Schermo nero. Due voci fuori campo. Una è quella di una delegata dal ministero del lavoro, l’altra è quella di un falegname che sta inoltrando la propria richiesta di una pensione di invalidità. I medici gli hanno riscontrato un problema al cuore che gli impedisce di lavorare. Il dialogo è surreale. Le domande della “professionista” sono assurde, e Daniel Blake, questo il nome dell’uomo, non riesce a trattenersi dall’irritarsi. Stacco. Newcastle. Daniel è solo in casa. Avrà poco meno di 60 anni. Ha un giovane vicino di casa che riprende paternalmente per aver lasciato la spazzatura davanti la porta, ma con cui finisce con lo scherzare. La sua vita, senza lavoro (e moglie, è vedovo) è focalizzata su un’unica questione: farsi riconoscere i propri diritti dallo Stato. Non avviene. Né riguardo la pensione né dopo. Qui, per Ken Loach, inizia la sua ennesima – ma lo diciamo senza accezioni negative – storia sul proletariato inglese. La storia di Daniel Blake.
Nel 2013 il governo inglese ha varato una grande riforma del proprio stato sociale, la più grande dei precedenti 60 anni. Si è trattato soprattutto di snellimenti di procedure (o meglio, standardizzazione) e tagli. Ken Loach non la cita direttamente, ma è naturale pensarci visto che Io, Daniel Blake ha una storia talmente lineare e legata a doppio filo con quella dell’attuale funzionamento del welfare in Uk che il richiamo all’attualità viene dato per scontato. A livello narrativo, se questa “semplicità” di racconto è il grande punto di forza della pellicola, dall’altro è anche il suo più grande limite. I personaggi sono statici, non evolvono dalle rispettive posizioni di partenza, ma seguono l’unico comportamento che fin dall’inizio possiamo immaginare per loro. Da una parte l’eroe senza macchia Daniel Blake, dall’altro quello della (povera) giovane madre con due figli, anche lei vittima del malfunzionamento della burocrazia, che è pronta a tutto pur di sopravvivere e andare avanti.
Diventa facile empatizzare con loro e vedere lo Stato e i suoi rappresentanti come il male. Si soffre e ci si indigna come è logico che sia. Basta però un grido monocorde per rendere interessante un film? A Cannes, dove è stato presentato ha ricevuto un intenso applauso, ma noi pensiamo di no, ci vuole ben altro. Ed è per questo che troviamo Io, Daniel Blake uno dei film meno riusciti della filmografia di Ken Loach.
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