Fine anno, tempo di classifiche. Mancano poco più di 24 ore al termine del 2012 e, puntuali come le tasse (o almeno un tempo si diceva così), ecco arrivano le graduatorie dei film più amati. E allora, dopo che Leotruman e Filippo vi hanno intrattenuto con le loro top 10, oggi, per dirla alla francese, “c’est à moi”.
Dunque, iniziamo col dire che le classifiche sono tanto divertenti a leggersi quanto faticose a farsi. Oltre al fatto che scegliere un film piuttosto che un altro spesso implica rimanere intricati dubbi dal sapore amletico del tipo “blockbuster o non-blockbuster, questo è il problema”, poi sorgono domande tipo: quanto conta la tua infatuazione per Fassbender? Quanto conta il fatto che Ted lo vorresti adottare e berti un sacco di birre con lui? Quanto conta che tu sei fissata con il cinema delle origini e nel 2001, in vacanza a Parigi, convincesti il tuo fidanzato a una gita con tanto di fotografia sulla tomba di Georges Méliès? Oppure, cambiando decisamente tono, quanto conta il fatto che quando hai visto Amour hai pianto dalla prima all’ultima inquadratura e inzuppato fazzoletti per le notti successive perché, e lo sapevi, quel film avrebbe scatenato una valanga di ricordi?
Certo il cinema è anche oggetto di studio con tanto di metodologie e teorie insegnate alle Università ma non è certo questo il luogo per applicarle. Molto banalmente penso che quando si va al cinema lo spettatore è “vittima” di un processo di seduzione: il film sfodera i suoi mezzi per conquistarti e, alla fine, si fa amare o odiare. Con tutte le infinite gradazioni dei sentimenti umani. E come per le persone non è mai facile capire, e quindi spiegare, perché si ami o si odi. Senza ammorbarvi ulteriormente con altre questioni esistenziali, concludo dicendo che il mio parametro di giudizio principale è stata la “persistenza”: insomma, quanto certe immagini, battute, pensieri, riflessioni, paure e scariche di adrenalina, ma anche la sorpresa di un determinato film mi sono rimaste addosso nei giorni e anche mesi dopo la visione.
Ecco la mia top 10 che, come quella di Leo e Filippo, ha considerato i film usciti nelle sale italiane nell’arco del 2012:
10 – Hunger Games
Tratto dalla saga letteraria di Suzanne Collins, in un futuro post-apocalittico un gruppo di ragazzini sorteggiati a caso devono combattere fino alla morte per dar spettacolo in un reality show. Sinceramente non me lo aspettavo, invece questo film mi ha stupito e soprattutto mi sono trovata a pensarci anche nei giorni successivi alla visione (pone le classiche ma sempre attuali domande sul Potere, il pericolo della spettacolarità del reale ecc). Certo la pellicola diretta da Gary Ross non osa e non disturba più di tanto (la violenza è molto addomesticata e soprattutto la sceneggiatura è furbetta e rassicurante nel farci simpatizzare con certi personaggi che poi SPOLIER non vengono mai uccisi per mano della protagonista FINE SPOILER), ma la storia coinvolge e l’universo di Panem e dello show degli Hunger Games è costruito con coerenza (interessante la suddivisione tra i distretti ricchi e poveri, il meccanismo degli sponsor e dei costumi) e con fascino visivo (si veda la scena della sfilata di lancio dei giochi). Rivoluzionario, fortissimo e moderno è il personaggio di Katniss e Jennifer Lawrence che la interpreta è perfetta. La potenza del film passa dal suo viso e dalla sua performance.
