Shining compie 40 anni ed è ancora uno dei film più terrificanti di tutti i tempi

Shining compie 40 anni ed è ancora uno dei film più terrificanti di tutti i tempi

Di Filippo Magnifico

Il 23 maggio del 1980 Shining, il capolavoro di Stanley Kubrick con protagonista un terrificante Jack Nicholson, arrivava nelle sale americane.
Sono passati quarant’anni ma il suo fascino è rimasto immutato. Shining è considerato ancora – e con ragione – uno dei film più terrificanti di tutti i tempi.
In questo giorno così speciale, abbiamo deciso di ripercorrere la sua storia. Una storia che inizia con un libro, scritto negli anni ’70 dal maestro del brivido Stephen King

Overlook

DI COSA PARLA SHINING

Ispirato all’omonimo romanzo scritto da Stephen King nel 1977, Shining porta sul grande schermo la storia di Jack Torrance, uno scrittore in crisi e con problemi di alcolismo, che nella speranza di ritrovare l’ispirazione decide di accettare un lavoro come custode per la stagione invernale dell’immenso e deserto Overlook Hotel, sulle Montagne Rocciose. Un super mega hotel che nasconde un terribile passato: dieci anni prima, in analoghe circostanze, un uomo aveva fatto a pezzi la sua famiglia, per poi togliersi la vita. Ma Jack non è una persona superstiziosa e decide lo stesso di trasferirsi lì con la moglie Wendy e il figlioletto Danny per la stagione invernale. I giorni passano e Jack comincia a cambiare. Qualcosa di oscuro si nasconde tra quelle mura e il primo ad accorgersene è il piccolo Danny, che possiede delle doti extrasensoriali e comincia ad avere inquietanti visioni legate al violento passato dell’hotel.

LA GENESI

Verso la fine degli anni ’70, Stanley Kubrick era alla ricerca di un nuovo progetto cinematografico. La sua precedente opera, lo splendido Barry Lyndon, non aveva riscosso il successo sperato e proprio per questo aveva deciso di concentrarsi su qualcosa di più “commerciale”. Si era procurato pile intere di romanzi horror e si era rinchiuso nel suo ufficio per leggerli.
Le cronache dell’epoca parlano di giornate intere passate a leggere le prime pagine di quei libri, per poi gettarli contro il muro. Un romanzo scartato dopo l’altro, fino a Shining.
Kubrick aveva colto il potenziale di quella storia – una profonda riflessione sul male, che può insinuarsi ovunque – e aveva deciso di trasformarla in un film. Ma serviva un cast in grado di rendere concreto l’orrore.

IL CAST

Per il ruolo di Jack Torrance furono presi in considerazione attori come Robert De Niro, Robin Williams, e Harrison Ford ma alla fine venne scelto Jack Nicholson che, diciamolo pure, non doveva fare troppi sforzi per sembrare uno psicopatico. Stephen King non era particolarmente contento della scelta ma a quel tempo non sapeva che questo sarebbe stato solo l’ultimo dei pensieri una volta visto il film.
Per il ruolo di sua moglie, Wendy, venne scelta Shelley Duvall e anche in questo caso arrivò il “maccosa?” del buon vecchio King. Lui aveva concepito il personaggio come la classica cheerleader bionda che non aveva mai avuto a che fare con i problemi della vita, mentre la Duvall aveva più l’aria di una donna perennemente sull’orlo di una crisi di nervi (che, purtroppo, è arrivata sul serio ma è meglio sorvolare).
Ma la considerazione di Kubrick nei confronti dello scrittore era stata messa in chiaro nel momento in cui il regista aveva rifiutato una sceneggiatura scritta dallo stesso King. Un chiaro messaggio, insomma.
Infine il piccolo Danny, scelto dopo un campione di interviste fatte a 5000 bambini nel giro di 6 mesi. Kubrick voleva il piccolo Cary Guffey, visto in Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma di fronte al categorico no dei genitori riuscì a trovare il suo giovane protagonista in Danny Lloyd.
Insomma, lentamente tutti i personaggi stavano trovando i loro interpreti, era arrivato il momento di iniziare le riprese.

LE RIPRESE

Secondo le testimonianze dei diretti interessati, le riprese di Shining furono in grado di rispettare l’essenza del film: un vero e proprio incubo. Quasi un anno di lavorazione con ritmi a dir poco estenuanti. Le giornate iniziavano alle 9:00 e terminavano alle 22:00, gli attori erano obbligati a ripetere le scene anche centinaia di volte, perché Kubrick era un perfezionista e non era mai contento del loro lavoro.
Un atteggiamento che turbò non poco Shelley Duvall, arrivata sul set particolarmente spensierata, convinta di dover recitare le consuete 16 settimane e finita con il diventare il bersaglio preferito del regista.
Le leggende parlano di litigi all’ordine del giorno tra i due, un livello di tensione talmente alto che verso la fine delle riprese la Duvall finì sul serio con l’ammalarsi, sfiorando l’esaurimento nervoso.

