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La recente cancellazione della serie Sense8, che molti fan credevano uno dei cavalli di battaglia della piattaforma online Netflix, ha lasciato il pubblico decisamente spiazzato. Tale cancellazione sembrerebbe parte di nuovissima politica dell’azienda volta a tagliare alcune delle spese più onerose, anche riguardo i lunghi tempi di produzione, di prodotti che seppure molto seguiti e amati arrivano a fruttare un guadagno molto inferiore ad altri che, magari simili secondo il dato numerico delle view (che Netflix ha sempre e comunque tenuto segreto), riescono a fronte di un budget iniziale molto più esiguo a risultare più redditizi.
STOP AGLI ORIGINALS
La prima serie originals ad essere cancellata da Netflix è stata Marco Polo, dopo la sua seconda stagione: lo show a carattere storico con protagonista Lorenzo Richelmy (nel cast principale figurava anche Pierfrancesco Favino) in verità non sembrava aver avuto una grande presa sul pubblico, ovviamente tenuto conto del fatto che possiamo solamente avere un’idea a grandi linee della recezione da parte del pubblico delle serie Netflix, basandoci in definitiva quasi esclusivamente sui dati dei social network (Instagram in particolare si rivela essere la piattaforma migliore per testare il gradimento del pubblico) e dei siti di critica. Ad ogni modo, la cancellazione di Marco Polo non destò grande interesse nel pubblico, nonostante un cliffhanger finale che non verrà mai risolto: gli stessi fan della serie erano consci di trovarsi di fronte ad un prodotto enormemente dispendioso rispetto al risultato (principalmente economico?) finale.
Fu poi la volta di The Get Down, la prima serie musical di Netflix. Si trattava, prima dell’arrivo di The Crown, della serie più onerosa di Netflix: i costi enormi dovuti allo sfruttamento dei diritti per le canzoni inserite nella serie ne hanno sancito la chiusura dopo la prima stagione.
L’insurrezione è arrivata con la cancellazione di Sense8. Una serie strutturata (pare) fin dal principio per essere trattata in 3 stagioni, e che fin da subito ha basato la storyline principale sulla risoluzione di misteri che più avanti sarebbero stati rivelati ma a cui ormai non si avrà più risposta. L’inaspettata chiusura anticipata sembrerebbe anche in questo caso dovuta agli alti costi di produzione (si parla di circa 9 milioni di dollari ad episodio), anche se esistono varie teorie contrapposte al riguardo; Sense8 vantava però un vastissimo pubblico (sempre basandoci su canali simili a quelli sopracitati), ed in molti hanno visto la cancellazione come una mancanza di rispetto. A nulla sono dovute le “minacce” degli utenti, le petizioni online (una delle quali ha superato le 500.000 firme) e gli appelli disperati: la serie di Lana Wachowski, Lilly Wachowski non vedrà un finale.
In ultimo, è di pochissimi giorni fa la notizia che anche Girlboss, brillante comedy basata sulla reale storia dell’imprenditrice Sophia Amoruso, è stata cancellata dopo la prima stagione.
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REED HASTING SPEAKS
Il CEO di Netflix, Reed Hasting, ha fatto mesi fa una delle sue centellinate apparizioni televisive (sul canale CNBC) per svelare alcune nuove caratteristiche sulle future (ormai attuali) politiche del canale online. La dichiarazione più “forte” è stata quella per cui Hasting ha affermato che:
La nostra percentuale di successi è troppo alta al momento, abbiamo cancellato veramente pochi show. Al team che si occupa dei contenuti dico sempre di correre dei rischi, di provare cose sempre più folli. Quindi dovremo avere anche una più alta percentuale di titoli cancellati.
Un innalzamento dei rischi quindi, che comporterebbe un conseguente aumento delle cancellazioni. Cosa significa? Ovviamente, più uno show è “rischioso” (a tale titolo, è stato fornito l’esempio di 13 Reasons Why), più è alta la possibilità che quello show possa non essere capito, piacere solamente a date categorie di persone o in ogni caso, per un qualsiasi motivo, non piacere e quindi non essere rinnovato. Fra le righe si potrebbe leggere un abbassamento del livello degli show Netflix: da una parte fisiologico rispetto al dato economico, in quanto sembrerebbe che non si vogliano più investire risorse troppo elevate; dall’altro intrinseco, poiché un prodotto audace potrebbe essere preferito ad uno magari migliore ma “tradizionale”.
FROM NOW ON
Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro di Netflix con le premesse fin qui elencate? Sicuramente una lunga sequela di serie TV facilmente dimenticabili, della durata di una sola stagione, che non riusciranno a lasciare il segno; d’altra parte però anche serie meno mainstream e settorialmente più legate ad un pubblico di riferimento che in altri lidi magari fatica a trovare qualcosa di identificativo.
Dal punto di vista del rispetto verso l’abbonato, le considerazioni da fare sono invece meno semplici. Il dato economico, è ovvio, da un’azienda è sempre messo al primo posto; ma un’azienda che funziona, soprattutto se funziona tramite abbonamenti mensili, è quella che rende felici i propri clienti, che li fa sentire in un qualche modo (in questo caso “televisivamente”) protetti. Il caso Sense8 ha aperto un grosso solco nella fiducia dell’abbonato medio verso Netflix e le sue politiche: ora l’utente sa che, in ogni momento, le sue serie preferite potrebbero essere cancellate così come avviene per gli altri canali; una delle caratteristiche distintive della piattaforma online è andata perduta, e Netflix ne risulta in qualche modo menomata. La cancellazione di Sense8 fa pensare perché l’impressione che è stata data riguardava più una politica di risparmio che di limitazione delle perdite: un risparmio che è stato anteposto all’esigenza dei fan di conoscere il finale dello show, con tutto quello che ne conseguirà. Come appena detto (e soprattutto, quale che sia la verità), la fiducia fra Netflix ed i suoi abbonati è venuta meno, e sicuramente il colpo verrà accusato in qualche modo; non resta altro che attendere ed osservare i futuri sviluppi.
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