I cancelli del cielo 40 anni dopo: la storia del flop che cambiò per sempre Hollywood

I cancelli del cielo 40 anni dopo: la storia del flop che cambiò per sempre Hollywood

Di Marco Triolo

Nel novembre 1980, I cancelli del cielo di Michael Cimino fece il suo esordio e fu immediatamente attaccato dalla stampa, al punto da spingere United Artists a ritirarlo per ridistribuirlo nell’aprile successivo in una versione considerevolmente più corta. Fu un bagno di sangue: 3,5 milioni di dollari incassati su un budget di 44 (quasi quattro volte quello pattuito), la fama di uno dei peggiori film mai realizzati e la vendita della United Artists che, di fatto, mise fine all’era della New Hollywood e dello strapotere degli autori, aprendo le porte degli anni ’80 del cinema commerciale così come li conosciamo.

Rivisto oggi, I cancelli del cielo è l’ennesima dimostrazione di come una cattiva fama pregressa, unita a un’ambizione talmente arrogante da risultare antipatica, possano generare una psicosi collettiva che sfocia nell’affondamento di un’opera che non se lo sarebbe meritato. È difficile spiegare per quale motivo proprio il film di Cimino sia diventato il parafulmine di un tale odio e che nessuno, all’epoca, sia riuscito a guardare oltre le notizie su una lavorazione che tormentata è dire poco e riconoscere di avere di fronte un capolavoro. Ma è andata proprio così e oggi, nel giorno del quarantesimo anniversario dell’uscita del film, cercheremo di capire come mai.

Il cacciatore

Per capire il perché de I cancelli del cielo dobbiamo tornare un attimo indietro. Cimino aveva scritto la sceneggiatura del film nel 1971, prima ancora del suo debutto alla regia, Una calibro 20 per lo specialista (1974). All’epoca, il regista non riuscì ad attirare nomi di peso e il progetto fu messo da parte. Stacco al 1979, quando Il cacciatore si apprestava a vincere cinque Oscar e aveva già incassato le lodi della critica e il successo di pubblico. A quel punto, United Artists non ci mise nulla non solo a dare il via libera al progetto, ma a dare totalmente carta bianca all’autore.

Un contratto da non crederci

Già qui c’è un dato molto interessante. Il budget deciso da United Artists fu di 11,6 milioni di dollari. Le riprese vennero fissate per l’aprile del 1979, e lo studio tentò di inserire nel contratto di Cimino una clausola che lo obbligasse a terminare la lavorazione entro l’inverno dello stesso anno, in modo da far uscire il film a Natale e poter concorrere agli Oscar del 1980. Cimino, forte del successo de Il cacciatore, riuscì però a strappare allo studio un accordo senza precedenti: si impegnò a finire il film per Natale, ma, in cambio, ottenne di poter chiedere eventuali aumenti di budget per realizzare pienamente la sua visione. E, in caso di mancata consegna nei tempi pattuiti, non sarebbe neppure stato considerato responsabile!

Ma, insomma, il regista si è impegnato, no? Cosa potrà mai andare storto? Non vorrai mica che questo qui sia peggio di quel matto di Stanley Kubrick, no? NO?

Un set di eccessi

Leggenda vuole che, al sesto giorno di riprese, I cancelli del cielo fosse già in ritardo di cinque giorni sulla tabella di marcia. Tra le altre cose, chi c’era ricorda che Cimino chiedeva per lo meno 32 ciak per ogni scena (come afferma Brad Dourif, si poteva anche arrivare a 57 ciak). Che era talmente fanatico dei dettagli da scegliere personalmente ogni singola comparsa, anche nelle scene di massa (una perdita di tempo e, ovviamente, soldi: si stima che, nella prima settimana di riprese, il regista portò a casa solo un minuto e mezzo di film per un costo di circa 900 mila dollari). Che a volte attendeva la giusta nuvola prima di girare. Si dice che un giorno costrinse la troupe a smantellare un intero set perché una strada gli pareva troppo stretta. Inoltre, fece costruire un enorme sistema di irrigazione per mantenere verde il campo in cui doveva girarsi la scena della battaglia finale tra allevatori e immigrati (che per altro era a tre ore di macchina dai set, tanto per non farsi mancare niente).

