Seconda Occasione: il maleficio di Cursed – Il maleficio (2005)

Seconda Occasione: il maleficio di Cursed – Il maleficio (2005)

Di Nanni Cobretti

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L’ACCUSA: incassi complessivi di poco superiori alla metà del budget, critiche deprimenti. Annunciato come un nuovo game changer, svanì nell’indifferenza generale.

SVOLGIMENTO:
Sappiamo tutti per cosa è famoso Harvey Weinstein adesso. Accusato di violenza sessuale da svariate decine di donne inclusa una nota ex-fidanzata, bombardato da aneddoti su aneddoti di comportamenti inappropriati seguiti da reazioni vendicative che avrebbero compromesso carriere, portato effettivamente in tribunale dalle più coraggiose e concrete del gruppo, ha ormai quel tipo di reputazione per cui lo si può considerare completamente spacciato, il cattivo per antonomasia, il Voldemort dello show business. Una volta con un’immagine simile venivi considerato una “rockstar”; oggi finalmente anche le porte del mondo dello spettacolo si stanno chiudendo, la società civile sta imparando a non tollerare più questi comportamenti e per quelli che proprio non riescono a trattenersi l’unico mestiere possibile è il Presidente degli Stati Uniti.
Ma prima non era conosciuto per quel– ok, non è esatto, era già conosciuto da oltre vent’anni per quello, solo che nessuno si era fatto avanti ad accusarlo ufficialmente.
Prima, alla luce del sole, Weinstein era famoso per due cose:
1) investire soldi su talenti e film tutt’altro che banali, facendo da pigmalione a gente come Quentin Tarantino, Kevin Smith, Gus Van Sant, Michael Moore e Martin Scorsese, proponendosi come concreto paladino del cinema indipendente e arrivando persino a battere lo strapotere delle major ai Premi Oscar;
2) influire spesso pesantemente sulle scelte artistiche di una buona percentuale dei film che produceva, arrivando a ordinare reshoots, riscritture e nuovi montaggi spesso fuori dal controllo dei filmmakers.
Il punto 1 è per un tipo di articolo che nessuno avrà il coraggio di scrivere ancora per parecchi anni, e probabilmente finirà liquidato nei libri di storia alla voce “ha fatto anche cose buone”.
Al punto 2 dobbiamo invece ad esempio l’infelice uscita di Paul Schrader in piena bufera scandalistica, che disse letteralmente “Lo sapevano tutti che Weinstein era un maniaco sessuale, ma la cosa che mi offendeva di più era che comprava i film di Bertolucci e Wong Kar-Wai e poi li faceva uscire tagliati“.
Cursed – Il maleficio, a partire dal titolo portasfiga, soffrì del trattamento Weinstein a piena potenza.

