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Bentornati al nostro consueto appuntamento con i film che hanno fatto la storia del Peplum: oggi parliamo di Le fatiche di Ercole, primo vero “peplum” all’italiana, diretto da Pietro Francisci nel 1958. Siamo naturalmente distantissimi dai modelli americani, che pure erano decisamente influenti anche qui da noi: ma, come nel caso dello spaghetti western, anche qui si creò qualcosa di completamente nuovo, una declinazione italiana dei kolossal storici.
Le fatiche di Ercole è l’esempio perfetto di questa tendenza, perché incarna tutte le caratteristiche principali del nascente filone: prima fra tutte, la presenza di un eroe forzuto, interpretato da un culturista – in questo caso il mitico Steve Reeves. A saltare agli occhi, rivedendo il film oggi, è anche l’estrema ingenuità con cui sono unite due storie totalmente separate nella mitologia, quella delle dodici fatiche di Ercole, appunto, e quella del viaggio degli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro, e la scelta di riunire nel solo regno di Iolco tutti i più famosi personaggi mitologici: ci sono infatti Giasone, Esculapio, Orfeo, Laerte, Castore, Polluce e pure Ulisse! Tutti lì, tutti nello stesso posto e nello stesso periodo storico, con effetto comico assicurato.
Eppure, il film fu un successo negli Stati Uniti, dove ne venne realizzato anche un adattamento a fumetti (disegnato da John Buscema, tra i più grandi autori Marvel), perciò non si può negarne l’appeal sui giovani dell’epoca. Merito probabilmente di una storia semplice ma ricca di stereotipi funzionali e ben orchestrati – il re che ha ottenuto il potere uccidendo il fratello, la bella in pericolo, e poi mostri, animali feroci e chi più ne ha più ne metta. Merito anche di Reeves, che sopperisce alla sua incapacità d’attore con la potenza dei suoi muscoli messi al servizio del più fisico tra gli eroi classici. Merito, infine, di una regia di mestiere, che riesce a nascondere gli evidenti limiti del budget regalando uno spettacolo onesto, anche grazie agli effetti speciali curati da Mario Bava.
Insomma, non siamo a livello di un Ben-Hur, ma il coraggio di un’operazione del genere fa riflettere: com’è che oggi il cinema italiano ha perso la capacità di prendersi sul serio? Forse sarebbe ora di tornare a guardare a una produzione che, all’epoca, era bistrattata dalla critica ma incassava in tutto il mondo, ed era infinite volte più competitiva della roba “autoriale” che sforniamo oggigiorno.
Nel prossimo appuntamento, si conclude il nostro viaggio con Scontro di Titani!