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I Migliori Film del 2012 – Le Top 10 di ScreenWEEK #parte5

Pubblicato il 31 dicembre 2012 di laura.c

Esprimere un giudizio su un film non è compito da prendere a cuor leggero, figuriamoci radunare in fila i film più belli dell’anno: film estremamente diversi tra loro, ognuno con pregi e difetti che è difficile confrontare con il bilancino. Ecco perché la mia, più che una top 10, è da considerare come la playlist dei titoli che mi hanno più colpito tra quelli usciti in sala nel 2012, che segue gli elenchi già proposti da LeotrumanFilippoValentina e Marlen.  Ovviamente non vuole essere una classifica esaustiva, diciamo che è un saluto all’anno che passa ricordato tramite il cinema che amo di più, che non sempre coincide con quello premiato dal pubblico. Ma spero che la mia piccola rassegna vi piaccia o incuriosisca lo stesso. Comincerò dall’inizio, forse perché non credo troppo nei finali a sorpresa. In realtà l’ordine è puramente indicativo, non l’ho tanto chiaro nemmeno io.

 

1 – UN SAPORE DI RUGGINE E OSSA

Permettetemi di cominciare cedendo qualcosa alle passioni personali. Jacques Audiard è uno dei registi che più apprezzo, e che riesce a mantenere un’incredibile coerenza e forza nel proprio stile anche quando lavora su film e storie molto diverse tra loro. Un sapore di ruggine e ossa non è forse uno dei suoi lavori più intensi, ma presenta ancora una volta due personaggi contorti e spigolosi, capaci di racchiudere tutta la complessità delle relazioni umane. Anche qui si parla di coppie impossibili, unite da malesseri profondi e laceranti, di una violenza che invece di spaventare attrae a sé, quasi fosse tutt’uno con l’esistenza umana, delle prove da affrontare per riuscire a superare i propri istinti autodistruttivi.  E con una Marion Cotillard mai così splendida, che incarna un femminile molto articolato, trattato senza alcuna gentilezza ma mai banalizzato, in cui è perfettamente possibile trovare un’identificazione al di là della malattia o della terribile menomazione  descritta nel film. Senz’altro da ricordare.

2 –  PIETÀ

Appena visto a Venezia, non ho avuto alcun dubbio sul fatto che il film meritasse il massimo riconoscimento da parte della Mostra del Cinema. Anche stavolta siamo di fronte a un autore che ha già dato molto, e di cui questa ultima opera non costituisce il capolavoro assoluto. Eppure, con questa specie di figura marianica trasferita nella desolazione e nella decadenza di una periferia post-industriale coreana,  Kim Ki-duk è riusciuto ancora una volta a costruire un personaggio enigmatico e potente. In questo film, le lacrime escono dagli occhi spalancati e inermi dell’attrice Jo Min-Su come da quelli di una statuina della Madonna, che osserva l’incarnazione del male senza  poter intervenire in alcun modo se non assorbendolo e riversandolo all’esterno con il suo stesso pianto. Altra piccola perla di una filmografia straordinaria, ultimamente un po’ sottovalutata.

3 – VITA DI PI 

Quello che adoro di Ang Lee, è la capacità di nascondere tutto il senso di un film in qualche piccolo particolare. Per me questo particolare era lo split screen in Motel Woodstock, solo per citare un esempio recente, e così lo è la brillante suggestione narrativa inserita nel finale di  Vita di Pi (ovviamente non andiamo oltre per non rovinarlo a chi non lo ha ancora visto). In realtà, il film presenta molte sequenze magnetiche (la prima comparsa della tigre in gabbia, la lotta tra gli animali sulla barca, il dimenarsi del protagonista sul sottile confine tra umano e bestiale), ma è grazie a una piccola svolta finale nel racconto che il regista ci dimostra come l’effetto più speciale di tutti non sia il 3D, quanto la magia stessa di raccontare e farsi raccontare una storia. Decisamente affascinante.

4 – COSA PIOVE DAL CIELO?

In un panorama cinematografico invaso da commedie per lo più poco originali e basate sempre sulle stesse situazioni “canoniche”, il vincitore del Festival di Roma del 2011, Un cuento chino, merita un posto in alto nella classifica per due motivi. Il primo è che dimostra come si possa ridere anche di temi un po’ più complessi, come quello dell’immigrazione e del confronto con culture lontane; il secondo è che pur essendo un piccolo film argentino, riesce ad avere un appeal universale, ed è meraviglioso che sia riuscito a trovare una distribuzione anche nelle nostre sale. Un’ottima risata quasi a metà della nostra classifica.

5 – IO E TE

La prima impressione che mi ha dato il ritorno alla regia del grande Bernardo Bertolucci è stato lo stupore. Come può un Maestro del suo calibro essere spinto di nuovo alla propria arte da una storia così piccola, semplice e spiccatamente borghese? Ma la chiave penso sia proprio questa: pur occupandosi di una piccola storia e di un piccolo mondo, il film riesce comunque a riassumere alla perfezione alcuni concetti essenziali, come lo stupore e la meraviglia del confronto col diverso, il timore della crescita, la necessità di scappare dalle gabbie che noi stessi ci costruiamo intorno. Tutto e tutti cercano in continuazione di essere speciali. Ma speciale rimanda a qualcosa di chiuso, di inscrivibile in una categoria preconfezionata. Ecco, Io e Te è precisamente uno di quei film che ricorda, con violenta delicatezza, che a volte non c’è affatto bisogno di essere speciali. Che a volte essere altro è più che abbastanza.

