Seconda Occasione: il regno distrutto di Theodore Rex (1995)

Seconda Occasione: il regno distrutto di Theodore Rex (1995)

Di Nanni Cobretti

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L’ACCUSA: con $35 milioni di budget nel 1995, è stato per svariati anni il film più costoso che sia mai stato declassato a uscire direttamente in homevideo. È invece a tutt’oggi l’unico DTV a ricevere una nomination ai Razzies.

SVOLGIMENTO
Che storia, Theodore Rex.
Innanzitutto letteralmente: racconta di un mondo in cui umani e dinosauri umanizzati convivono come se (quasi) nulla fosse, si concentra su un poliziotto di colore costretto nonostante il suo scetticismo a fare coppia con il primo di loro a voler servire ufficialmente la legge, e ci mostra come insieme sventarono il piano di un cattivo intento a ricreare scenari apocalittici.
Vi suona familiare?
Esatto, metti gli orchi al posto dei dinosauri ed è la stessa identica trama di Bright, che per coincidenza è invece al momento il film più costoso ad essere uscito direttamente per un servizio di streaming.
Ma la vera storia avvincente di Theodore Rex è quella produttiva.
Nato dalla mente di Jonathan Betuel, creatore di un paio di cult anni ‘80 non indifferenti come Giochi stellari (solo scritto) e Ritorno dalla 4a dimensione (anche diretto), Theodore Rex doveva inizialmente essere piuttosto simile a Bright, ovvero un buddy cop duro e puro con un t-rex e qualcuno tipo Kurt Russell.
Betuel cerca imprenditori e finanziamenti e trova Richard Abramson, noto per gli show di Pee Wee Herman, e l’italianissimo Stefano Ferrari, ricco erede di una casa farmaceutica.
Per vie traverse trovano un aggancio con Whoopi Goldberg, con cui raggiungono un accordo verbale: cambiano la sceneggiatura per alleggerire i toni e iniziano la produzione.
Whoopi però ci riflette meglio e si rende progressivamente irrintracciabile, fino a quando non confessa: sorry, col cazzo che lo vuole fare. Il suo entourage si rende conto della situazione e si dice disposto a rimborsare le spese effettuate finora a causa dell’accordo verbale.
Ma i produttori non ci stanno e la denunciano: dopo mesi di trattative, con mossa inspiegabile decidono di proporre il peggior compromesso di sempre, ovvero di pagarla di più per farle fare il film lo stesso. Incastrata da una registrazione audio che confermava il suo pre-accordo, e che quindi avrebbe trascinato un processo all’infinito, e sotto pressione per via della visibilità pubblica di tutta la faccenda, Whoopi cede e condanna la produzione alla peggiore situazione possibile: girare il film controvoglia.
Con Abramson e Ferrari banditi dal set per evitare che Whoopi li ammazzasse, iniziano le riprese sotto un’atmosfera mortificante. Whoopi è nervosa e incagabile, il tono del film viene ulteriormente alleggerito per rendere le cose più semplici possibili, Betuel apparentemente non aiuta rivelandosi un indeciso cronico.
Ci si arriva comunque in fondo.
Ma fra un test screening scoraggiante e la consapevolezza che la Goldberg non sarebbe stata di grande aiuto in fase promozionale, la New Line arriva alla decisione – allora inedita per un film di quelle dimensioni – di rinunciare all’uscita in sala e sbarcare direttamente in homevideo.

