SOLO IL CAOS PUÒ PARTORIRE UNA STELLA DANZANTE.
Quando un film è debole, puoi fare tre cose:
– pomparlo artificialmente con una costosissima colonna sonora piena zeppa di pezzi musicali arcinoti e arcidispendiosi.
– far lavorare come dei pazzi quelli del montaggio, sperando che facciano il miracolo e costruiscano un film nuovo (e funzionante) con il materiale girato.
– richiamare il cast tecnico e artistico fare nuove settimane di riprese.
Nel caso di Suicide Squad sono successe tutte e tre le cose.
Un segnale così brutto da farmi avere aspettative molto basse sulla pellicola, coadiuvato in questo dalle pessime recensioni straniere del film e dalla coda lunga del mio generale disappunto per le produzioni cinematografiche DC/Warner da Green Lantern in poi.
Sono quindi entrato in sala convinto di uscirne deluso.
Immaginate quindi la mia sorpresa quando non solo il film non si è rivelato il disastro che temevo ma mi è anche piaciuto di più di molte pellicole Marvel recenti. Sto forse dicendo che Suicide Squad, a conti fatti, mi ha divertito di più di Avengers 2, di Ant-Man o di Captain America: Civil War? Non ci credo nemmeno io ma, sì, è proprio così. E badate, è un film assolutamente più “sbagliato” di tutti quelli con cui l’ho messo a paragone, eh?
Però, strano a dirsi, almeno durante la visione, me lo sono goduto di più e credo che il merito sia tanto delle cose che funzionano quanto di quelle che non funzionano affatto.
Provo a spiegarmi meglio perché altrimenti sembro pazzo.
Parliamo prima di tutto dell’aspetto centrale della pellicola:
– IL CAST
Se fai una sorta di remake in chiave supereroistica di Quella Sporca Dozzina, è ovvio che il cast diventa fondamentale. Avete presente quando si dice che una produzione “non ha badato a spese”? Ecco, nel comporre il cast di Suicide Squad la DC proprio non ha badato a spese .
C’è Will Smith, che non sarà più l’attore più pagato di Hollywood (è comunque nei primi dieci) ma che quando torna al genere che più gli compete e che maggiormente lo ha premiato con il successo, non solo è sempre perfetto ma sbanca puntualmente il botteghino. C’è Margot Robbie che insieme a Jennifer Lawrence è l’attrice da all in (quella su cui punti tutto) di Hollywood del momento. E c’è Jared Leto, che copre la quota genio e sregolatezza. E c’è anche Ben Affleck, anche se non lo si deve dire ma solo lasciar capire (il perché è facilmente intuibile). Attorno a questo gruppo, c’è una bella pletora di facce interessanti (io vi segnalo Joel Kinnaman, poi fate voi) che fa un lavoro egregio ma che non ci prova nemmeno a rubare la scena al terzetto (più uno) al centro della scena.
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Perché è chiaro per tutti che Suicide Squad è lo spettacolo di Will, Margot e Jared (e di Ben, non scordiamoci Ben) e che i tre (quattro) sono in una forma così smagliante che non ce n’è veramente per nessun altro.
Will Smith torna a fare l’eroe d’azione e dona al personaggio di Deadshot un corpo, uno spessore, un dramma e un’umanità che nel fumetto non gli sono mai appartenute. Dieci minuti di film e già lo si ama incondizionatamente (se poi siete amanti del basket americano come il sottoscritto, applaudirete da soli in sala a una sua battuta su Phill Jackson). Margot Robbie… che dire? È semplicemente stordente. Sul serio, guardarla a schermo nei panni di Harley Quinn è come venire presi a schiaffi costantemente. Il regista la adora, la camera la adora, gli spettatori la adorano. E lei rende tutto ancora più esaltante perché non solo è straordinariamente bella e sexy, ma è anche bravissima a interpretare e arricchire un personaggio che era già meraviglioso di suo sulla carta. E poi Jared Leto, che tra tutti aveva la responsabilità maggiore perché chiamato a interpretare il Joker e a confrontarsi con con attori del calibro di Cesar Romero (lo straordinario interprete del Joker nella serie televisiva degli anni ’60), Jack Nickolson (il Joker di Tim Burton) e, soprattutto, lo scomparso Heath Ledger, che con l’interpretazione dello psicopatico di Gotham nel secondo film di Batman a opera di Nolan, è entrato nel mito accanto a James Dean, Marilyn Monroe e un sacco di altra gente piena di talento morta troppo presto e troppo male. Jared non si è tirato indietro davanti a un’impresa del genere ma, anzi, ha caricato a testa bassa e il suo Joker non ha nulla da invidiare agli altri.
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Verrebbe quasi da dire che quasi li supera se non fosse che la sua presenza a schermo è troppo esigua per poter dare un giudizio completo. Leto, dopo l’uscita del film negli Stati Uniti, ha fatto capire a chiare lettere di non essere per nulla entusiasta delle molte scene eliminate al montaggio legate al suo personaggio (alcune delle quali erano però presenti sul trailer e troveranno probabilmente posto nell’edizione estesa della pellicola) e devo ammettere che concordo con il suo disappunto: avrei voluto vederlo molto di più.