9. Ted
Una bellissima e scorrettissima favola per adulti. Anche qui non tutti gli ingranaggi girano alla perfezione (certe situazioni da divano si ripetono un po’ spesso, il “villain” entra in scena un po’ tardi…) però Ted è il personaggio dell’anno. Prendere l’orsetto di peluche della nostra infanzia, farlo diventare vivo ma soprattutto farlo diventare un’adorabile canaglia mezza alcolizzata, cannaiola, sciupafemmine e scansafatiche è un’idea geniale che solo al Seth MacFarlane creatore dei Griffin poteva venire. Ma oltre ai fiumi di birra, a scorrere in questa pellicola è anche una sorprendente dolcezza: il legame tra Ted e il padrone Mark Wahlberg (grandissimo in questa vesta comica) è incondizionato e forte come solo le amicizie tra bambini sanno essere.
8. The Avengers
Sperando di non venir linciata sulla pubblica piazza, lo confesso: non sono una grandissima amante dei fumetti e dei cinecomic. E allora doppio merito a The Avengers che mi ha pienamente convinto e soprattutto divertito: pop, ironico, scoppiettante, è un luna-park di immagini dove sei sballottato, e sali e scendi, urli, ridi. Spettacolo per gli occhi, impeccabile regia, battute taglienti e attori perfetti i quali hanno capito lo spirito di squadra della storia (quasi teatrale nell’idea di ensamble attoriale) e si sono spalleggiati a vicenda senza voler fare le prime donne. Nota di merito all’Hulk di Mark Ruffalo e a Loki di Tom Hiddleston.
7. Hugo Cabret
Come ho accennato all’inizio, io ho una venerazione per il personaggio di Georges Méliès. La sua storia di anti-eroe, inventore del cinema di fantascienza, pioniere dei trucchi cinematografici, mago delle messa in scena, insomma un genio che però cadde ben presto in rovina e finì per lavorare in un negozio di giocattoli, mi aveva sempre affascinato. Tanto da leggermi diversi saggi più o meno noiosi su di lui, poi la bella biografia scritta dalla nipote Madeleine Malthête-Méliès e guardarmi e riguardarmi una vhs con alcuni dei suoi film. Oltre a compiere quella gitarella con foto sulla sua tomba a Parigi di cui vi ho accennato… Dettagli macabri a parte, massimo riconoscimento quindi a Martin Scorsese per aver fatto un film che rende omaggio a quest’uomo, un film che è un atto d’amore alla magia del cinema. E che sperimenta con maestria d’autore un nuovo trucco del cinema come il 3D. A Méliès sarebbe piaciuto.
6. Argo
Argo, ovvero la potenza della Storia. Ben Affleck, ossia l’uomo di Hollywood con incollata in faccia l’etichetta “meglio come regista che come interprete”, ha preso una delle “storie vere” più assurde che siano mai accadute (per liberare un gruppo di diplomatici in Iran, i servizi segreti li camuffano in una troupe cinematografica che sta girando lì un film di fantascienza) e ne ha fatto un film classicissimo che, sullo scheletro di una sceneggiatura asciutta e scritta con precisione chirurgica, sfrutta i meccanismi del thriller. E, come voleva un certo Hitchcock, si patisce, si suda freddo e si gioisce con i personaggi fino al punto di considerarli veri e urlare allo schermo per incitarli…
Come solo i grandi autori sanno fare, con i suoi film, Wes Anderson ha creato un mondo. Vedi una sua inquadratura e riconosci immediatamente il suo stile stralunato, vintage e assurdo con “inquadrature simmetriche e poi partono i Kinks” come cantano I Cani in una loro canzone dedicata al regista. E io, sempre per rubare i versi di quella canzone, “Vorrei vivere in un film di Wes Anderson, vederti in rallenty quando scendi dal treno. Vorrei l’amore dei film di Wes Anderson, tutto tenerezza e finali agrodolci”. Divagazioni musicali a parte, Moonrise Kingdom è un film delizioso su due 12enni (lui è una giovane marmotta, lei una “baby hipster”) attorno ai quali si aggirano adulti (i mitici Bill Murrey e Bruce Willis tra gli altri!) che sono più bambini di loro… Per me che ho un passato da scout, Edward Norton coi pantaloncini corti è imperdibile. E il detto “gli scout sono dei bambini vestiti da cretini, guidati da cretini vestiti da bambini” è più che mai azzeccato…
4. Diaz
Se come ho detto sopra uno dei criteri per stilare questa mia classifica è stata la “persistenza”, Diaz è un film che ti lascia dei lividi (di rabbia e di riflessione) che a riassorbirsi ci mettono molto, ma molto tempo. Daniele Vicari ha fatto un lavoro eccezionale: per raccontare i terribili pestaggi da parte della Polizia alla scuola Diaz durante il G8 di Genova si è liberato del “neo-realismo” di denuncia del cinema italiano e ha fatto un film che si avvicina quasi più all’action o all’horror. Un film con un dispiego di mezzi importanti (comparse, ricostruzioni di intere location, riprese aeree, effetti digitali) consapevoli che la botta di quell’atroce verità passasse da un film spettacolare. Una pellicola fatta di tante storie dove finalmente i giovani dipinti sullo schermo non sembrano dei manichini con un piercing appiccicato con lo scotch ma sono più che mai credibili.
