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George Clooney + Julia Roberts: ecco perché Money Monster è un thriller da gustarsi al cinema

Pubblicato il 12 maggio 2016 di Andrea D'Addio

Frodi dell’alta finanza, inchieste giornalistiche e ostaggi in uno studio televisivo: sono tre tag ricorrenti nella storia del cinema. Money Monster le condensa tutti e tre. Lee Gates è un esperto di Wall Street con un proprio programma televisivo. La sua produttrice è Petty Fenn. Non è contenta del suo anchorman né dello show e difatti sta per lasciare tutto. È una delle sue ultime puntate quando sul set piomba Kyle Budwell, un trentenne che ha perso tutti i suoi risparmi dopo aver seguito un consiglio d’investimento dato da Gates rivelatosi fallimentare. Con una pistola e un giacchetto pieno di esplosivo prende in ostaggio l’intero studio. Vuole capire perché ha perso i suoi soldi. Altrimenti farà saltare tutto in aria. Succede così che Gates, assistito da Petty Fann che con lui comunica a distanza attraverso l’auricolare, comincia a fare bene il suo lavoro: il giornalista. E scopre che dietro quel consiglio sbagliato c’è qualcosa di più grande…

A distanza di 25 anni dalla sua prima prova da regista, il tenero Il mio piccolo genio (1991) e altre due prove non perfettamente riuscite (A casa per le vacanze, 1995 e The Beaver, 2011), Jodie Foster centra il suo primo, vero bel film. Meno personale dei precedenti, anzi, di puro intrattenimento, ma forse proprio per questo più godibile dall’inizio alla fine come la tensione che vi regna. Non è perfetto, si ha spesso la sensazione di déjà-vu e alcuni passaggi narrativi (come la passeggiata esterna) risultano poco credibili, ma sono difetti su cui si può passare sopra. Parliamo di meriti. Quello principale  è della sceneggiatura, classica, ma non per questo banale. Quando un uomo è pronto a tutto, anche ad abbracciare l’illegalità, per dimostrare di aver subito un torto, è chiaro – cinematograficamente parlando –  che probabilmente tutti i torti non li ha. Bisogna solo capire quando e in che modo emergerà la verità.

Detto questo c’è da costruire i personaggi. Lo si fa in termini di contrapposizioni. Il primo dualismo è tra Gate e Budwell, ovvero un superficiale uomo di spettacolo ed un ingenuo ragazzo simbolo della classe operaia statunitense. Viene facile tifare per quest’ultimo. Il secondo dualismo vede una coppia, Gate e Budwell diventati nel frattempo un team, contro il vero cattivo, colui dietro a quell’imbroglio finanziario che ha causato tutto. La Foster racconta bene il tutto, alternando perfettamente i piani del racconto, lasciando il giusto tempo di maturazione al personaggio di Clooney e arricchendo il tutto di momenti più leggeri perfetti per sdrammatizzare e alleggerire la suspense. È brava nella gestione del cast. Clooney è perfetto nella parte, lo “stronzo” gli riesce benissimo, il suo sorriso cinico e beffardo è una sicurezza per questi ruoli,  Jack O’Connell (ve lo ricordate il film This is England? il ragazzo è cresciuto) è un ottimo sparring-partner mentre Julia Roberts, per quanto con un ruolo defilato, riesce con voce ed espressioni facciali a rendere tridimensionale un personaggio altrimenti quasi anonimo. Peccato per il “doppio finale”. Sarebbe stato bello chiudere sul biliardino. La critica sociale della Foster – tutto è comunque uno show – sarebbe stata più intensa. Ma non diciamo di più, il film andatevelo a vedere (al cinema). Ne vale la pena. A Cannes, dove è passato fuori concorso, ha ricevuto lunghi applausi. Meritati.

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