vestivano Benetton o sorseggiavano una One O One. Si poteva, lo facevano tutti. Guardavi una serie TV e le pubblicità arrivavano a interrompere le pubblicità presenti nell’episodio. La cosa buffa, col senno di poi, non è tanto la presenza dell’oggetto in sé – con altre regole, e un bel disclaimer, succede anche oggi – ma il modo in cui veniva spinto, sfondando a testate la quarta parete. Il personaggio doveva declamare le doti di quel prodotto, o meglio ancora recitarne lo slogan pubblicitario. C’era il cornetto? Si parlava di cuori di panna. C’era una moto o un orologio nuovo? Si doveva dire quanto fossero fighi. Del resto, pure la sigla della seconda stagione, “Studiare in jeans c’est plus facile”, citava lo slogan del Sanbitter…
“SACCHI, TRE (STAGIONI)!”
Arrivati all’89, gli anni 80 erano agli sgoccioli e la storia de I ragazzi della IIIa C pure. Fabio Ferrari sarebbe finito a recitare per Pupi Avati e in serie come Sei forte, maestro con Solfrizzi, Bracconeri a Forum, gli altri chissà dove, un po’ persi nei ricordi di una serie allegra, leggera, piena di tormentoni, molto figlia dei suoi anni. Nove anni dopo, nel ’98, un impresario romano contattò Ferrari e gli altri per realizzare una quarta stagione del telefilm, “Terza C Disco Club”. Pagò agli attori un anticipo e… scomparve. Vai a sapere perché.
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