Alla fine, Cimino, soprannominato dalla troupe “l’Ayatollah” per il suo caratterino a modo, arrivò a girare circa 400 mila metri di pellicola, circa 220 ore di materiale, costando a United Artists circa 200 mila dollari al giorno tra salari, location e attori. Alle spalle del regista, ci fu chi scherzò sul fatto che Cimino avesse voluto superare i 300 mila metri girati da Coppola sul set di Apocalypse Now.

Camp Cimino

Di storie sulla lavorazione ce ne sono talmente tante che è anche difficile includerle tutte. Questa però è troppo gustosa: prima delle riprese, il cast, inclusi Kris Kristofferson, Jeff Bridges, Christopher Walken e Isabelle Huppert, dovette partecipare a una serie di corsi (definiti da Bridges “Camp Cimino”), dalle lezioni di equitazione a quelle di dialetto jugoslavo, e fino alle lezioni di pattinaggio su rotelle (necessarie per una delle scene più memorabili del film). Brad Dourif sostiene che i corsi si protrassero per circa sei settimane.

Altra curiosità: Cimino aveva chiamato sul set un gruppo di musicisti per tre settimane di riprese che, però, si trasformarono presto in mesi e mesi. Per passare il tempo, i musicisti si diedero così alla pazza gioia, inaugurando una lunga serie di jam session a cui presero parte anche Bridges e Kristofferson, che iniziarono così la loro collaborazione musicale.

La post-produzione

Le riprese de I cancelli del cielo si conclusero a marzo 1980, tre mesi dopo quella che avrebbe dovuto essere la data di uscita. Cimino, che aveva anche rischiato il licenziamento (UA avrebbe voluto Norman Jewison, o forse David Lean), si chiuse in sala montaggio con il montatore William H. Reynolds. Letteralmente. Si dice infatti che cambiò la serratura per impedire agli executive di interferire, anche se lui ha sempre negato la cosa.

Il 26 giugno 1980, consegnò finalmente una copia lavoro che durava la bellezza di 325 minuti (5 ore e 25 minuti). Nel corso della successiva estate riuscì a ridurre la durata a 3 ore e 39 minuti. Dopo la breve e disastrosa uscita di novembre, ad aprile 1981 il film tornò nelle sale in una versione ancora più corta, di 149 minuti (due ore e mezza circa). Tra le scene tagliate, anche quella sui pattini che tanta fatica era costata agli attori.

La fine di Cimino, della New Hollywood e del western

Ne uscirono tutti con le ossa rotte dal flop colossale de I cancelli del cielo. Non solo la carriera di Cimino (ma anche quella di Kris Kristofferson) non si sarebbe mai più ripresa a quei livelli, ma il genere western, che negli anni ’70 aveva goduto di un notevole ritorno di popolarità, sparì quasi del tutto dalla circolazione.

Le notizie sulla bancarotta di United Artists sono invece esagerate: Transamerica Corporation, che all’epoca possedeva lo studio, decise di venderlo per evitare un danno di immagine. UA venne acquistata da Kirk Kerkorian, proprietario di MGM, e cessò di essere uno studio indipendente a disposizione degli autori hollywoodiani.

La conseguenza più nota di tutto questo fu la fine di un’era. La New Hollywood, che aveva dato i natali a gente come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, George Lucas, Steven Spielberg e Sylvester Stallone, chiuse i battenti. Il sogno di un sistema in cui il cinema d’autore, realizzato in quasi totale libertà, potesse anche arricchire i produttori si infranse. Un po’ per sfiga, un po’ perché, come accaduto nella musica con la fine del progressive rock e l’ascesa del punk, l’eccesso di libertà rischia di portare a eccessi di altro tipo.

Oggi ci resta un grandissimo film che vi invitiamo a recuperare nella sua forma originale, restaurata e più bella che mai. I cancelli del cielo è un’opera eccessiva, è vero, a volte schiacciata dal peso delle sue stesse ambizioni. Eppure potente e lirica come i migliori western sanno essere. E tratta un tema, lo scontro tra “nativi” e immigrati, che oggi è più attuale che mai.

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