Cinema roberto recchioni Recensioni
Alcune cose da sapere prima di andare avanti.
Annientamento è il nuovo film di Alex Garland, che ne è sceneggiatore e regista. Prima di questa pellicola, Garland, ricoprendo gli stessi ruoli, aveva realizzato lo splendido Ex Machina. Ancora prima, ma solo come sceneggiatore, aveva firmato gli script di 28 Giorni Dopo, Sunshine (entrambi diretti dal suo amico Danny Boyle), Non Lasciarmi e Dredd. Prima di tutto questo, Garland era l’autore dei romanzi L’Ultima Spiaggia (The Beach, da cui sempre Boyle aveva tratto il film omonimo, ma con la sceneggiatura di John Hodge), Black Dog e The Coma (inedito in Italia).
Questo per dire che Garland non solo è uno bravo, ma è anche uno esperto.
Altra cosa da sapere del nuovo film di fantascienza presentato come contenuto originale da Netflix, un paio di giorni fa, è tratto dal primo capitolo della Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer, opera letteraria edita da Einaudi in Italia (che non pubblica spesso romanzi di fantascienza) e graziata dalle copertine di LRNZ. I tre romanzi pescano a piene mani da opere letterarie e cinematografiche precedenti, con un particolare occhio di riguardo verso Solaris, Stalker e 2001: Odissea nello Spazio.
Infine, ultima informazione importate prima di proseguire, è che il film, in origine, non era destinato agli schermi casalinghi di televisori e computer ma alla sala cinematografica, fino a quando Netflix non è entrata nella partita, accaparrandosi i diritti per la sua piattaforma e generando con questo gesto un vivace dibattito sul futuro del cinema.
Dopo la visione del film, io credo che sia il caso di sgomberare il campo da questo ultimo punto.
Bisogna partire da un dato fondamentale: Annientamento non è una produzione originale Netflix. Ovvero, non è un film pensato, voluto e realizzato dal canale. È, invece, un film portato sui mercati internazionali dai suoi produttori per essere venduto a un distributore internazionale e che è stato comprato da Netflix. Cosa che non ha reso per nulla felice il suo regista, che avrebbe invece voluto una distribuzione in sala. Questo è il segno che il nuovo cinema abbandonerà progressivamente le sale? Io non credo.
Perché c’è una ragione precisa per cui il secondo film di Garland non ha trovato la distribuzione sperata dal regista ed è oggi disponibile nella libreria di tutti gli abbonati a Netflix. E la ragione è che è un film bruttino. Ed è un film bruttino per un motivo specifico: il budget messo a disposizione di Garland per la realizzazione della pellicola non era minimamente sufficiente per portare a schermo la visione di VanderMeer e questo ha fatto emergere tutti i limiti della storia originale.
Perché quando sai che non puoi affidarti agli effetti speciali per raccontare un mondo nuovo e quando ti rendi pienamente conto che ogni scena d’azione sarà un calvario produttivo e artistico, allora cerchi di aggirare il problema, tirandola lunga su tutto quello che, invece, costa meno girare: le scene di dialogo e quelle di atmosfera, per portare a casa il film in maniera dignitosa e sviare l’attenzione da dei miserrimi effetti visivi. Il problema di fondo è che, per quanto buoni, i romanzi di VanderMeer non hanno lo spessore e la raffinatezza delle opere a cui sono ispirati. Il tema alla base della Trilogia dell’Area X è univoco, i suoi personaggi sono, a tratti, monodimensionali, i dialoghi meramente strumentali al progredire degli eventi. Non c’è, insomma, quella stratificata profondità di temi e contenuti che si possono, invece, rintracciare in uno Stalker (per dirne uno). Abbonda, invece, una certa supponenza, un certo grado di convinzione di stare scrivendo qualcosa di molto più profondo di quanto in realtà sia. Il risultato è che Garland (che, lo ripeto, è bravo) si trova in evidente imbarazzo nel cercare di rintracciare quel contenuto di cui avrebbe bisogno per dare sostanza a un film che non può giocarsela sul piano del visivo. Ecco quindi emergere tutta la fastidiosa inconsistenza di un gruppo di personaggi al femminile appena abbozzati, i noiosi e inutili dialoghi inconcludenti, il ritmo ostentatamente dilatato. E quando le cose succedono, è meglio non guardare. Effetti digitali imbarazzanti, visualizzazioni dell’interessante universo originale assolutamente scontate e, infine, a dare il colpo di grazia al tutto, un imbarazzante finale che cerca di mescolare le gelatine colorate del Kubrik di 2001: Odissea nello Spazio con gli incubi bio-meccanici del Giger di Alien, sovrapponendo il tutto a uno scenario che sembra lo sfondo di un desktop del 1998.
Tutto questo senza entrare nel dettaglio di una prova attoriale con il pilota automatico (medaglia al demerito all’insopportabile Natalie Portman), una colonna sonora nulla e un montaggio raffazzonato.
Cosa rimane? Rimane un film che vorrebbe ma non può. Una pellicola che cerca di confrontarsi con dei capolavori del cinema, strizzando costantemente l’occhio, e che si rompe tutte le ossa da sola. Rimane un filmetto insopportabilmente pretenzioso senza alcun motivo di esserlo.
Non sono pochi i registi che, nel corso della carriera, hanno cercato di accostarsi ai capolavori di Kubrick o di Tarkovskij (Nolan, Boyle, Soderbergh, tra gli altri) e tutti si sono fatti, più o meno, male nel tentativo. Garland non ci è andato nemmeno vicino, pur provandoci con più supponenza (e incoscienza) degli altri.
In conclusione e per farla breve: è del tutto inutile cercare di interpretare il presente e il futuro del buon cinema esaminando il caso di Annientamento, perché Annientamento non è buon cinema.
È, invece, un’opera realizzata con faciloneria e con un budget inadeguato, che l’ha penalizzata sotto ogni punto di vista e che non raggiunge gli standard necessari per una distribuzione in sala. A dire la verità, per me non raggiunge nemmeno il livello di una visione distratta sull’iPad.
LEGGI ANCHE: Annientamento: un’interessante teoria cerca di spiegare il film di Alex Garland
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