Com’è il film, mi chiedete?
Già, mi stavo dimenticando.
Il film è effettivamente un incidente stradale.
La prima cosa che salta all’occhio è che mi si stanno facendo vedere dei gran pupazzoni che muovono solo le sopracciglia nel ’95, due anni dopo Jurassic Park.
La seconda cosa che si capisce dopo pochissimo è che hanno pensato a una sola gag: la coda ingombrante. Theodore è un dinosauro adulto che gira in un’auto che pare una navetta svuotata e ha lo spazio apposito per la coda, e quando è in pubblico la sbatte ancora dappertutto, cosa che fa immediatamente dubitare di una vera integrazione fra dinosauri e umani.
E infatti in quanto a integrazione non andiamo benissimo: i dinosauri sembrano comportarsi tranquillamente come persone, parlano senza problemi, si vestono con i gusti del momento, hanno la patente, dei mestieri, ma sono anche vittime di pregiudizi e segregazione.
Al film però non interessa fare metafore o denunce: per il film, il razzismo contro i dinosauri è una continua fucina di gag divertentissime.
Entra quindi Whoopi Goldberg, forza comica dirompente arcinota per la saga di Sister Act.
L’impressione immediata è che se all’inizio il suo personaggio era stato pensato per Kurt Russell e poi modificato su di lei, lei non aveva un cazzo di voglia di ridere e prima l’ha fatto riconvertire nella versione alla Kurt Russell, e poi ha fatto levare anche le gag che pure il Kurt avrebbe detto.
Whoopi non ha voglia di girare il film.
Whoopi non ha voglia di ridere.
Whoopi non ha voglia di improvvisare e di mangiarsi le scene con la sua energia maniacale come avrebbe fatto in una qualsiasi altra situazione.
Pare di vedere quegli ospiti hollywoodiani che arrivano in una trasmissione italiana e vengono costretti a partecipare a qualche breve gag imbarazzante, tranne che in questo caso va avanti per 90 minuti e Whoopi non ha manco la forza di sorridere educatamente.
I casi di attori protagonisti costretti a recitare in un film o una situazione produttiva in cui non credono più sono tantissimi nella storia del cinema, per rimanere negli ambiti di questa rubrica basti pensare a Bob Hoskins in Super Mario Bros, ma normalmente finisce che professionismo e/o dignità hanno la meglio e si ottiene una performance che, come minimo, si appoggia decorosamente su pura tecnica.
Non Whoopi.
Il premio Oscar Whoopi Goldberg ha basato quasi tutta la sua carriera sulla sua travolgente spontaneità, e se il suo buon umore viene a meno non rimane niente.
La cosa se non altro è seminascosta dal suo personaggio, il classico duro brontolone anch’esso coinvolto in una situazione in cui non vuole essere, ma certe scene sono trasparenti. Su tutte, quella in cui il capo della polizia (Shaft in persona, Richard Roundtree) accoppia lei e Theodore e lei non fa che ripetere “ma è un dinosauro!”. Zero voglia di metterci del suo. Gli altri la guardano, e lei ripete “ma è un dinosauro!”. Non fosse che esiste la prova provata che inizialmente Whoopi aveva accettato di fare il film, sembrerebbe la sua riunione con i produttori: loro che cercano di spiegarle che è un’occasione da non perdere per la sua carriera, e lei che continua a fissare la locandina basita e insistere “ma è un dinosauro!”. Pausa, un paio di secondi per cercare di raccogliere la forza minima necessaria per improvvisare una gag qualsiasi sulle duemila a disposizione, la depressione che trionfa, lo sguardo di rinuncia nei suoi occhi e di nuovo: “…è un dinosauro!”. Uno può solo immaginare lo sconforto sul set.
Whoopi ha zero scene per mettersi al centro della situazione e sfoggiare il suo talento, e l’impressione che si ha è che le abbia fatte togliere tutte per andare a casa il prima possibile. Whoopi Goldberg, 7 milioni di stipendio, è qui unicamente la spalla di un tizio vestito da dinosauro, a cui lascia volentieri reggere tutto quanto il film.
C’è un’altra scena tristissima in cui si vede la quantità di soldi investita nel progetto, ovvero quella in cui lei e Theodore entrano in un bar di dinosauri e ci sono almeno una decina di comparse in scena contemporaneamente, ognuno col costumone e teste diverse, e un triceratopo in camicia le fa gli occhi dolci. Chiunque sarebbe in grado di improvvisare una gag qualsiasi con uno straccio di ambizione di far ridere. Whoopi Goldberg, che una volta ha fatto una comparsata autoironica in Palle in canna nel ruolo di una che non riesce a smettere di parlare manco dopo che le hanno sparato al cuore, lo guarda e gli fa “e tu credi di cuccare?”. Praticamente te la immagini sul set che dice da sola “…aaand CUT, ciao, ci vediamo domani manica di stronzi” e se ne esce senza che nessuno osi contraddirla.
Vai poi a sapere se la sua attitudine ha contagiato anche il resto della produzione, ma non è che anche senza di lei il film stesse procedendo esattamente alla grande: ormai ci si era rassegnati a fare una cosetta stupida e innocente per bambini, e ogni scena scorre alla ricerca della gag più facile a disposizione per non sprecare energie inutili, cercando giusto di mantenere un’atmosfera piacevole e spensierata, mentre il povero Bud Cort (lo conoscete per Harold & Maude e per diversi film di Wes Anderson) pare l’unico a mettersi di impegno interpretando uno scagnozzo tutto faccette e vocine esasperate.
Si vedono altre facce note, tipo Peter Kwong ancora vestito e pettinato come una delle tre tempeste di Grosso guaio a Chinatown, o come Armin Mueller-Stahl umiliato nel ruolo del cattivo principale.
E l’unico altro aspetto in cui si notano i soldi spesi sono gli enormi set – non bellissimi, ma tanti – che dipingono un futuro alternativo extra-saturato degno di un cartone animato di Batman.

Ma il risultato finale mette una malinconia addosso incredibile, e può piacere al massimo a monelli di sette/otto anni.
Jonathan Betuel non ha più scritto né diretto nulla da allora.
Whoopi Goldberg iniziò la fase declinante della sua carriera, e a un occhio rapido su IMDb almeno la metà dei titoli in cui è apparsa negli ultimi vent’anni è stato nel ruolo di se stessa.

IL VERDETTO: un film fatto per essere sbirciato morbosamente mentre rallenti in auto. A confronto, Super Mario Bros pare Ghostbusters.

COS’HO IMPARATO: mai denunciare il tuo protagonista. MAI denunciare il tuo protagonista. Se questa storia non vi basta ce n’è un’altra molto simile su Keanu Reeves e The Watcher, fatene richiesta e ve la racconto.

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