6 – DIAZ – DON’T CLEAN UP THIS BLOOD

Dato il tema portante, il film di Daniele Vicari si presta subito a essere giudicato in base a metri di giudizio che hanno poco a che spartire col cinema. Pur in presenza di una materia così complicata da gestire, tuttavia, il regista italiano è riuscito secondo me a trovare un buon equilibrio e a esprimere il proprio punto di vista in modo molto bilanciato e poco ideologico. Lo ha fatto soprattutto sfruttando il mezzo del cinema, cioè la ripetizione quasi ossessiva della scena in cui una bottiglia viene lanciata e si infrange a terra. Semplice, ma anche penetrante e disturbante, sembra proprio quella l’immagine che il regista vuole lasciarci di uno degli episodi più controversi della Storia italiana recente, con un impianto drammatico potenziato anche dalla scelta di ritardare fino all’ultimo il momento fatidico dell’irruzione alla Diaz. Incredibile anche la gestione del set, enorme e affollatissimo per un film italiano. Promosso a prescindere dalle valutazioni politiche.

7 – AMOUR 

Che dire della Palma d’Oro di Cannes 2012? Il solito colpo ben assestato da Michael Haneke anche agli animi che si vogliono più cinici e distaccati. Oltre a interpretazioni incredibili, il film vanta la forza di un’opera che non si vuole nascondere e non vuole nascondere nulla allo spettatore. Non desidera concedergli alcun appiglio, ma strattonarlo dritto di fronte alla realtà raccontata. Un concetto forse un po’ brutale di cinema, ma tanto di cappello. Forse anche questo, in fondo, può considerarsi un atto di amore nei confronti del pubblico. Chi ha mai detto che l’amore non fa male?

8 – REALITY 

Nonostante il film non riesca a reggere proprio benissimo lo spunto brillante contenuto nelle premesse, l’opera di Garrone premiata a  Cannes con il riconoscimento speciale della giuria, può contare senza dubbio su un incipit e un finale folgoranti. Due sequenze riprese dall’alto (a cui aggiungerei quella amara del ritorno a casa e dello “spogliamento” dagli abiti della festa), in cui il gioco di rimbalzi tra realtà e finzione si fa particolarmente esplicito e intrigante. La cornice ideale di un film comunque interessante, nel suo descriverei i ruoli che la nostra società ci impone obbligatoriamente di recitare ogni giorno, e la tragedia di un uomo che cerca di passare da semplice comparsa a protagonista della propria esistenza.

9 – COSMOPOLIS

Per essere un film di  David Cronenberg,  Cosmopolis appare pieno di difetti: è retorico fino allo stremo, spesso morboso, vicinissimo all’attualità e allo stesso tempo incredibilmente sterile, incapace di afferrarla o interpretarla in maniera esaustiva. Ma a una seconda riflessione, tutti questi difetti per me si sono tramutati in altrettanti pregi: Cosmopolis riesce a raffigurare il senso di oppressione, di angoscia e di fine imminente che sempre di più si fanno la cifra di un’epoca, senza tuttavia pretendere di essere un film-bandiera o peggio un film-verità. La sua imperfezione è anche sintomo di una metabolizzazione non ancora avvenuta, di una pallottola ancora in canna che nessuno di noi sa se sarà sparata oppure no. A un mondo che si muove alla velocità di un trilionesimo di secondo, Cronenberg oppone la lentezza interminabile di una giornata vissuta sull’orlo del baratro, non solo economico ma anche umano. L’invasione dei topi fuori dalla Limo rimane per me l’immagine forse più chiara ed efficace dell’atmosfera tecnocratica neodecandente  della nostra contemporaneità.

10 – VIVA I RECUPERI!

Last but not least, vorrei ricordare quei film che non pensavamo di poter più vedere in sala, e invece ci hanno raggiunto miracolosamente in questo 2012. Non parlo dei classici ri-distribuiti per un giorno o due, ma proprio di titoli rimasti “bloccati” per più tempo rispetto alla media. Primo fra tutti il bellissimo Hunger, risalente al 2008 ma arrivato solo adesso nei cinema grazie all’onda lunga di un altro importante film del 2012, cioè Shame. Alla regia sempre Steve McQueen per un Michael Fassbender impegnato in due ruoli radicalmente diversi ma entrambi, semplicemente, “oltre”. Come non ricordare poi il meraviglioso  Il castello nel cielo, uno dei tanti capolavori d’animazione firmati Hayao Miyazaki e uscito originariamente negli anni ’80, o il possente survival movie The Grey, giunto da noi a quasi un anno dall’uscita statunitense. Dalla mostra del cinema del 2010, infine, il particolarissimo Ballata dell’odio e dell’amore (verso cui nutro ancora sentimenti contrastanti, ma di sicuro è un film che si lascia ricordare in modo molto vivido), e il lirico Silent Souls, in cui Aleksei Fedorchenko riesce perfino a costruire il senso di disfacimento e di nostalgia per un’antica tradizione… inventata quasi di sana pianta! Potere del cinema, buon anno!