Quindi, cast perfetto e in stato di grazia. Passiamo all’elemento successivo:
– LA SCENEGGIATURA
Qui la faccenda si fa più problematica perché lo script è allo stesso tempo molto felice e anche molto brutto. Come può essere, direte voi? Semplice: i personaggi e i loro dialoghi sono raccontati e scritti magnificamente, solo che poi sono inseriti in una storia confusa, poco interessante e pasticciata, che non porta realmente da nessuna parte ma che, anzi, si sgonfia minuto dopo minuto. Il tutto poi è ulteriormente complicato dal prossimo aspetto del film che prenderemo in esame, ovvero la regia, che è opera della stessa persona che il film lo ha anche scritto, David Ayer…
– LA REGIA
David Ayer è un bravo regista. Lo ha dimostrato senza ombra di dubbio con Fury, ma lo aveva fatto capire ben prima, dai tempi de I Giorni dell’Odio. Solo che è un bravo regista di thriller, di polizieschi e di film di guerra. Cosa c’entra uno come lui con i supereroi e gli effetti speciali a essi connessi? Poco, e lo dimostra il fatto che tutte le parti del film legate al reclutamento degli assassini e alle loro storie personali, sono ottime (come pure sono buone le scene di violenza a base di proiettili e mazzate) ma quando si tratta di mettere in scena antiche divinità cosmiche, energie mistiche e superpoteri, il film diventa goffo e puerile. Il problema è che Ayer non sembra crederci per nulla a quel materiale e questo si sente quando gli tocca metterlo in scena. Meglio va sul fronte prettamente visivo dove, insieme a Roman Vasyanov (il direttore della fotografia a cui si affida regolarmente), il regista tenta qualcosa di decisamente ardito. Il film, pur aderendo a quello che possiamo definire come “lo stile DC/Warner” (colori desaturati, atmosfere livide, abbondanza di scene notturne) è “inquinato” da sprazzi di colori fluorescenti o molto saturi che ricordano in maniera sorprendente quando fatto da Joel Shumacher nelle due pellicole di Batman più odiate di sempre. Il risultato, quando la mistura riesce, è decisamente felice e dona un aspetto unico alla pellicola. Quando non riesce, invece, tutto diventa tremendamente pacchiano. Poco equilibrata anche la tenuta complessiva del film che alterna sequenze davvero riuscite e ben raccontate ad altre sciatte e goffe. Molto buono tutto il primo atto del film, vuoto il secondo, disastroso il terzo ma spezzato da lampi di classe cristallina.
Non ho dubbi in merito al fatto che questa strana discordanza derivi dalla travagliata storia produttiva del film ma sta di fatto che tutta la pellicola sembri una specie di “pezza a culore”, per dirla alla maniera dei napoletani. Un fantasioso rammendo estemporaneo per aggiustare una situazione compromessa.
– IL MONTAGGIO
E qui viene a galla tutta la schizofrenia del film. Ci sono sequenze montate alla perfezione che si alternano a scenette senza capo né coda, aggiunte chiaramente all’ultimo momento per costruire un collante tra questo film e quelli che lo hanno preceduto e che lo seguiranno, momenti di raffinata compostezza devastati da flashback spiegazionistici, attimi di durissimo di dramma violentati da siparietti comici. Il tutto senza alcuna soluzione di continuità, dall’inizio alla fine del film. Un pasticcio così evidente che dovrebbe bastare a far naufragare il film ma che invece viene redento da un ritmo spensieratamente sostenuto. In sostanza, ogni volta che la pellicola sbanda paurosamente e lo spettatore sta per alzarsi dalla poltrona e andarsene, il film cambia marcia e tono e lo porta fluidamente da qualche altra parte, convincendolo a fidarsi per altri dieci minuti. E poi altri dieci. E altri dieci. Fino ai titoli di coda e oltre (sì, c’è la scenetta aggiuntiva).
– COLONNA SONORA
Anche qui è la fiera del bipolarismo.
Da una parte lo score originale di cui non ho praticamente memoria, dall’altra parte, pezzi che vanno da Skrillex ai Creedence Clearwater Revival, da Eminem ai Panic! At the Disco, da Grimes ai War. Erano da anni che non sentivo una OST che fosse al tempo stesso così insignificante e così potente. Comunque, nel complesso, da un sostegno enorme alla riuscita della pellicola.
– CONCLUSIONI
Quindi torniamo a quanto scritto all’inizio: Suicide Squad è un film che funziona perché, a tratti, non funziona per niente. È privo di equilibrio nelle sue parti ma armonico nel complesso, perché è pieno di sbavature evidenti che, invece che deturparlo, non fanno altro che sottolinearne gli aspetti migliori, esattamente come fa il trucco colato di Harley Quinn con Margot Robbie. Quindi ve lo consiglio? Sì. Ma non fidatevi troppo del sottoscritto: io preferisco sempre qualcosa di vivo, seppure disordinato, a qualcosa di morto e composto (qualsiasi riferimento alle ultime pellicole Marvel è assolutamente NON casuale).
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Suicide Squad ruota attorno alla squadra di supercriminali della DC Comics, incaricati di svolgere missioni estremamente pericolose (o suicide, da cui il nome) in cambio di sconti di pena o altri vantaggi. Il cast è composto da Viola Davis (Amanda Waller), Adam Beach (Slipknot), Jai Courtney (Captain Boomerang), Cara Delevingne (Enchantress), Karen Fukuhara (Katana), Joel Kinnaman (Rick Flag), Margot Robbie (Harley Quinn), Will Smith (Deadshot), Adewale Akinnuoye-Agbaje (Killer Croc), Jay Hernandez (El Diablo) e Jared Leto (Joker).
Suicide Squad è da oggi nelle sale italiane.
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Fonte e immagine: ScreenWeek