Il progetto parte da Kevin Williamson, uno dei nomi fondamentali per definire gli anni ’90.
Non solo creatore di Dawson’s Creek, il Williamson è anche responsabile di un intero filone horror grazie alle sceneggiature della saga di Scream e di So cos’hai fatto, e qui è dove confesso che per quel che mi riguarda si tratta di un nome controverso. Scream me lo faccio andare bene, è divertente, e all’epoca era davvero fresco: il tocco meta dei personaggi che si comportano perfettamente coscienti dei cliché dei film horror forniva spunti davvero rinfrescanti, e l’extra-attenzione ai personaggi al di fuori delle scene horror, nel classico stile della teen comedy alla John Hughes, lo rendeva decisamente più solido della media. Ma fu quest’ultimo aspetto, e non quello rinfrescante, ad avere la meglio su Hollywood: ci si accorse che si potevano portare al cinema quei fans di Dawson’s Creek desiderosi di qualche brividino in più, e per quasi dieci anni toccò assistere all’invasione di teen comedies punteggiate da blandi omicidi senza sangue spacciate per horror, finché Hostel e Saw non entrarono a gamba tesa.
In tutto questo, all’inizio Wes Craven era il vecchio maestro ingaggiato ad aggiungere non solo street cred ma anche vera sostanza alle scene di tensione, poi divenne superfluo. Lui ci guadagnò un altro slancio di carriera che purtroppo finì per usare malissimo (La musica del cuore, terribile drammone con Meryl Streep).
Cursed venne annunciato verso il 2003 come “il film che rivoluzionerà l’horror coi licantropi”.
Williamson aveva promesso il solito approccio fresco alla materia, la sua comprovata esperienza con i personaggi giovanili, e un’altra abbondante dose di meta dovuta all’idea di avere come protagonista un’impiegata del Craig Kilborn Show e un pugno di VIPs nei panni di loro stessi.
E lo zio Wes inizia felice a girare, forte del maestro Rick Baker al trucco e di un cast che include Christina Ricci, l’allora sconosciuto Jesse Eisenberg, il famoso Johnny Depp del discount Skeet Ulrich (già apparso in Scream), Omar Epps, Robert Forster, James Brolin (padre di Josh), Mandy Moore, Heather Langenkamp (protagonista del primo Nightmare), la moglie di Scorsese e Corey Feldman.
Ma qui entra in scena Weinstein che però, i report ci informano, in questo specifico caso non si tratta di Harvey ma del fratello un po’ meno maniaco ma altrettanto esigente Bob.
Bob guarda il film quasi finito (dovevano giusto completare il finale) e dice “Non mi piace, riscrivetelo e rigiratelo“.
Dritto, pacifico, inequivocabile.
Riscrivere il film significa girare molti più reshoots del normale, di conseguenza rimpiazzare quasi tutto il cast ormai occupato da altri impegni, e quindi assumere altra gente e rigirare praticamente tutto.
Ok, Bob aveva anche qualche richiesta specifica.
Innanzitutto voleva passare dal Rated R al PG-13, che è una grande idea da farsi venire all’ultimo momento. Tocca quindi re-immaginare tutto in versione non violenta.
Poi voleva gli effetti speciali in CGI, per cui tocca licenziare Rick Baker. Uno normalmente penserebbe “ok, è per risparmiare“, ma il problema è che il film era già stato girato e Rick Baker, uno dei migliori truccatori dell’intera storia del cinema nonché specificatamente il numero 1 assoluto in fatto di lupi mannari, aveva già fatto il suo ed era già stato pagato. Quindi no, era proprio una grave e incomprensibile questione di gusti. Ma anche il segno che ci teneva davvero tantissimo a farlo come voleva lui, eh?
Poi – attenzione che questa fa molto ridere – voleva a tutti i costi una scena di un incubo, perché “sei Wes Craven, hai fatto Nightmare, quindi ci metti la scena di un incubo“.
E Bob è inamovibile, per cui Wes risponde sostanzialmente “sissignore”, e si procede.
Dell’elenco qua sopra rimangono quindi solo la Ricci e Eisenberg, mentre vengono aggiunti Joshua Jackson di Dawson’s Creek, Shannon Elizabeth di Scary Movie (la parodia di Scream), la cantante Mya e Nick Offerman.
Nella fretta generale, l’unico VIP libero e disponibile a interpretare se stesso è Scott Baio (qualcuno lo ricorderà per Happy Days o Babysitter, qualcun altro lo ricorderà per essere stato anche l’unico VIP libero e disponibile a interpretare se stesso alla festa ufficiale di inaugurazione della presidenza Trump).
Inoltre – anche questa fa abbastanza ridere – nel frattempo il Craig Kilborn Show viene rimpiazzato dal Craig Ferguson Show per cui il mestiere della protagonista è già obsoleto.
Comunque: Wes consegna e Bob, nella sua magnanimità, dice “ok, ci siamo quasi, riscrivi il terzo atto“.
Quindi sotto a riscrivere il terzo atto e a rigirarlo da capo con chi c’è.