3. 17 ragazze
Questa è sicuramente la scelta più personale e soggettiva. Film francese diretto dalle sorelle Coulin, presentato ai Festival di Cannes e Torino del 2011 e approdato nelle nostre sale a fine marzo di quest’anno, è la storia di 17 ragazze che, forse per noia, forse per ribellione, decidono di rimanere incinte tutte insieme. Un gesto assurdo e certo incomprensibile al mondo degli adulti: perché l’hanno fatto? Il motivo non lo sanno bene neanche loro: quando si è adolescenti si agisce di istinto perché banalmente, come direbbero i Tiromancino, “i numeri e il futuro non ti fanno preoccupare”. Una pellicola davvero controversa, non riconciliante, che fotografa alla perfezione l’apatia ma anche la voglia di vita dell’adolescenza in una piccola cittadina bretone di Lorient. E che lancia, un po’ come aveva già fatto Juno, originali spunti di riflessione sul tema della maternità. Plauso alla regia delicata delle registe e alle giovanissimi attrici non professioniste.
2. Shame
Qui bastano due parole per giustificare questo secondo posto: semplicemente perché Michael Fassbender è immenso e perché quasi ogni inquadratura è costruita come un’opera d’arte. E poi perché il regista Steve McQueen è riuscito a raccontare la più carnale e sporca delle perversioni sessuali con una bellezza e una freddezza estrema. Quello del personaggio di Fassbender è un istinto-passione che lui cerca di congelare e tenere a bada ma poi arriva la sorella (Carey Mulligan) con la sua valanga di problemi e rompe quell’equilibrio precario: una storia malata, intensa e intrisa di grande sensibilità. Con Shame vogliamo anche premiare Hunger, l’altro film della coppia Fassbender- McQueen del 2008 ma uscito solo nel maggio di quest’anno nei cinema italiani.
1. Amour
Meritatissima palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, Amour è un film straziante. Un film che ti fa sentire il dolore sulla tua pelle, che getta sale sulle ferite aperte, che ti fa toccare la quotidianità racchiusa in una stanza della malattia, la sua materialità fatta di flebo, carrozzine, pacchi di pannolini, infermiere che non capiscono che quello che per loro è un paziente da pettinare e lavare per te è una persona che, per quanto irriconoscibile e divorata dalla sofferenza fisica, ancora ami. Ecco allora che il titolo del film, pur parlando di morte, è più cha mai azzeccato perché la pellicola di Haneke è davvero e soprattutto il racconto dell’amore di un uomo ormai anziano verso sua moglie. Un film con un finale che è pura poesia. Vederlo fa male, ma quelle immagini sembrano ti aiutano a capire un po’ più il “mistero della fine della vita”. E anche questa è la magia del cinema.