Nella foto: un sorriso particolarmente spontaneo

Gli unici che se la passavano bene erano Jack Nicholson, che stranamente si trovava particolarmente a suo agio con Kubrick, e il piccolo Danny Lloyd, protetto a tal punto dal regista che per l’intera durata delle riprese non realizzò di essere il giovane protagonista di un film horror (Danny Lloyd ha visto la versione estesa di Shining, per la prima volta, a 17 anni. True story).

Il risultato di una lavorazione lunga, complicata, al limite della follia per tutte le persone coinvolte, è quel gioiello che tutti noi abbiamo imparato a conoscere e amare. Non il tipico horror, soprattutto per il periodo, piuttosto una profonda riflessione sul genere, fatta da un cineasta che nel corso della sua carriera ha sempre visto la settima arte come un grande esperimento (soprattutto visivo). Shining è una pellicola che gioca con lo spettatore, che vive perennemente in bilico tra illusione e realtà, che porta sullo schermo un terrore soprattutto psicologico. E non tutta la critica negli anni ’80 riuscì a cogliere il suo valore, ovviamente, il film si aggiudicò addirittura due nomination ai Razzie Awards (Peggior Regia e Peggiore Attrice non Protagonista a Shelley Duvall, dopo tutto quello che aveva passato sul set, la beffa finale).
Il più grande “dislike“, però, arrivò da Stephen King. E come dargli torto? Il film diretto da Kubrick aveva ben poco in comune con il romanzo di riferimento, aveva stravolto i personaggi, il finale, per certi versi anche la storia. Sedotto e abbandonato, King si limitò a dire che Shining era “come una bella Cadillac senza motore, ci si può sedere e si può godere dell’odore del rivestimento in pelle: l’unica cosa che non si può fare è guidare“.

Ma, come sappiamo, è il tempo a decretare i capolavori e indovinate un po’ qual è il responso oggi? Shining è un vero e proprio manifesto del cinema horror, un’opera che continua ad essere studiata, analizzata e citata da moltissimi cineasti.
Ora ripercorriamo alcuni momenti iconici del film.

L’ASCENSORE

Una delle scene simbolo di questo film. Una visione del piccolo Danny, metafora dell’orrendo delitto avvenuto all’interno dell’hotel. Nove giorni per creare l’effetto desiderato dal regista, che continuava a ripetere “Non sembra sangue!“.

LE GEMELLE

Le figlie gemelle di Delbert Grady, il precedente custode dell’Overlook Hotel. Anche loro sono un’inquietante visione, che ricorre più volte nel corso della storia. Il look di queste terrificanti bambine trae la sua ispirazione da una foto: Identical Twins, Roselle, New Jersey, 1967 di Diane Arbus, di cui Kubrick era un grande ammiratore.

LA MACCHINA DA SCRIVERE

All work and no play makes Jack a dull boy“. Stanley Kubrick girò diverse versioni di questa scena, destinate ai vari paesi in cui il film sarebbe stato distribuito. In Italia, infatti, la frase è “Il mattino ha l’oro in bocca“.

LA SCENA DELLA VASCA

Anche la donna morta che seduce Jack è in realtà un omaggio alla fotografa Diane Arbus, morta suicida il 26 luglio del 1971 e trovata nella sua vasca da bagno due giorni dopo, in avanzato stato di decomposizione. Inutile dire che questo momento continua ad alimentare gli incubi di moltissimi spettatori.

LA PORTA SFONDATA CON UN’ASCIA

Durante la lavorazione del film il reparto effetti speciali aveva realizzato una porta speciale, in grado di rompersi facilmente. Sfortunatamente per loro, Jack Nicholson si era allenato con un gruppo di pompieri per quella scena e per lui quella porta finta era praticamente fatta di carta. Fu necessario costruirne una più resistente. Questo momento trae la sua ispirazione da un film del 1921 diretto da Victor Sjöström: Il carretto fantasma.

IL LABIRINTO

Una delle principali differenze tra libro e film riguarda proprio il finale, che Kubrick aveva deciso di ambientare in un labirinto. Un luogo magico ormai entrato nell’immaginario comune.

LA FOTO

La foto che si vede alla fine del film contribuisce ad alimentare l’alone di mistero che avvolge la trama. Un’immagine che è stata interpretata in più modi ma che non troverà mai una risposta definitiva, per la gioia di Stanley Kubrick che continua a guardarci da lassù sorridendo.

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