Qui è dove potrei partire con un pippone su quanto sia sopravvalutato Wes Craven, che quando era baciato dal fascio di luce dorato dell’ispirazione trovava idee meravigliose e quando non lo era – purtroppo la maggior parte delle volte – telefonava delle ciofeche svogliate incredibili, ma direi che ho già fatto il bastian contrario abbastanza per oggi. Ve lo risparmio. Nella buona e nella cattiva sorte lo zio Wes si è sempre e comunque fatto volere un gran bene.
Cursed esce finalmente nel 2005 ma ormai ci hanno rinunciato tutti, Craven stesso per primo che nella speranza di rimediare si fa trovare pronto con un altro film appena sei mesi dopo (il comunque deludente Red Eye).
Nel Weinstein Cut con cui è a tutt’oggi distribuito si configura come un film abbozzato e frettoloso, che nasconde i pochi spunti con scene action girate malissimo e con effetti speciali digitali che già il giorno dopo parevano del decennio precedente.
Se da qualche parte c’era qualche discorso innovativo è difficile vederlo: Cursed pare voler essere semplicemente il Wolf con Jack Nicholson ri-narrato coi teenager e seguendo i beat di Scream (la grande vittima iniziale, il personaggio che sa tutto e semina presagi, il giallo a depistaggi sull’identità del cattivo).
In mezzo si vorrebbe rifare il discorso sulla licantropia come metafora dell’improvvisa sicurezza in se stessi, con il famoso motto “ciò che non ti uccide ti rende più forte” preso brutalmente alla lettera e una non meglio definita satira del mondo dello spettacolo, ma è tutto accennato in modo grezzo e frettoloso e abbandonato il prima possibile in favore di una scena action/suspense. Christina Ricci inizia il film conciata come sua nonna ma una volta morsa inizia a vestirsi normale, Jesse Eisenberg si stira i capelli e vince un incontro di wrestling scolastico coreografato come un cartone animato. Di base l’unica scena che si fa ricordare è lo sconcertante personaggio del povero Milo Ventimiglia, bulletto di stampo ultraclassico che Jessecantropo mette al suo posto accusandolo di omosessualità repressa, e che in tutta risposta confessa di essere effettivamente omosessuale e ci prova con un terrorizzato Jesse. Nel 2005, una trovata come questa era ancora vista come un colpo di scena divertentissimo e una specie di umiliazione doppia autoinflitta, come se in Ritorno al Futuro si scoprisse che Biff sotto sotto ha il feticismo inconfessato delle docce di letame.
Il terzo atto è tutto action e dura 40 minuti pieni, il che sembra una cosa buona ma presenta in realtà due problemi: 1) i personaggi non sono stati sviluppati abbastanza affinché te ne freghi qualcosa, 2) le scene action sono più disperatamente volenterose che efficaci. Si potrebbe anche lasciar perdere quella che è una delle trasformazioni a vista più brutte di tutti i tempi girata con la lentezza e l’enfasi di chi pensava/sperava erroneamente di avere a disposizione l’equivalente digitale di Rick Baker, ma il resto risulta blandamente professionale quando va bene, violentemente fuori bersaglio quando va male (tipo il licantropo che fa il dito medio – giuro che non l’ho inventato).
In conclusione: a parte un pugno di momenti terribili non è un disastro totale. Ci sono sprazzi di professionismo e, fra tutti i modi che esistono per coprire uno script pasticciato, infilarsi in una scena movimentata è – sulla carta – fra i migliori. La delusione però di vedere un film potenzialmente memorabile sgonfiarsi come un palloncino lasciato a metà è forte, e anche senza l’hype intorno rimane qualcosa che può tenervi svegli in una notte disperata, ma che il giorno dopo avrete già dimenticato. E forse è anche questo il motivo per cui Jesse Eisenberg riuscì quasi subito a ricostruirsi una carriera da capo come se niente fosse.

IL VERDETTO: tanti saluti al “film che rivoluzionerà l’horror coi licantropi”, e benvenuto alla classica teen comedy alla Williamson in salsa insipida e particolarmente raffazzonata, una b-side nella carriera di tutti i coinvolti.

COS’HO IMPARATO: un motivo in più per levare i Weinstein di mezzo.

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